Carissime lettrici e carissimi lettori,
abbiamo ancora bisogno di cura. Sentiamo un’urgenza di cura perché ancora non siamo completamente fuori dalla tragedia sanitaria portataci da questo virus coronato. Abbiamo necessità di curarci per accettare, tutti e tutte, i vaccini, da ora accessibili a qualsiasi età e senza nessun privilegio. Cerchiamo di insegnare ai più giovani e alle più giovani a curarsi e a curare la terra e l’intero pianeta, che consegniamo a loro certo non nelle condizioni migliori, anzi, dopo non aver voluto ascoltare proprio le loro grida di aiuto, alle quali abbiamo troppo poco creduto. Dobbiamo dire loro come salvarsi dall’invisibile maligno per amare chi è più debole e vicino, e anche per ricominciare a vivere il fuori: tornare a scuola, dedicarsi allo sport, alle amicizie, all’aria libera che è stata negata, a noi, ma soprattutto a loro, perché per loro è materia per crescere.
Abbiamo urgenza di uscire da questo torpore psicologico, per andare verso la vita e di nuovo curarci contro ogni paura, comprese quelle legate alla capanna in cui eravamo reclusi/e e che qualche volta riusciamo a lasciare con difficoltà, oppure, per l’esatto contrario, ugualmente nocivo e pericoloso, nel percorso di abbandono completo della malattia.
Un incredibile parallelismo ci viene in mente confrontandoci con la storia di ieri. Gli avvenimenti di questa prima settimana di giugno che settantacinque anni fa hanno visto l’Italia alla linea della ripartenza, verso la democrazia. In contrasto, allora, c’era da affrontare un male politico, il frutto di scelte scellerate e le conseguenze di quelle ferite, del peso dei tantissimi morti della guerra. La ripartenza odierna è dal male fisico, sanitario, dal dolore psicologico per noi e per i morti che sono stati numericamente considerati maggiori di quelli causati dalla guerra mondiale che è scaturita dalla follia nazista. Dobbiamo riprenderci la salute e rinvigorire l’economia che crea lavoro, ma anche cambiare e far cambiare ai nostri figli e alle nostre figlie il rapporto con il mondo, compreso quello animale, da considerare con maggiore rispetto.
Oggi in questa pandemia le donne, lo abbiamo ripetuto e letto tante volte, hanno avuto un ruolo fondamentale. Le donne, al di là degli stereotipi, seppure in parte avviate da questi (diciamo dal loro lato positivo!) sono state in pieno nella cura: dalla ricerca scientifica all’assistenza ospedaliera sotto ogni aspetto fino, ma non ultimo, all’impulso a una nuova economia, che vuole allontanarsi dal capitalismo sfrenato di stampo maschilista e patriarcale e guardare alla vita come respiro attivo in ogni sua parte, che coinvolga tutte le donne e tutti gli uomini per un benessere generale, non minaccioso di altre epidemie, possibilissime se non facciamo attenzione.
Le donne. Altro aggancio alla Storia citata. Furono loro, fu la passione delle sorelle di allora che andavano a votare per la prima volta (seppure con la prova generale, ma parziale, delle elezioni amministrative di marzo) che rese vittoriosa la scelta repubblicana del 2 giugno 1946. Dobbiamo imparare da quella esperienza, che è solo apparentemente diversa, e ripetere il coraggio di difendere la nostra Repubblica che è stata una scelta principalmente al femminile. Perché, lo ripetiamo, furono soprattutto le donne, al loro primo esercizio di democrazia, a votarla e a farla vincere, seppure con una manciata di voti in più (circa due milioni). La differenza fu comunicata a Nenni proprio il 5 giugno: alle tre del mattino una telefonata dal Viminale lo avvertì che il Nord aveva ribaltato gli esiti del referendum che al Sud favorivano la monarchia, l’Italia aveva scelto la Repubblica (con 12.182.000 voti per la Repubblica, 10.362.000 per la monarchia), e le donne parteciparono con un afflusso incredibile. Il suffragio universale determinò una battaglia cominciata a metà dell’Ottocento. La risposta popolare nelle urne confermava, infatti, la piena coscienza di questo diritto con le donne che votarono all’89 per cento, in un’affluenza complessiva altissima, dell’89,1 per cento! Entrarono di diritto in politica. Ventuno di loro parteciparono alla scrittura della Costituzione e le ricordiamo tutte come Madri costituenti.
