«Gli scritti autobiografici assumono molteplici forme. Nel senso più diretto, autobiografia significa auto-narrazione, l’atto di scrivere la propria vita. Anche se spesso lo si fa in un diario, in un memoir o in una lettera, le narrazioni della vita si presentano in un gran numero di altre forme letterarie di espressione che non sono convenzionalmente riconosciute come autobiografia, compresi i romanzi, le poesie o persino gli epitaffi».
È questo il tema della serie di incontri, dal titolo Life Narratives and Gender: Voices of Women in the Near East and Eastern Mediterranean con base Ankara, Turchia, a cui ha partecipato via streaming un notevole numero di persone da tutte le parti del globo.

Ma come si può conoscere sé stessi? Una domanda semplice a cui è difficile dare una risposta.
Conoscere sé stessi non è facile, ma quando poi devi parlare di te e spiegare te stesso, il tuo modo di fare, di pensare, di vivere, diventa ancora più complicato.
Come ha dimostrato l’ospite del primo dei cinque incontri sulle autobiografie femminili, Autobiographics: Gender, Life Narrative, and Self-Representation, le difficoltà non finiscono lì, infatti, l’atto stesso di pubblicare un’autobiografia, rispettando gli standard posti dalla società, diventa un’ennesima sfida che le donne hanno e devono continuare affrontare.
L’illustre professoressa, Leigh Gilmore, è l’autrice del libro Tainted Witness: Why We Doubt What Women Say About Their Lives (Testimonianza contaminata: perché dubitiamo di ciò che dicono le donne), un libro che non solo mette in luce il modo diseguale in cui le testimonianze delle donne vengono trattate e percepite, ma risponde anche alle domande: «Perché le donne sono così spesso considerate testimoni inattendibili delle loro esperienze?» «Come vengono screditate le donne nei tribunali e dell’opinione pubblica?» Domande che oggi sembrano più rilevanti che mai, ma che la dottoressa Gilmore ha iniziato a indagare già nel 1994, quando uscì il suo primo libro Autobiographics: A Feminist Theory of Women’s Self-Representation (Autobiografie: una teoria femminista dell’auto-rappresentazione delle donne), un libro che, come lei stessa ha dichiarato «è nato con l’intento di analizzare l’assenza delle donne nel genere letterario dell’autobiografia e invece della loro assenza ha trovato una profusione di scrittura autobiografica da e sulle donne». Questa quantità sterminata di scritti femminili, ha portando la Gilmore ad analizzare il rapporto tra il genere letterario autobiografico e il genere femminile.
Durante l’incontro, la professoressa Gilmore ha illustrato in modo preciso e dettagliato il primo capitolo e la conclusione del suo primo libro, spiegando che il rapporto tra genere e genere letterario è dinamico e instabile, come entrambi cambino quando entrano in relazione tra loro e come questa “coreografia” tra il genere letterario e il genere sessuale persista nel tempo, e in contesti differenti.
Questi generi letterari si creano, non si trovano, ma una volta che un insieme di testi si consolida in un canone, a prescindere dalle sue caratteristiche, va a delimitare un genere. Il genere letterario delle autobiografie, definito da opere come quelle di Sant’Agostino, Montaigne o Rousseau, è un genere che tratta di opere di uomini famosi, delle loro carriere politiche o professionali, concentrati su un sé atomistico, indipendente dagli altri, che sono in parte epici in quanto raccontano le cause esterne alla loro vita e i motivi che li hanno indirizzati verso il loro cammino di gloria. Dunque, questi primi testi autobiografici che hanno poi portato alla formazione di questo genere letterario sono concentrati più sulla capacità di agire di questi uomini che su coloro che li hanno aiutati. Questi libri, che vengono scritti quando il soggetto è già consapevole del “sé”, rispondono alla domanda: «chi sono io?».
Mary G. Mason, la scrittrice di uno dei primi saggi sull’autobiografia femminile, sosteneva che, a differenza degli uomini, le narrazioni di vita delle donne sono relazionali. Le donne, diceva, sono immerse in relazioni d’interdipendenza dovute in primis dal loro ruolo di madri, ma anche per la mancata autonomia nei contesti economici e sociali. Mason riteneva che questa loro dipendenza e interdipendenza fosse rappresentata all’interno delle loro narrazioni. La teoria dell’autrice può essere confermata da alcune narrazioni ma di sicuro non per la totalità delle narrazioni autobiografiche femminili. Allo stesso modo Gilmore sostiene che, per quanto sia innegabile la presenza “individualista” all’interno delle autobiografiche maschili, essa non è presente in tutte.
