
Con gli accordi di Losanna del 1923, il Kurdistan è stato spartito in quattro aree, una affidata alla Turchia di Mustafà Kemal Ataturk, una al protettorato britannico sulla Mesopotamia (oggi Iraq e Kuwait), un’altra al protettorato francese sulla Siria, e l’ultima allo Scià di Persia (oggi Iran). Queste aree hanno preso rispettivamente i nomi di Bakur (il Kurdistan turco), Başur (il Kurdistan iracheno), Rojava (il Kurdistan siriano) e Rojhilat (il Kurdistan persiano o iraniano).
La Turchia ha ottenuto la porzione più vasta di territorio curdo, mentre le aree più ricche di petrolio (Mosul, Erbil e Kirkuk in Başur e Raqqa in Rojava) sono state assegnate al protettorato britannico e a quello francese quando Iraq e Siria erano ancora lontane dell’indipendenza (ottenuta rispettivamente nel 1932 e nel 1945). Per tutti i decenni successivi, i quattro Stati, e in particolare la Turchia kemalista, si sono impegnati nel reprimere qualsiasi spinta autonomista e identitaria e hanno visto nel popolo curdo il principale nemico interno. Mentre nei Paesi fortemente islamici la repressione è stata portata avanti in nome della religione (gran parte del popolo curdo non è musulmana), la Turchia, formalmente laica, ha voluto cancellare questa etnia per costruire e rafforzare l’identità nazionale turca, visto che la repubblica kemalista esiste soltanto dal 1920. Tra le misure restrittive rientra il divieto nel Sud-Est della Turchia di parlare la lingua curda.

Nel 1978 in Bakur viene fondato il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkeran Kurdistanê, Pkk), già diffuso dall’inizio del decennio sotto forma di movimento ideologico antagonista allo Stato turco. Il Pkk lotta per l’indipendenza del popolo curdo e ha una linea dichiaratamente comunista. Il più noto tra i suoi fondatori è Abdullah Öcalan, leader che è sempre stato fortemente amato dall’intero popolo curdo. Nel 1984, in seguito a una sempre più forte repressione e a numerosi attacchi indiscriminati da parte dell’esercito di Ankara, il Pkk sceglie la via della lotta armata, cui la Turchia risponde con numerose rappresaglie, spesso anche su civli, e arrestando chiunque sia sospettando di simpatie filocurde. La Turchia non ha mai abolito né la pena di morte né la pratica costante della tortura sui detenuti per reati politici (anche in assenza di un valido processo).

La Nato, di cui la Turchia è parte, e la stessa Unione Europea, considerano il Pkk un’organizzazione terroristica, pur riconoscendo che i crimini più gravi e più numerosi sono stati commessi dall’esercito turco.
Rifugiato in Italia nel 1998 sotto il governo D’Alema, Abdullah Öcalan chiede asilo politico in quanto in Turchia rischierebbe la tortura e la condanna a morte ma, nonostante l’intervento in sua difesa di Amnesty International e di parte dei ministri dello stesso esecutivo, il governo italiano gli nega il diritto d’asilo, gesto poi criticato anche da una tardiva sentenza della stessa magistratura italiana. Oggi Abdullah Öcalan si trova in isolamento in un carcere di massima sicurezza turco su un’isola nel Mar di Marmara.

Durante la reclusione, Öcalan ha reso ufficiale la rinuncia del Pkk alla linea comunista, optando per il confederalismo democratico, sistema laico ideato negli anni Novanta basato sull’ecologia, la democrazia diretta e la parità dei sessi, come forma di convivenza per tutti i popoli del Medio Oriente, in contrapposizione alla sottomissione della donna perpetrata dall’Islam e allo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle potenze occidentali.

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.