Abbiamo inaugurato mesi fa questa rubrica parlando di corpi: i corpi delle donne. Li abbiamo descritti, trovandoli troppo spesso controllati, violati, umiliati in nome dell’amore o mercificati, sezionati, omologati in nome dell’apparenza.
Ci sono però legioni di corpi fantasmi: donne che non vediamo perché nella società della visibilità risultano invisibili anche se sono in prima linea nelle emergenze. Mai considerate, mai citate a meno che non muoiano in modo drammatico come Luana, stritolata da un macchinario manomesso.
Chi sono?
Le lavoratrici della logistica che hanno confezionato e consegnato di tutto, costrette a subire il peggioramento delle loro già precarie condizioni di lavoro, l’intensificarsi di sfruttamento e insicurezza mentre i padroni approfittavano dei lockdown della pandemia per aumentare i profitti.
Le oltre 600mila lavoratrici di appalti magari vinti al ribasso, quelle che fanno trovare puliti e sanificati i nostri luoghi dagli ospedali agli uffici pubblici, dai supermercati agli esercizi artigianali, dalle scuole ai condomini: sono state soggette a uno sforzo eccezionale ma hanno continuato a subire contratti capestro, orari devastanti, pagamenti a cottimo. I sindacalisti spiegano che spesso le società di pulizie scompaiono senza pagare gli stipendi.
Le stagionali/schiave dei giganti dell’agroalimentare che raccolgono la verdura e la frutta arrivate nonostante tutto sulle nostre tavole e che mentre noi eravamo in smart working hanno lavorato in situazioni al limite, senza precauzioni, senza distanziamento, senza igiene nella promiscuità dei trasporti e degli alloggi, spesso costrette a ricatti sessuali dai caporali.
Le precarie sottopagate, “occasionali” che sono state rimandate a casa per prime perché prive di tutele, espulse senza complimenti dal mercato del lavoro di un’economia drogata che si regge sui bisogni delle persone meno garantite.
Gli esuberi della delocalizzazione, vittime senza nome inghiottite dal buco nero della globalizzazione selvaggia.
Donne, povere, straniere? Le più invisibili tra gli invisibili. Sono tra noi e non le vediamo. Delle loro vite, delle loro storie non sappiamo niente.
La crescita del numero di anziani e anziane nella popolazione italiana non trova adeguata copertura nell’offerta dei servizi pubblici loro destinati. Sono centinaia di migliaia le famiglie che per garantire la cura e l’assistenza dei propri cari si rivolgono in gran misura a donne straniere, identificate comunemente con l’appellativo di “badanti”.
Esse sono venute in Italia da lontano, nella speranza di dare alle loro famiglie una vita migliore; trasformate in breadwinner hanno lasciato figli, mariti, genitori, abitudini. Portano dentro ansie e rimpianti.
Le badanti e le colf svolgono un ruolo cruciale nell’assistenza ad anziani e anziane e proprio per questo sono maggiormente esposte al contagio, come ha dimostrato il numero di vittime nelle Rsa.
È diventato ormai un fenomeno stabile, benché le cifre che lo registrano siano approssimative. Secondo le stime elaborate su dati Istat, la forza lavoro in questo settore è in costante aumento: si attesta all’incirca sui 2 milioni di persone (più dei metalmeccanici), 6 su 10 senza un regolare contratto di lavoro e in alcuni casi privi perfino di quel permesso di soggiorno che almeno garantirebbe loro qualche diritto. Con la sanatoria del 2020 qualcuna è stata regolarizzata, ma si tratta solo del 20% del sommerso.
La migrazione transnazionale delle donne dedite al lavoro di cura è il risultato della moltiplicazione di più fattori: la riconfigurazione dell’economia mondiale, la nuova divisione internazionale del lavoro, le disuguaglianze e le stereotipizzazioni dei ruoli di genere tanto nei paesi di origine quanto in quelli di approdo.
L’emergenza sanitaria ha aumentato le loro responsabilità e il confinamento ha acuito la pressione psicologica di un lavoro già usurante. Il rischio si è fatto ancora più alto, i diritti meno esigibili, visto che i lavori svolti presso abitazioni private sono pressoché esclusi dai controlli. Con il terrore che il virus si diffondesse nelle case molte poi sono state licenziate (+30%) e quelle in nero cacciate, rimanendo spesso senza alloggio e nell’impossibilità di tornare nel proprio paese di origine a causa della chiusura delle frontiere.
Per il Sistema sanitario nazionale non esistono, nel senso che non hanno né un medico di base né accesso ai presidi sanitari. Se stanno male l’unica via è anche la più pericolosa: il Pronto Soccorso, proprio ciò che in tempi di pandemia andrebbe evitato.
In Italia il 50% della popolazione straniera nel suo complesso si concentra in sole 13 professioni; se si guarda alle donne straniere, però, le professioni diffuse scendono a 3: i servizi domestici, la cura della persona e le pulizie di uffici e negozi. Non possiamo ignorare che se noi abbiamo potuto entrare in forza nel mondo del lavoro e in molti casi rompere il soffitto di cristallo, in parte lo dobbiamo a questo esercito silenzioso che supplisce alle mancanze del welfare svolgendo i lavori più umili e gravosi, benché sia spesso istruito e qualificato (il 21,2% delle assistenti familiari detiene una laurea, il 54,4% ha studiato per un periodo di tempo pari alla frequentazione della scuola secondaria superiore).
Il Covid-19 ha insomma esacerbato le disuguaglianze rendendo ancor più fragile la condizione di chi lavorava già in condizioni di ricattabilità.
Ma non dovevamo uscirne migliori?
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Articolo di Graziella Priulla

Già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.