Ed è proprio questo il fulcro del primo punto della professoressa Gilmore: “la scrittura di vita” va oltre i confini del suo genere letterario anche se riconosce che la categoria e le regole del genere letterario vincolano gli argomenti appartenenti ad esso, permettendo allo stesso tempo di riflettere su domande come: «Dove sono le donne? chi altro non è rappresentato?»
L’altro aspetto portato alla luce in questa ricerca per capire meglio il rapporto tra genere e “genre” è il pensiero collettivo insito nei concetti di storia filosofia e filologia, ovvero come essi siano stati per lungo tempo associati con pensieri e atti svolti quasi esclusivamente dai maschi, incidendo nel subconscio collettivo l’idea che le donne abbiano sempre avuto un ruolo secondario, e dunque, non all’altezza di essere al centro di un racconto autobiografico, stabilendo così il nesso tra il genere autobiografico e il racconto di uomini valorosi.
Ma per quanto le regole dei generi letterari traccino dei limiti, essi non possono controllare la profusione dei testi, possono solo definire se il racconto entra e rispetta le regole da esso dettate. Ed è proprio su questo aspetto che la Dottoressa Gilmore si è interrogata, questa profusione di autobiografie ha portato a testi che non rientrano in uno specifico genere, incorporando elementi di tipo giornalistico che associamo alla “dimensione dei fatti” ma anche elementi come il dialogo, la caratterizzazione, l’ambientazione, la compressione temporale che associamo alla fiction. A quale genere appartengono gli elementi che danno vita a una storia attraverso le tecniche della narrazione? Fanno parte dell’autobiografia, sono usati al servizio della “life narrative” o rappresentano un’intrusione di finzione che sminuisce l’autorità di chi pretende di dire la verità? O indicano uno spazio extra generico di creazione di senso?
A volte gli studiosi, i recensori e i lettori sostengono che gli autobiografi aggiungano al testo informazioni che non vi appartengono, un po’ troppo personali, troppo candide, troppo implicanti, troppo incarnate, troppo femminili, contravvenendo alle norme su ciò che è pubblico e privato, perché hanno come linee guida quelle regole basate sul concetto di autobiografia che, come riportate sopra, sono subconsciamente legate al concetto di “individualità”.
La professoressa Gilmore, che va oltre al limite imposto dalle barriere rigide del genere letterario, ha deciso di utilizzare il termine Autobiographics come termine ombrello che raccogliesse tutte le diverse sfumature delle narrazioni di vita.
L’altro concetto cardine, centrale alla tesi della Gilmore, è la relazione tra verità e autorità e come esse abbiano influenzato il modo di percezione e l’accettazione delle storie di vita delle donne. Gilmore enfatizza il concetto delle diverse forme che le autobiografie possono assumere perché sono stati spesso questi i modi in cui scrittori e scrittrici emarginati potevano esprimersi, seppur rielaborando i limiti del genere, come, ad esempio, virando verso la fiction per eludere la censura o utilizzando pseudonimi per motivi di sicurezza personale e della propria famiglia.
Quindi, per concludere, lo studio iniziale di Gilmore, fatto per teorizzare l’assenza delle donne dal genere dell’autobiografia, oltre a dimostrare la presenza innegabile di testi di e da donne, (gli scritti femminili dopo il movimento #Metoo sono stati numerosi e incentrati spesso sul trauma subito) ha anche portato ad un dovuto allargamento e ad una maggiore flessibilità del genere letterario autobiografico, senza creare un nuovo genere a sé, ma sostenendo soprattutto la consapevolezza e la conoscenza di questi fattori, al fine di permettere ancora la circolazione delle narrazioni di testimonianze.
Un caloroso ringraziamento a Dalila Ferrari che ha aiutato nella stesura dell’articolo.
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Articolo di Chiara Celeste Ryan

Nata a Roma, ha origini neozelandesi. Laureata in Scienze Storiche del Territorio e per la Cooperazione Internazionale all’Università di Roma Tre, frequenta il corso magistrale in Storia e Società. È appassionata di politica internazionale, storia e ambiente.