Le Streghe della notte

Una donna può tutto – 1941: volano le Streghe della notte, è un libro che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca, in nessun istituto di istruzione superiore, fra le letture di qualsiasi docente di Storia, ma ― aggiungo ― chiunque dovrebbe farlo suo per la vicenda incredibile e assai poco raccontata di cui tratta. Le indagini si devono a una esperta giornalista italiana, Ritanna Armeni, non nuova a queste imprese, aiutata dalla collega e interprete Eleonora Mancini, che in più occasioni si è recata a Mosca per affrontare una storia rimasta praticamente ignorata per troppo tempo: quella delle “streghe della notte” che, a dire il vero, erano semmai degli angeli, disposte a salvare la patria con sprezzo del pericolo e della propria vita. Il volume è stato pubblicato nel 2018 da Ponte alle Grazie, ma le ristampe si sono susseguite per il vivo interesse suscitato in lettrici e lettori, nel mondo del giornalismo, fra storici e storiche di professione.

Alternando sapientemente la 1° persona con il resoconto dei viaggi, degli incontri, delle interviste alla ricostruzione romanzesca degli eventi, Armeni ci riporta al passato, alla Grande guerra patriottica, come in Russia è definita la Seconda guerra mondiale, quando avvenne l’inaspettato attacco da parte delle truppe del Terzo Reich, nonostante il recente patto Ribbentrop-Molotov di reciproca non aggressione. Ci fu un momento di sconforto, incredulità, attesa che permise all’esercito nemico di avanzare pericolosamente in territorio sovietico, quasi senza trovare resistenza da parte dell’Armata Rossa. E qui entrano in gioco tante giovani donne che vorrebbero fare qualcosa di concreto, non rimanere nelle retrovie a fornire supporti logistici o occuparsi degli ospedali da campo. Sia nell’Urss sia in Gran Bretagna e negli Usa esistevano le ausiliarie, le collaudatrici e le civili (specie in aviazione) occasionalmente impiegate in missioni militari, ma non certo in prima linea. A fianco degli uomini, molte ragazze russe avevano frequentato corsi di artiglieria, di pilotaggio, di paracadutismo, di meccanica, ma mai si poteva immaginare fino a quel momento che sarebbero state richieste delle volontarie dall’aviazione militare. Indispensabile ora fare un nome, ancora oggi celebrato, quello di Marina Raskova, «un mito e una leggenda» morta durante una missione a soli 31 anni; bella, intelligente, destinata al canto lirico in cui eccelleva, lasciò la musica per la chimica e lavorò fianco a fianco con gli inventori della moderna tecnologia di bordo degli aerei; si ritrovò in breve a fare da istruttrice e responsabile della formazione dei piloti.

Marina Raskova

Le riconoscono che «è giovane, è donna, ma è brava»; nel 1938 compie un’impresa leggendaria: vuole percorrere in volo 6.500 km, attraversando l’intero Paese, da un estremo all’altro, per battere il record dell’americana Amelia Eahart. Due colleghe stanno ai comandi, alternandosi, lei si occupa delle carte e della strumentazione. Una tempesta rischia di far precipitare l’aereo e Marina deve gettarsi con il paracadute, per alleggerire il carico. Viene data per dispersa nella taiga gelata, finché, dopo nove giorni, la sua esile figura compare all’orizzonte. L’impresa è riuscita: in 26 ore hanno percorso 5.947 km; è il record di volo femminile senza sosta. Spetta a questa straordinaria donna la formazione delle ragazze, ma un ostacolo rimane: le alte sfere militari devono essere convinte non solo ad arruolare donne aviatrici, ma a formare un reparto totalmente autonomo, comprendente meccaniche, ingegnere, navigatrici. Il suo motto è «Una donna può tutto», e lo ripete anche davanti a Stalin in persona, senza farsi intimorire. E ce la fa: l’8 ottobre 1941, con l’ordine 0099, vengono istituiti tre reggimenti femminili: uno di cacciabombardieri, il secondo di bombardieri, il terzo di aerei Polikarpov, per il volo rapido notturno.

