Piccole storie di piccole donne

«Hearts starve as well as bodies.
Give us bread, but give us roses!
»
James Oppenheim

«I cuori patiscono la fame come i corpi.
Dateci il pane, ma dateci anche le rose!»

Veduta di Perugia fine ‘800, foto Tilli

Spesso la pubblica carità ti dà il pane ma ti toglie le rose: è quanto voglio ricordare attraverso queste piccole storie.
Il Conservatorio delle Derelitte è un’istituzione nata nel XVI secolo per iniziativa di alcuni cittadini del Comune di Perugia con lo scopo di aiutare le fanciulle povere e orfane. Io qui voglio ricordare qualcuna di queste bambine e le loro famiglie che ho incontrato quasi per caso all’Archivio di Stato. Sono storie di tanti anni fa, ma che ci aiutano a renderci conto di chi siamo, da dove veniamo e, forse, dove stiamo andando.

Perugia, rione di Porta San Pietro, dove aveva sede il Conservatorio delle Derelitte, foto Tilli

Un giorno di qualche tempo fa all’Archivio di Stato, forse perché attratta dal nome dell’istituto, mi feci dare un fascicolo del Conservatorio delle Derelitte, quello dal 1870 al 1889, e mi misi a leggere le carte. La lettura delle domande di ammissione, tutte allegate nel faldone, fu per me sconvolgente. Mi forniva uno spaccato di vita della mia città che, devo ammettere, era facilmente immaginabile per certe classi sociali, se mai mi sarei dovuta stupire del contrario, ma una cosa è la storia anonima, fatta di dati e di numeri e altro è leggere il nome e il cognome, l’età, l’indirizzo di casa, la storia di miseria personale di ogni bambina e questa lettura fu come un pugno nello stomaco.
Tornai nei giorni successivi a leggere quelle carte. Poi c’è stata la pandemia e gli Archivi sono stati chiusi. Un giorno ritrovo in una penna USB i miei appunti sulle ricoverate del Conservatorio e decido di condividere le loro storie. Sono storie di bambine che vivono in famiglia, accanto ai propri genitori, alle sorelline e ai fratellini finché un evento traumatico, spesso la perdita di uno dei genitori, le sottrae al proprio ambiente e ai propri affetti. Storie di bambine che attraversano l’infanzia a piccoli passi leggeri, quasi invisibili ai più, alle quali viene sottratto il diritto di essere bambine.
Se la madre resta vedova può trovare solo lavori poco qualificati e talmente sottopagati che, pur non sottraendosi alla fatica, non ce la fa a provvedere alla sua famiglia e spesso è costretta a scegliere quali figli tenere con sé e quali affidare alla pubblica assistenza. Se resta vedovo il padre, che non è stato certo educato al lavoro di cura e non è in grado di occuparsi dei figli, soprattutto se sono femmine, la scelta dell’istituto risulta quasi naturale.

Per essere ammesse alle Derelitte occorre presentare domanda alla Congregazione di Carità di Perugia. È necessario che lo stato di povertà sia ufficialmente certificato e di questo sono incaricati il parroco e il sindaco. Un medico deve a sua volta certificare la “buona fisica costituzione”. «L’ammissione è fatta in via di prova per un mese, in quanto alle femmine e per un trimestre in quanto ai maschi, onde accertarsi che i fanciulli siano esenti da difetti morali e fisici incompatibili col regolare andamento della comunità. Punto terzo del regolamento». Mi riesce difficile immaginare quali difetti morali si possano attribuire a un bambino, ma tant’è, il regolamento parla chiaro.

