Lia Pipitone è stata una vittima della mafia.
Venne uccisa a Palermo il 23 settembre del 1983, da due killer che, simulando una rapina in un negozio di prodotti sanitari, stroncarono, a soli 25 anni, la sua giovane vita. Il mandante di quell’omicidio era il padre della ragazza, Antonino Pipitone, un potente boss fedele a Bernardo Provenzano e a Totò Riina, che non tollerò la ribellione di una figlia che non voleva assoggettarsi alle ferree regole di “Cosa nostra”. L’omicidio venne catalogato tra quelli «a scopo di rapina».
La giovane venne «seppellita nel silenzio e i colpevoli restano impuniti».
Solamente dopo vent’anni, grazie al figlio della vittima e a un giornalista, il caso venne riaperto e si fece luce su quell’orribile delitto.
Lia era rimasta orfana di madre a undici anni e viveva con la zia, sorella del padre, che la controllava in maniera asfissiante. Dopo la scuola doveva rientrare subito a casa. Con grande fatica riuscì a ottenere il permesso di poter iscriversi e frequentare il liceo artistico. La scuola era per lei l’unico luogo in cui poteva «respirare un po’ di libertà» e dove dare sfogo, dipingendo, alla sua arte creativa. Lì conobbe Gero Cordaro con cui scelse di fuggire da casa nell’estate del 1977. Braccati dal padre-padrone i due giovani decisero di sposarsi e da quell’unione nacque un figlio: Alessio. E proprio una frase di Alessio apre il libro di Clelia Lombardo La ragazza che sognava la libertà (Edizione Il Mulino a Vento): «La storia di mamma va raccontata fino in fondo perché racchiude… la voglia di libertà della gente normale che chiede solo di poter vivere la propria vita».
La scrittrice ha riportato alla memoria questa storia trasformandola in un romanzo di agevole e avvincente lettura, rivolto soprattutto a ragazzi e ragazze. Protagonista del libro è infatti Caterina, una dodicenne che chiede ai genitori di raccontarle la vita di Lia Pipitone.
Una storia che può essere definita di riscatto femminile, una storia in cui Lia Pipitone incarna il «non volersi piegare a un ambiente familiare e sociale violento».
Il racconto si snoda tra i luoghi di Palermo segnati dalla violenza mafiosa e un intimo ambiente familiare dove una madre e un padre accompagnano la propria figlia in un percorso doloroso ma necessario per la crescita di una donna consapevole e di una cittadina. E nel percorso raccontato per le vie della città, c’è anche lo spazio per i luoghi più belli intrisi di storia millenaria: via Maqueda, Casa Professa, la Cattedrale, il castello della Zisa, il mercato di Ballarò. Chi legge si trova immerso tra chiese di diverse epoche storiche, cupole in stile arabo, vicoli che odorano di spezie lontane.
Caterina tramite le parole dei genitori rivede Lia, giovane liceale, che si slega dall’oppressione di una famiglia che la vorrebbe relegata in casa.
Lia che rompe catene e disintegra stereotipi.
Lia che si innamora e fugge, in sella a una moto, con il suo amore e gira per la Sicilia.
Lia che difende le sue scelte e la sua libertà.
Lia che si oppone a un matrimonio “combinato” per rafforzare i legami familiari mafiosi.
Lia che vuole respirare luce e libertà.
La vita tormentata di Lia è lo spunto per parlare a Caterina anche della “Stagione delle stragi”, dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e di altri “Servitori dello Stato” caduti in quella cruenta guerra, della mobilitazione contro la mafia della società civile, della battaglia delle donne contro l’omertà mafiosa con le iniziative dei “Lenzuoli bianchi” e “il Digiuno” effettuato in piazza Castelnuovo a Palermo. Ed è anche lo spunto sorprendente per parlare di pari opportunità e di rispetto anche nel linguaggio, della declinazione di genere femminile.
La scrittrice Clelia Lombardo riesce con sapiente maestria a instillare, soprattutto nelle giovani e nei giovani lettori, riflessioni profonde sull’impegno nella lotta alla mafia, sulla cittadinanza attiva, sull’emancipazione femminile, sull’abbattimento di stereotipi sessisti.
La madre e il padre di Caterina accompagnano la figlia alla scoperta di un mondo quasi sconosciuto a un’adolescente, un mondo violento che può atterrire se raccontato con superficialità. E lo fanno, tenendola saldamente per la mano e dicendo: «Certe storie ti strappano l’anima, bisogna fare piccoli passi se le vuoi seguire».
Quella di Lia Pipitone poteva restare una storia poco conosciuta o una delle, purtroppo, tante storie di vittime di mafia e invece si trasforma in questo libro in una storia dedicata «alle ragazze e ai ragazzi nel mondo che sognano la libertà».
Il libro è corredato da un report che traccia, in 48 pagine, la storia della mafia, la sua evoluzione, alcune sue vittime, con un cenno sui principi della nostra Costituzione.
Sicuramente una lettura utile e necessaria alla formazione umana di cittadini e cittadine del futuro.
«E il futuro non è lontano, nasce nel passato, si costruisce nel presente».

Clelia Lombardo
La ragazza che sognava la libertà. Storia di
Lia Pipitone, giovane vittima della mafia
Raffaello editore, Milano, 2020
pp. 160
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Articolo di Ester Rizzo
Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Istituto Superiore di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) di Licata per il corso di Letteratura al femminile. Collabora con testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra edit. ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici e Donne disobbedienti.