Un Polikarpov Po-2, ripreso durante la Seconda Guerra Mondiale
(Foto, Sovfoto/Uig, Getty Images)

Proprio dell’ultimo parleremo perché solo questo sarà interamente composto da donne. I Polikarpov sono aerei minuscoli in legno e tela, usati in campagna per dare diserbanti o per seminare, sopra sono aperti e ci possono stare due persone sedute: una davanti all’altra, con il busto di fuori, al freddo, alla pioggia, senza riparo. Vanno piano: al massimo a 150 km all’ora, anche meno, si alzano fino a mille metri, possono prendere fuoco facilmente e non hanno alcuno strumento di bordo né i paracadute per mancanza di spazio; la navigatrice potrà portare con sé una bussola e una cartina. Stop. Questi uccelli meccanici hanno però dei vantaggi: sono irrintracciabili dalla contraerea, si prestano per puntate veloci sull’obiettivo, possono atterrare anche su un campo di patate o una strada, di notte sono praticamente invisibili; al di sotto verrà montata una cassetta con uno sportellino contenente le bombe da lanciare al momento opportuno tramite una cordicella. Tutto spartano ed essenziale, ma nelle mani delle 200 ragazze del reggimento 588 diventerà un’arma micidiale che creerà sgomento e stupore nell’esercito tedesco. Dalle loro missioni al limite dell’impossibile nascerà il soprannome “le streghe della notte” (Nachtexen): in silenzio arrivano, sganciano, spariscono nel buio del cielo e poi un altro colpo a segno, dopo pochi minuti un altro, e così via. Ognuna di loro arriverà a fare fino a 10 voli per notte, per la durata della guerra: 1100 notti, 23.000 voli a partire dalla prima missione, avvenuta l’8 giugno 1942 dopo l’addestramento a Engels. 32 di loro perderanno la vita: «nessuno potrà dire che la guerra abbia fatto sconti alle donne».

Ma cosa contiene il volume scritto da Armeni da risultare unico, tanto avvincente e prezioso, su questo tema? Nel 2016 l’autrice e la sua interprete sono riuscite a rintracciare e incontrare a Mosca l’ultima “strega” ancora in vita: ha un passato di fisica e di accademica di spicco, ha oltre 300 pubblicazioni al suo attivo, ha avuto incarichi prestigiosi nella brillante carriera di studiosa. Ma, appunto, è stata una delle impavide pilote e ne è la custode, l’estrema testimone. Irina Rakobolskaja, ricordate questo nome. Ha 96 anni, ma la mente è lucida e i ricordi in lei rimangono vivi, come pure la vena polemica e l’intento di non cadere in facile commozione. Dalla sua voce, dai suoi cassetti, dai suoi diari, dalle sue lettere ad un amico immaginario, dai documenti conservati emerge il passato, nel corso di tanti colloqui nella sua abitazione.

Purtroppo non ha fatto in tempo a vedere il libro compiuto e pubblicato: è venuta a mancare nel settembre 2016, quando mancavano tre mesi e tre anni al suo secolo di vita. È stata sepolta con tutti gli onori nel celebre cimitero di Novodevičij dove riposano grandi personaggi, da Cechov a Gogol’, da Majakovskij a Ejzenštejn.

Irina Rakobolskaja

Ma, e qui viene la nota critica, gli onori sono stati riservati alla emerita professoressa, non tanto alla combattente valorosa; i giornali russi praticamente non ne hanno parlato, mentre l’inglese Guardian le ha riservato un necrologio curato dallo storico Roger Markwick, autore di una pregevole ricerca sulle militari sovietiche nella Seconda guerra mondiale. Ritanna ed Eleonora a Mosca avevano visitato il Museo dell’Armata Rossa, sapendo che la reduce Irina vi aveva consegnato una cassetta di cimeli preziosi, dopo che il glorioso reggimento, il 15 ottobre 1945, era stato sciolto. Le hanno congedate con gentilezza, con tanti ringraziamenti e onoreficenze, ma ora che la guerra è finita si deve pensare al futuro: anche nell’Urss della parità fra i generi è bene che si dedichino alla famiglia, a fare figli di cui c’è tanto bisogno, a essere sostegni morali per i loro compagni, a lavorare per la patria; i voli audaci delle “streghe della notte” sono stati una fase breve, una esperienza epica ma irrimediabilmente conclusa, e irripetibile. E al Museo (dove Irina non è mai entrata) le due studiose italiane erano rimaste sorprese e deluse: fra plastici, modellini, gigantografie, video, generali pluridecorati, al reggimento 588 è riservata una semplice teca anonima con due bandiere, un paio di occhiali, una bussola, una foto di Marina Raskova, qualche medaglia. «Che sia stato un reggimento solo femminile non si arguisce in nessun modo. Anche nel Museo dell’Armata Rossa ― dobbiamo constatare ― l’eguaglianza livellatrice ha avuto la meglio su una esperienza unica e diversa. E, infatti, nessuno si ferma a guardare una teca uguale a tante altre. Sia per i grandi sia per i piccoli visitatori, l’enorme missile, che si erge in tutta la sua potenza occupando la stanza centrale, è di gran lunga più affascinante».