Chi sono queste bambine? Leda Barcaroli ha 6 anni, vive con i genitori e due sorelline più piccole in via del Parione al n.34, finché Augusto, il padre, muore e la madre Veronica Ranci resta sola con la responsabilità di tre figlie piccole. Non possiede beni, non ha nessuno su cui contare, le riesce solo, come certifica l’ufficio del sindaco, di trovare «lavori di ago insufficienti affatto al mantenimento proprio e di tre tenere fanciullette». È costretta a prendere la decisione dolorosa e difficile: sarà Leda, la figlia più grande, a doversi separare dalla madre e dalle sorelline per iniziare una nuova vita alle Derelitte. E pensare che ha solo 6 anni ed ha appena sofferto la perdita del padre! La maggior parte di queste madri trova lavoro solo come donna di servizio e non sa a chi lasciare i figli. Lo spiega bene Zelinda Ricci, madre di Rosa Concetta Carlini, di 7 anni, quando scrive di essere «nella condizione di non poter provvedere né al sostentamento né all’educazione dei due figli Gaetano e Concetta Rosa, la quale ultima forma la principale preoccupazione della povera madre che la vede crescere lontana da lei e affidata a persone che non essendo in nessuna maniera tenute a prenderne cura minacciano ogni giorno di abbandonarla».
Maria Lattanzi ha 10 anni e vive con i genitori Filippo e Lucia Bianconi in via Deliziosa n.2. Rimasta vedova, la madre si rende conto che «non può neanche prestare servizi presso qualche famiglia per non potere lasciare in abbandono la propria figlia decenne, che stante l’indicata età, abbisogna di educazione e insegnamenti».
Lo stesso è per Clorinda Migliarelli, 7 anni. «La madre, essendo rimasta vedova, le conviene essere sempre fuori di casa onde guadagnare il necessario alimento e non può dare perciò un’educazione adeguata alla bambina».
Anche la mamma di Giulia Angelici, anni 6, «per procurarsi il necessario sostentamento è costretta a stare al servizio per conseguenza deve lasciare abbandonata la propria figlia senza avere nessuno a cui poterla affidare».
Vittoria Marconi entra alle Derelitte a 11 anni nel 1870. Orfana di padre, abita nella parrocchia del Carmine. La madre ha anche un maschio, Domenico. Vedova da diversi anni, presta servizio in qualità di giornaliera presso diverse famiglie. Si deduce che la donna abbia provato col suo lavoro a tenere unita la famiglia, ma ha grandi problemi finanziari perciò vorrebbe collocare la femmina in istituto «mentre da altro canto attende occupar nel lavoro il maschio Domenico». La bambina però non ha fortuna «affetta da vera diatesi scrofolosa. Ella ha raggiunto l’età di 16 anni senza aver potuto approfittare dell’istruzione che viene data in questo pio istituto, in causa l’infelicissimo stato di sua salute, a vincer il quale non valsero né la cura dei bagni né le diverse altre che per circa 6 anni parecchi medici adottarono, sia nell’istituto che all’ospedale. In conclusione, come da certificato allegato, la ragazza è incurabile, non si può in tale stato né educare né istruire […] pertanto a norma dell’art.* se ne stabilisce l’espulsione». A questo punto la madre, Santina Brega vedova Marconi, fa domanda «perché le venga accordato qualche tenue sussidio mensile per provvedere in parte al mantenimento e cura della figlia Vittoria, la quale, abbenchè avrebbe dovuto rimanere nei conservatori per altri cinque anni, fu forzata uscirne a causa della malattia scrofolosa, che tuttora gravemente l’affligge e la rende impotente a dedicarsi al lavoro». Nonostante la madre abbia presentato analoga istanza, altre tre volte, non risulta agli atti che le sia stato accordato alcun sussidio.

Perugia, la fontana Maggiore 1880ca
A sinistra piccolo mercato dei cocci
A destra fontanella di uso pubblico. La maggior parte delle abitazioni era priva di acqua corrente