Ma in Italia proprio questo esercizio di democrazia al femminile è oggi ancora troppo debole ed ostacolato facendo della politica, se non con qualche rara eccezione, non una cosa per donne. Fra qualche mese avremo il nuovo presidente della Repubblica e ci piacerebbe che ci fosse una donna tra i nomi possibili da eleggere. Quando, alla fine degli anni ’90 del secolo scorso (appena 20 anni fa) Emma Bonino provocatoriamente fu candidata per l’elezione al Colle, per avere una donna nelle alte cariche dello Stato (oltre alla presidenza delle Camere) anche in Italia, come era, ed è normale, in tanti paesi del mondo, non solo europei, Giuliano Amato, che era stato tra i promotori dell’iniziativa, dovette obbiettare alle proteste di molti dicendo che «non stava parlando di uno scarafaggio, ma di una donna»: ed eravamo nel 1999. Al Quirinale allora salì Carlo Azeglio Ciampi (triste e misero l’accadimento dell’errore grafico del nome per l’intitolazione di una strada romana!), che era maschio e, come tutti gli altri suoi predecessori (passati e, fino ad oggi, futuri) ugualmente anziano: quasi trenta anni di differenza rispetto a Bonino che allora aveva appena superato da poco i cinquanta anni (classe 1948).
Di proposte praticamente oggi non ce ne sono, non solo per l’ascesa al Quirinale, ma per l’intera politica italiana, il cui tetto di cristallo sembra duro davvero a frantumarsi. Si fa qualche nome: Marta Maria Carla Cartabia, Anna Maria Tarantola, la stessa Emma Bonino e Maria Elisabetta Casellati potrebbero entrare nella rosa al femminile delle candidature, ma tutto è vacillante e da vedere. Anche gli sforzi mostrati da qualche partito in volontà di rinnovamento, sostanzialmente non hanno cambiato, nonostante qualche nomina sparsa, la realtà delle cose.
Una realtà triste. Ne è un esempio per tutti la vicenda umana più che politica di Laura Boldrini che da quando è salita sullo scranno di Presidente della Camera (nel 2013) ha scatenato, proprio in quanto donna, una vera e propria persecuzione pesante e volgare, sui social e altrove, molto violenta e sessista. Colpevole, secondo chi l’ha perseguitata, del suo impegno (al quale si è mostrata ininterrottamente fedele) presso le Nazioni Unite a favore dei rifugiati e delle rifugiate che Boldrini ha sempre difeso con forza «al di là del loro colore della pelle e della loro religione».
Quale istinto perverso, permettetemi l’espressione, può guidare una persona, e in questo caso un capo politico di un partito di governo, a chiedere sul proprio blog ai propri utenti (spero non siano intervenute anche le donne del movimento!): «cosa faresti alla Boldrini in macchina?». Anche un bambino, come si dice, capirebbe che è un’istigazione all’odio senza mezzi termini. E infatti scatenò una vera campagna di insulti verso l’allora Presidente della Camera, dolorosa e vergognosa. Proviamo lo stesso stupore, purtroppo iettatorio, alla lettura delle parole di un direttore (ahinoi!) che nel suo editoriale augurò senza mezzi termini a Boldrini «una malattia incurabile». (Gazzetta di Lucca). Qualche giorno fa, alla fine di maggio, il direttore in questione è stato condannato e sospeso per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti. Ora la senatrice, a cui auguriamo di cuore una completa guarigione, ha affrontato un’operazione chirurgica e la notizia ha voluto lei stessa diffonderla il più possibile «per aiutare chiunque si trovi ad affrontare un male certo non facile da combattere». Questa si chiama, a parer mio, eleganza e resilienza.
Un’altra notizia, più triste e ancora irrisolta è quella che riguarda la sorte della giovanissima Saman Habbas, la ragazza pakistana scomparsa nel nulla nelle campagne del reggiano emiliano. Molto probabilmente Saman è stata uccisa, crudelmente “consegnata” dai genitori a uno zio che hanno delegato a mettere la parola fine all’opposizione della diciottenne a un matrimonio combinato. Dopo tanti simili accadimenti, dopo il ben film Cosa dirà la gente, della regista Iram Haq, forse la sua stessa storia, vera, questa volta una reazione c’è stata: l’Unione delle comunità islamiche italiane ha annunciato che emetterà una fatwa contro i matrimoni forzati. Questo ci dà speranza anche se non ci consola della sorte che probabilmente ha spezzato la vita a questa ragazza che voleva studiare e vivere una vita normale, scelta da lei.
La sintesi di questa storia si può cercare anche nelle parole della sindaca di Novellara Elena Carletti. «Saman inseguiva la felicità, la libertà, l’autonomia da chi ha provato a seguirla».
Passiamo all’excursus degli articoli che troverete questa settimana. Si comincia con un sogno, un fantastico viaggio in un giardino, pieno di alberi e di frutti in cui siamo meravigliosamente trascinate e trascinati per poi scoprirne la terribile umanizzazione e il calvario della Shoah che passa dalla metafora alla realtà cruda realtà degli avvenimenti. É il racconto per Calendaria con la storia di Irena Sendler.
Per la serie Fantascienza, un genere (femminile). Ursula Le Guin, potrete leggere la seconda parte dell’articolo che riguarda le opere di questa feconda e visionaria scrittrice, cui furono assegnati numerosi premi per rendere giustizia a un genere troppo spesso sottovalutato.
