GIUDITTA MORI: LA RESISTENZA TACIUTA

Sono tante le ragazze che hanno fatto la Storia di cui abbiamo perso le tracce, di cui bisogna andare a racimolare qualche stralcio d’informazione scavando negli archivi comunali, nelle note a piè di pagina dei libri sulla Resistenza o, come in questo caso, in pochi preziosi lavori di ricerca delle scuole.

Eppure, l’Italia l’hanno liberata uomini e donne. Insieme. Anzi, non sarebbe stata libera oggi, se ragazze più giovani di me non avessero deciso che era tempo di imbracciare le armi e salire su in montagna con i fucili spianati.
Tra l’altro, oltre che delle coraggiosissime combattenti, ci si dimentica ancor più spesso delle altrettanto importanti staffette. Si stenta a ricordarle, forse per il ruolo meno “spettacolare” che ricoprivano, ma in realtà senza di loro la guerra partigiana sarebbe implosa in pochi mesi. Infatti, le staffette si occupavano delle comunicazioni e delle provviste, macinando chilometri e chilometri a piedi o in bicicletta per rifornire le brigate, rifugiate tra i monti.
Inoltre, il loro infaticabile lavoro era indispensabile per l’organizzazione quotidiana della lotta resistenziale: ricordiamoci che il mondo della messaggistica istantanea, che noi diamo per scontato, nel 1943 non era pensabile neanche come pura avanguardia fantascientifica… Erano le staffette che correvano da una brigata all’altra e dai gruppi al direttivo per passare le informazioni fondamentali alle azioni di guerra!

Nel magma dei nomi dimenticati, il suo: Giuditta Mori.
Nata il 5 aprile del 1921 a Codogno, aderì alla Guerra di Liberazione quando aveva solo 22 anni.

Giuditta Mori

Il suo ruolo era di fare la spola tra Codogno e la Val d’Ossola, dove operavano i fratelli Alberto, Natalino e Lorenzo, per portare informazioni, indumenti e viveri. Inoltre, Giuditta entrò a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale, come rappresentante femminile del Comune di Codogno.

Dopo qualche mese di militanza, nel febbraio del ‘44, venne catturata e portata nel carcere di Pallanza, a Novara, da cui venne poi trasferita al carcere di Parma. Giuditta rimase in carcere 4 mesi, fino al 17 giugno, soffrendo molto della distanza dai suoi compagni e dalle sue compagne.

Una sua lettera, datata il 26 febbraio 1944, recita così:

«Carissimi tutti,
già vi scrissi due volte, ma finora nulla ho ricevuto da voi, non potete immaginare quale sia la mia ansia di sapere notizie da casa: cerco di incolpare, da parte mia, i mezzi di servizio, ma in cuor mio dubito anche un poco delle vostre collere verso di me. Anche dell’avvocato mi sorprendo, lui specialmente che gira le carceri e che tutti i giorni è a contatto di pene, dovrebbe sapere come i poveri carcerati aspettino una parola di conforto, ma fin qui nulla che mi abbia a sollevare un poco dei miei pensieri.»

L’avvocato menzionato nell’incipit è Arrigo Cairo, che fu deputato dell’Assemblea Costituente della neonata Repubblica, come componente della Commissione speciale per l’esame delle leggi elettorali per il gruppo del PSI e per cui Giuditta lavorò come segretaria fino al 1954.

È a Cairo che, nello stesso scritto, chiedeva di «dare qualche cosa, con i soldi che lui sa, alla signora Clavena: Dina e Lolo si trovano molto bene con Renzo».
Dina e Angelo ‘Lolo’ Clavena facevano parte della formazione Beltrami insieme ai fratelli di Giuditta, in val d’Ossola. Purtroppo, lei non sapeva, proprio a causa della mancata corrispondenza di cui si lamenta, che il 13 febbraio del 1944 Angelo era stato ucciso in battaglia a Megolo e che Dina aveva combattuto al suo fianco fino all’ultimo secondo, salvandosi per miracolo: ‘Stella Rossa’ era il nome di battaglia della sua coraggiosa amica.

Una volta finita la guerra e liberata l’Italia, Giuditta Mori fu la prima donna ad occupare un seggio del Consiglio comunale della sua città natale. Si trasferì a Milano nel 1954 e nel corso della vita ricevette diverse onorificenze, tra cui la nomina come Cavaliere della Repubblica il 2 giugno del 1970, la Croce al Merito di guerra l’11 febbraio del 1985 e il Diploma d’onore come combattente per la libertà d’Italia il 13 maggio del 1985.

Giuditta si è spenta, in una casa di riposo, il 24 ottobre del 2006.
Ad oggi, è stata completamente rimossa dalla memoria collettiva, tanto che il suo nome sul web è ormai quasi un fantasma.
L’unico riconoscimento recente risale al 2015, quando il Comune di Codogno le ha dedicato una targa, posta in via Cattaneo, sulla parete esterna della casa in cui Giuditta ha abitato per tanti anni, prima di lasciare la città.

Targa in Via Cattaneo, Codogno (LO)

Come sia possibile che di tante ragazze che hanno rischiato di essere fucilate per donarci un’Italia libera rimanga traccia solo in antichi e polverosi documenti, è un mistero a cui personalmente non trovo risposta accettabile.

Mi sarebbe piaciuto poterne sapere di più. Magari in tempi migliori, con qualche ricerca d’archivio, si potrà ampliare questa e tante altre storie di Resistenza… Perché, in fondo, mi rendo conto che le partigiane possano sembrarci così diverse da noi, figlie di un’epoca e di un’audacia che non ci appartiene. Eppure, a me basta leggere la fine di questa lettera dal carcere per vedere solo una ragazza di 23 anni, la mia età, che ha scelto di parteggiare per la libertà e di nascondere, dietro una valanga di affettuosi saluti, una paura matta di morire:

«Un forte bacio che si abbia a sentire alla distanza di 200km alla mamma, un bacio al papà, a Lino, Noemi, Alberto e Gisella, alla zia, al nonno.
Tanti baci, Giuditta».

Bibliografia
http://www.garibaldini.org/tag/giuditta-mori/
https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-alla-partigiana-giuditta-mori-codogno/
E. Ongaro, G. Riccadonna, Percorsi di resistenza nel lodigiano, Quaderni Ilsreco, n. 16, aprile 2006
Classe 4°B – I.C. Codogno (LO), Le partigiane, 2° concorso nazionale di Toponomastica femminile “Sulle vie della parità”, 2014/2015

Tratto da un pannello della mostra Le Giuste. La presentazione della mostra in Prezi è visibile al link: https://www.giovani.toponomasticafemminile.com/index.php/it/progettitpg/percorsi-digitali/

***

Articolo di Emma de Pasquale

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Emma de Pasquale è nata a Roma nel 1997 ed è laureata in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Attualmente frequenta la magistrale in Italianistica all’Università Roma Tre. Ha interesse per il giornalismo e l’editoria, soprattutto se volti a mettere in evidenza le criticità dei nostri tempi in un’ottica di genere.

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