Prima scena
Simone Weil e Gustave Thibon conversano nella vigna a Saint Marcel d’Ardechès, nella zona di Marsiglia
Gustave: «Marsiglia è divenuta sin dal 1940 un centro in cui confluiscono rifugiati da tutta Europa, di ogni estrazione sociale e politica. È l’unico porto rilevante della Francia di Vichy, è la via di fuga dal nazismo per migliaia di dissidenti, artisti, prigionieri di guerra, ebrei. Anche lei fugge dalla Francia? O vi rimane per aspirare al cambiamento della situazione contemporanea? Padre Perrin mi ha chiesto di ospitarla perché lei è ebrea, io e mia moglie lo facciamo volentieri».

Simone: «Vi ringrazio molto per l’ospitalità, non intendo dormire nella vostra casa, preferisco rimanere nella baracca lì vicino perché, di sera, si vedono bene le stelle… che sono inquiete come me. Non portatemi tanto cibo… io penso alle molte persone che soffrono la fame di questi tempi e non voglio mangiare più di quanto mangino loro. Sono qui per imparare il lavoro dei vignaioli, benché io sia maldestra. Vengo da Parigi, da dove gli ebrei fuggono; pensi che ho saputo solo da grandicella di essere ebrea, nessuno me lo aveva detto prima, i miei genitori sono agnostici. Sono qui perché di fronte alle pericolose suggestioni del totalitarismo voglio vivere la ricchezza del quotidiano, di ciò che sembra privo di ogni eroismo, di ogni grandezza. Reagire significa scoprire la poesia anche negli oggetti più semplici e familiari».
Gustave: «Mi parli un po’ di lei. Cosa ha fatto nella vita?»
Simone: «Sono nata a Parigi nel 1909; in casa mia studiavano tutti, c’erano ben pochi giocattoli. Mia madre ha deciso di seguire mio padre sul fronte francese nella grande guerra e io e mio fratello abbiamo studiato in località diverse, anticipando i programmi e così sono stata premiata come miglior allieva di Francia! Ho studiato poi filosofia a Parigi con un grande filosofo, Alain, per il quale la filosofia è essenzialmente pratica e tende sempre alla morale. Avrei potuto fare la carriera universitaria, ma ho preferito quella di insegnante nei licei femminili

Erano gli anni dal ’32 al ’34: anni difficili per i grandi conflitti sociali, ma anche speciali per i forti ideologismi presenti. Univo il mio lavoro di insegnante a quello politico di militante comunista radicale. Avevo studiato Marx, lo amavo molto e desideravo mettere in pratica ciò di cui parlava, cioè il tema del lavoro.
In me si faceva sempre più chiara la volontà di andare a lavorare in fabbrica per verificare di persona ciò che avevo solo studiato. Sa, il desiderio è la cosa più importante nella vita e io desideravo entrare in fabbrica e ci sono riuscita. Ho lavorato alla Renault;