Il 588° Reggimento Bombardamento Notturno schierato
(Archivio Vlad Monster, http://www.ava.org.ru)

Nel libro, scaturite dai ricordi di Irina, sono tante le storie narrate, i personaggi memorabili, i momenti salienti, le curiosità, perfino divertenti come quando le ragazze sono alle prese con le enormi divise maschili e gli stivali misura 43, oppure quando viene finalmente data loro una uniforme femminile: peccato abbia la gonna, non molto pratica per salire su un aereo o aggiustarne il motore. In compenso avranno la biancheria intima e, meraviglia, il reggiseno, un bene che pochissime donne sovietiche all’epoca possedevano! Triste sarà invece quando dovranno dare l’addio alle loro lunghe trecce, per poter indossare berretto e casco, e a terra si forma un tappeto di capelli folti e lucidi. Bellissima la vicenda di una “strega” che ha tenuto nascosta la gravidanza fino a ultimo e partorisce durante le celebrazioni per la vittoria. Era ingrassata molto, tanto che le avevano imposto di fare ginnastica, ma continuava imperterrita le missioni da kamikaze: almeno cento in poche notti. Ritrovata la pace, varie coppie fra militari di reggimenti diversi si formano e si concludono con matrimoni, Irina invece incontra il compagno di università Dmitrij con cui si sposa e avrà due figli e svariati nipoti.

A differenza di molti volumi nati da memorie di persone sopravvissute a eventi eccezionali, questo non è nostalgico, né indugia sulle tragedie singole e collettive, che pure ci sono state, e terribili; basterebbe ricordare l’assedio di Leningrado (San Pietroburgo) che a chi ne ha letto qualcosa o ha visitato il mausoleo risulta sconvolgente a distanza di tanto tempo (personalmente mi commuovo sempre ripensando a cosa passò quella popolazione stremata in 900 infiniti giorni…) o l’epopea di Stalingrado (Volgograd), da cui partì nel 1943 l’inversione di rotta della guerra. Tuttavia voglio citare, prima di concludere, un momento significativo in cui fra Irina e le due italiane c’è una perfetta sintonia, a dispetto della propaganda sovietica (e oggi russa) su cui non mostrano indulgenza, giustamente. Ed è un fatto che rende le donne diverse dagli uomini, anche sui campi di battaglia, anche di fronte al peggior nemico: quando si trovarono in Prussia e videro le graziose case abbandonate in fretta dalle famiglie, le aviatrici erano quasi commosse e tristi nello scoprire i segni di un passato sereno e quotidiano; incontrando la gente ormai sconfitta ebbero gesti di condivisione e ne ricevettero, i soldati invece avevano una missione: vendichiamoci. È stato detto loro: «Uccidi il tedesco», e così hanno fatto. «Gli occhi di Irina diventano cupi come non li avevo mai visti. Il tono della voce è intransigente, la condanna è senza appello. In Prussia i soldati dell’Armata Rossa hanno stuprato le donne del nemico. Si sono comportati come i tedeschi in terra russa. Non è un’invenzione o un’esagerazione. […] “Io li ho visti con i miei occhi e non lo dimentico” ci dice. A settant’anni di distanza è ancora infuriata. Con gli uomini, col suo Paese, con chi ha permesso che quei crimini fossero compiuti. Con chi li ha giustificati».

Il bel libro, rievocando una vicenda tutta femminile assente nei resoconti storici scritti per lo più da uomini, ci rammenta ancora una volta che abbiamo il dovere morale di farla conoscere, insieme a mille altre; eroismo, generosità, preparazione non sono bastate alle “streghe della notte”: «le donne possono essere tradite dalla Storia, anche quando ne hanno preso attivamente parte e hanno contribuito a darle un corso», conclude con amarezza l’autrice.

Ritanna Armeni
Una donna può tutto – 1941: volano le Streghe della notte
Ponte alle Grazie, 2018
pp. 230

***

Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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