In Dacci oggi il nostro odio quotidiano Graziella Priulla affronta l’analisi di un fenomeno preoccupante, l’odio sui social e nella rete, alla luce di un’inchiesta di Amnesty international. Proseguendo nella lettura di Vitaminevaganti sarà un piacere scoprire che cosa lega David Bowie a una cittadina della Valdinievole, insieme all’autrice di David Bowie e Monsummano, una sottile linea che non si è spezzata, mentre nella sezione Percorsi di genere potremo andare In viaggio con Agatha Miller Christie, in un racconto che percorre i luoghi e le tappe principali della vita della giallista di cui abbiamo letto tutte e tutti almeno un libro.
Continuano le conferenze del ciclo Lives narratives, dalla Turchia, che questa volta ci presentano l’eccentrica figura di Salomea Pilsztinowa, una medica a Instanbul attraverso il suo libro di memorie. Crudo o cotto, la storia del mattone vi incuriosirà su un argomento poco noto ai non addetti ai lavori.
Di filosofia come pratica di vita e come disciplina per lungo tempo appannaggio degli uomini ci parla l’interessante articolo Pratiche filosofiche e metodo autobiografico, con un’attenzione particolare sia al contributo femminile a questa scienza che all’apporto delle filosofie e pratiche orientali, mentre per la serie Teatro filosofico incontriamo Marjia Gimbutas, l’archeomitologa.
Con Auguri, Stefania, una vita lunga tutto il cinema italiano festeggiamo il compleanno di Stefania Sandrelli, che attraverso i suoi film ha saputo raccontare la storia italiana, dagli anni sessanta ad oggi e si è sempre impegnata a difesa delle donne.
Nella sezione Equitazione al femminile scopriamo Anna di Windsor, una campionessa ‘reale’, sportiva a tutto tondo, che si è cimentata con la difficilissima prova del “completo” e ha ricoperto e ricopre incarichi sportivi importanti.
Le recensioni librarie sono due: Viaggiatrici. Lo sguardo delle donne sul mondo, è un documentatissimo excursus su trenta donne che tra il Settecento e l’Ottocento hanno sfidato stereotipi e pregiudizi e hanno intrapreso un percorso di emancipazione. La via di Laura Conti. Ecologia, politica e cultura a servizio della democrazia è la biografia di una donna dalla vita intensa e difficile, partigiana, politica, scienziata ed ecologista, spirito libero e pioniera in molti campi. Una recensione approfondita e accurata è dedicata alla mostra L’Italia di Magnum allestita a Palazzo Ducale di Genova, in cui spicca l’assenza delle fotografe.
Alla fine di questa settimana inizierà l’VIII Congresso della Società Italiana delle Storiche, un appuntamento ricco di stimoli e approfondimenti che ci è presentato in articolo che ne evidenzia gli scopi. Molte delle nostre autrici ne seguiranno alcuni incontri, recensendoli per voi. Per finire Gli appuntamenti di Toponomastica femminile che sono in calendario in un articolo ormai diventato una vera e propria rubrica della rivista.
Abbiamo iniziato con il bisogno, l’urgenza, la necessità della cura. Ogni cura esige sentimento, occupazione verso l’altra persona. Richiama carezze più o meno metaforiche. Per questo ho scelto questa settimana una poesia di Herman Hesse sul bisogno di essere tenute/i per mano, un atto che ci è mancato tanto. Vi confido, perché come in altre occasioni vi sento amiche e amici, che io ora ne ho ancora più bisogno per dedicare il mio desiderio del tenersi per mano a una carissima amica che ora non sta bene, alla quale la cura e l’affetto diano di nuovo la forza e la voglia di vivere.
«Tenersi per mano – è stato detto rispetto a questa poesia – è un gesto semplice ma carico di sentimenti e di emozioni. Esprime la necessità di ritrovarsi insieme intimamente, di sentire il calore e la protezione della persona amata, a cui si chiede di non essere mai abbandonati. Le fragilità emergono soprattutto al calar delle ombre della sera, quando si sente il terreno franare sotto i piedi e vengono meno le forze…Si è disorientati, ma il contatto con la mano amorevole rasserena e permette di penetrare nelle viscere della Madre Terra, dove non c’è traccia del tempo schiacciante e di lasciarsi cullare come in sogno da una nenia cadenzata, che rassicura sul destino, che appare ombroso e feroce, e riaccende la forza di continuare a camminare, a lottare, a vivere». Forza, cara amica!
Tienimi per mano
Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne
e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…
Tienila stretta quando non riesco
a viverlo questo mondo imperfetto…
Tienimi per mano…
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano…
nei giorni in cui mi sento disorientato…
cantami la canzone delle stelle
dolce cantilena di voci respirate…
Tienimi la mano,
e stringila forte prima che l’insolente fato
possa portarmi via da te…
Tienimi per mano
e non lasciarmi andare…
mai…
(Herman Hesse, da Poesie)
Buona lettura a tutte e a tutti.
***
Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.