è stata un’esperienza durissima, di una fatica estrema, soffrivo di tremende emicranie, di essa ho tenuto un diario. Dalla grande fabbrica elettromeccanica, dove il taylorismo aveva trasformato il lavoro e il lavoratore, tornavo alla sera distrutta, a fatica capace solo di riprendere le forze per il lavoro del giorno seguente.
Dell’antico lavoro dell’artigiano non restava più nulla, il suo sapere era stato distrutto con la parcellizzazione delle fasi lavorative. Con il cottimo vi è uno sfruttamento intensivo del lavoro e, con mio rammarico, ho verificato che in fabbrica non si può pensare. Il pensiero è completamente sottratto dalla fatica, non vi è gioia, né creatività. Venivo derisa dai compagni per la mia poca destrezza che mi ha causato diversi infortuni e molto dolorosa fu l’umiliazione del licenziamento. Ho partecipato all’occupazione della fabbrica per giorni e giorni nel ’36 per il Front popuraire, una grande lotta. Qui in campagna vedo che tra contadini e proprietari di terre c’è condivisione e ammirazione reciproca. Nelle grandi fabbriche tra i padroni e gli operai non c’è collaborazione, ma solo duro antagonismo. Il lavoro manuale desta sempre in me un grande interesse, lo considero un valore supremo perché lo collego a quello culturale. Non c’è né arte, né sport che diano ciò che ci dà il lavoro manuale, in esso c’è la gioia della vita vera».
Gustave: «Condivido pienamente perché anch’io lavoro la terra con passione. Alla sera studio. Non ho fatto scuole come voi, studio da solo… vi vedo sempre con la penna in mano, cosa scrivete di così interessante su quei quaderni che tenete nel vostro tascapane?»
Simone: «Io scrivo e faccio: scrivo i miei pensieri, ma voglio anche fare. Il mondo ha bisogno di aiuto immediato, non può più aspettare… o forse sono io che non posso più aspettare. È la passione che mi spinge a condividere la vita con i poveri e gli sfruttati. Continuo a scrivere sui miei quaderni, seguendo un ordine mio, interno, di natura ascetica, che prescinde dalla sequenzialità temporale e dall’ordine argomentativo.
Seguo i passi della vita reale e della filosofia, sempre accompagnata dalla matematica, perché sa, ho un fratello bravissimo in matematica e ho imparato molto da lui e dal suo gruppo di amici, il gruppo Bourbaki. Ho molto valorizzato la matematica greca che è scienza, è una vera episteme; prendiamo ad esempio la bilancia di Zeus, è un’oscillazione, quindi riconducibile al rapporto tra numeri. Tutto è collegato: scienza, matematica, società. Di questo scrivo sui miei quaderni!»
Gustave: «Anche a me piace la filosofia, la studio per mio conto, ma ditemi: perché non avete fatto la carriera politica? Sono tempi in cui servono i leader! Voi avete molte idee».
Simone: «Sono contenta di aver solo costeggiato la politica e il mondo sindacale senza entrarvi totalmente. Ero stata inviata in Germania a osservare la fragilità della democrazia, prima che questa precipitasse con l’avvento del nazismo. Vedevo gli operai che trascorrevano la vita tra la monotonia e il caso, ero contro quell’anonimato che vedevo per le strade. Sono sempre stata contro le aggregazioni partitiche che stritolano le individualità; anche i partiti della sinistra francese non mi andavano più bene e me ne solo allontanata. Forse con gli anarchici…
È stata poi la guerra in Spagna ad assorbirmi. Io non amo la guerra, ma ciò che mi ha sempre fatto più orrore è la posizione di coloro che si trovano nelle retrovie. Quando ho capito che nonostante i miei sforzi non potevo impedirmi di partecipare moralmente a questo conflitto, augurandomi ogni giorno e a tutte le ore la vittoria degli uni e la disfatta degli altri, mi sono detta che Parigi era per me la retrovia e sono salita su di un treno per Barcellona con l’intenzione di arruolarmi con una brigata anarchica. Era l’inizio d’agosto del 1936.

Ho visto gli orrori di una guerra civile, dove tutti sparavano contro tutti. Ho partecipato a una spedizione, sulla riva opposta del fiume, per preparare un sabotaggio della linea ferroviaria. In questa circostanza, tuttavia, non ho avuto l’occasione d’usare il fucile, che pure portavo a tracolla. A causa di un banale incidente, inavvertitamente avevo infilato un piede in una pentola con olio bollente, sono dovuta rientrare in Francia. Ho salvato la mia vita mentre i compagni e le compagne della mia brigata sono morti tutti».
Seconda scena
Sul sentiero… verso la vigna.
Gustave: «Della religione cosa mi dice? Vedo che legge il Vangelo ogni giorno e so che è amica di padre Perrin… Sento emanare da lei un misticismo senza sbavature, diverso da quello stucchevole che si trova in giro. Non ho mai incontrato in un altro essere umano una familiarità simile con i misteri religiosi, mai la parola del sovrannaturale mi è parsa più intrisa di realtà che a contatto con lei».
Simone: «Trovo uno stretto rapporto tra il mondo greco e cristianesimo, specie nell’Iliade. Vede, io amo molto i greci, Platone in particolare, perché dal mondo greco, custode dell’onestà e della verità, proviene la luce che è universale e dà l’avvio anche al cristianesimo. Nella caverna di Platone, ad esempio, lo schiavo deve essere liberato perché veda la luce e la realtà e non solo più le ombre proiettate. Forse preferirebbe rimanere schiavo delle proprie comode menzogne; ci vuole una forza dall’esterno, la divina sorte, per portarlo fuori e condurlo a vedere pian piano la luce.
Ciò è paragonabile a una conversione religiosa, come lo è per il Vangelo. Si viene tirati da una grazia verso l’alto, non conta l’intelligenza, conta la grazia. Io conosco… vivo… la distanza disperante fra “sapere” e “sapere con tutta l’anima”, e nella mia vita non ho altro scopo che abolire questa distanza. Ho vissuto, nel 1938, momenti di particolare intensità spirituale nella Porziuncola di Assisi, dove ho sentito la forza della grazia sollevarmi e in quella liturgia della Pasqua ho vissuto un grande misticismo.
La fede non può avere mezze misure. Mi sono avvicinata anche alle religioni orientali, traducendo dalla lingua sanscrita i grandi testi hindu, quali le Upanisad e la Bhagavad. Ho per loro profonda venerazione e cerco di interpretarli in senso greco e cristiano.
Ma…eccoci arrivati alla vigna. Vorrei tanto rendermi utile anche oggi»
Gustave: «Questo è il momento di legare i rami ai sostegni; venga, le faccio vedere. Non si deve stringere troppo perché spaccherebbero i rami, ma neppure troppo poco»
Simone: «Esattamente come nei rapporti tra le persone; le amicizie troppo strette soffocano, ma senza legami si soffre di solitudine. Questo me lo scrivo. Sa, io appunto sui miei quaderni i pensieri che affiorano in me, mi giungono».
Gustave: «Lei lavora la terra con un’inflessibile energia e si contenta spesso, come nutrimento, delle more raccolte nei roveti del sentiero, è molto umile. Inoltre la vedo tutti i mesi andare in posta, sempre col suo tascapane… posso chiederle come mai?»
Simone: «Spedisco la metà dei miei buoni alimentari a dei prigionieri politici. Non posso fare molto per loro, il mio è un piccolo aiuto. Ricordo l’insegnamento del mio professore a Parigi per il quale la filosofia è qualcosa che si fa qui e ora; io sono rimasta fedele a quell’insegnamento. Domani partirò, mi accompagna alla stazione? Le consegnerò i miei quaderni, una massa non ordinata di frammenti, come segno di amicizia e gratitudine per avermi protetta. Le chiedo di leggerli e di averne cura durante il mio esilio. La nostra amicizia e le lunghe conversazioni che abbiamo avuto insieme siano per noi un buon ricordo. Continui con sua moglie la cura per le vigne perché in ogni passione avvengono… prodigi!
Io devo andare, devo fare qualcosa per la Francia. Andrò in America con i miei genitori dove c’è mio fratello e da lì spero di poter raggiungere Londra dove c’è il governo della Francia libera, quella di De Gaulle».
Terza scena
Londra, di sera nella stanza del suo pensionato
Simone: «Sono qui a Londra, dopo un lungo viaggio in nave dall’America. Laggiù sono diventata amica dei neri di Arlem, avrei voluto essere nera come loro, ho visto quante ingiustizie subiscono! Qui divido una stanza con una ragazza, mi sento una guerriera, ma per ora non mi fanno partire; io vorrei farmi paracadutare nel nord della Francia con un gruppo di infermiere per essere d’aiuto nel momento dello sbarco, ma l’idea viene considerata una follia anche da De Gaulle… così lavoro per il governo francese

(a Londra), 1943
Sto stendendo un programma politico per il dopo guerra. Tutti mi dicono che sono intelligente, ma per me ciò che conta è dire la verità e fare in modo che sia ascoltata. Per ora ho l’impressione che le mie idee non siano condivise, dicono che sono troppo utopiche: il male che colpisce l’Europa ha la sua radice nell’idolatria, incarnato nelle idee di nazione e di partito che il nazismo ha esaltato. Dobbiamo volgerci al bene assoluto e contrapporre la pace per l’Europa alla guerra; chiedere l’abolizione dell’esercito e dei partiti, che si sono costituiti come tante chiese permeate di spirito totalitario e interessati solo alla crescita del loro potere.
Essi rappresentano l’ennesimo controllo sulle persone. Che gli individui si presentino in politica a titolo personale e in rapporto a problemi concreti, fermo restando la possibilità di creare movimenti! Tutti contestano le mie proposte, poche di queste vengono fatte giungere a De Gaulle, perché molti non comprendono la gravità dei problemi che sottendono alle mie risoluzioni.
Oltre al lavoro, continua la mia corrispondenza con un padre spirituale che mi propone continuamente il battesimo. Scrivo: gliel’ho detto padre che il problema non è il mio battesimo, il problema è la Chiesa che non sta facendo nulla per la guerra. Io ho la grazia, che non è un’azione straordinaria, è per tutti, accanto al malheur, la sventura che ci accompagna.

Ho la fede, recito a memoria il Padre nostro in greco e ne gusto la dolcezza, ma non posso prendere il battesimo, non voglio il controllo della Chiesa su di me, non voglio una situazione privilegiata, sto con tutti quelli che il battesimo non possono riceverlo. Dal canto mio posso solo soffrire il dolore dei soldati in guerra e nutrirmi con una razione simile alla loro. So, padre, che il dolore lascia nella persona tracce… quasi sacre. Mi sento a mio agio al gradino più basso della scala sociale, confusa con la massa dei poveri e dei diseredati di questo mondo.
Non riesco più a nutrirmi… Portatemi nel sanatorio, voglio rivedere la campagna… vorrei tanto morire in Francia. Chi mi porterà un fiore si ricordi di mettere il nastrino tricolore della mia Francia, la Francia libera!»
Quarta scena.
Discussione in circle time con i partecipanti della serata di teatro filosofico sui temi emersi dalla figura di Simone Weil.
Musica: Incontro

Simone Weil, forte, tenace, vera guerriera, è nota a molti, ma pochi la conoscono. Nata proprio il 3 febbraio, del 1909.
Terza figura del ciclo Con voce di Donna.
Link al video della vigna (teatro filosofico, Paullo 2017): https://youtu.be/yOkyGzn8O14
***
Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.