Queste donne non possono contare su nessun sostegno economico pur avendo sulle spalle famiglie piuttosto numerose. Pasquina Cirimbilli ha 7 anni, orfana di padre, è di Casamanza. La madre Annunziata Cipolla scrive: «l’umile ricorrente vive meschinamente con la sola professione di lavandaia, è rimasta vedova del fu Alessandro Cirimbilli che gli ha lasciato cinque figli, il più grande dei quali di anni 8, il più piccolo di mesi 6, convive coi genitori del fu Alessandro ottuagenari e però presso che impotenti. Con facilità può arguirsi l’indigenza di questa famiglia sostenuta dalle meschine fatiche della ricorrente, oltre l’avere uno dei figli tutt’ora lattante». Sì, possiamo immaginare la fatica a cui si sottopone questa donna.
Luisa Chiavini abita in via Cantamerlo al n.8, ha 9 anni. La madre fa la bracciante ed è vedova con quattro figlie femmine di 15, 11, 9 e 7 anni. È chiaro che non ce la può fare.
Domenica Biscini ha 7 anni, è di Porta san Pietro, abita in via Guazzaoca, oggi via dei Ghezzi, al n.19, la stessa via del Conservatorio delle Derelitte. La madre, Clelia Cicala, «vedova con tre figlie di anni 12, 10 e 7, è nella impossibilità di procacciar loro il nutrimento, insiemamente alla vecchia genitrice ottuagenaria».
C’è la figlia di un farmacista, Clotilde Teodori di 8 anni. Il padre Ulisse, farmacista di Mugnano, si era trasferito a Perugia con tutta la famiglia «per coprire il posto di primo Giovane nella Farmacia di S. Martino, pochi mesi dopo conseguito tale impiego, egli moriva, lasciandola [la vedova Anna Gennardini] col carico di quattro figli, dei quali il maggiore non ancora novenne, priva di mezzi necessari alla sussistenza, anzi gravata di debiti contratti per la di lui diuturna infermità».

C’è poi Vittoria Monacelli, che si distingue dalle altre bambine per una forte personalità che la porta a scontrarsi con le regole e le “gerarchie” dell’istituto.

Confesso a questo punto la mia imparzialità: Vittoria mi risulta molto simpatica, ammiro il suo coraggio di ribelle, io, al posto suo, non credo che l’avrei avuto. È figlia di un eroe della terza guerra d’indipendenza, come si fa a cacciarla dall’istituto? Eppure…la madre Giulia Fagioli è la «vedova di Settimio Monacelli il quale arruolatosi per amor di Patria fra i volontari cadde estinto nei sanguinosi combattimenti del Tirolo il dì 24 giugno 1866». Il povero Settimio ne ha fatta poca di guerra, è morto quasi subito dato che, come racconta Uguccione Ranieri di Sorbello, i volontari partirono da Perugia il 30 maggio alle nove di sera per avviarsi a piedi verso il lago Trasimeno dove avrebbero preso il treno. La madre presenta domanda di ammissione nel 1870, quando Vittoria ha 9 anni. Viene ammessa il 2 gennaio 1871. Questa bambina già nel 1875 viene ripresa più volte per problemi disciplinari. La direttrice del Conservatorio scrive l’8 novembre al signor presidente vice Deputato Cavalier Trinci: «La sottoscritta sperava di potere con la dolcezza dei modi e con l’amore introdurre la disciplina in questo istituto di educazione» ma è costretta a constatare «l’assoluta mancanza di rispetto della ricoverata Monacelli Vittoria» nonostante i ripetuti richiami. Quindi la direttrice chiede che «questa ragazza venga rimossa al più presto acciò impedire che il suo mal esempio abbia a far peggiorare le altre». Il 10 novembre la madre «viene invitata a ritirare la figlia dall’istituto per la continua e incorreggibile insubordinazione della giovanetta Vittoria Monacelli». Ma evidentemente la madre non lo fa, tanto che alla data gennaio 1876 leggo: «La madre inutilmente è stata invitata per tre volte a ritirare la figlia. Si ordina l’immediata espulsione». Ma Vittoria a 16 anni risulta ancora lì. Povera cara combattente!

Cornelia Rossini, di anni 7, non è orfana, ma non per questo è molto più fortunata delle altre. «I genitori vivono in povertà, inoltre il padre è gravemente malato e ricoverato in ospedale con poca speranza di guarigione, la madre ha in casa altri 4 figli».
Margherita Cecchini è di Porta Sole, abita in via della Pallacorda, oggi via Baldo, al n.14. Ha 6 anni. I genitori sono carichi di figli e mancanti di lavoro. Il padre, Felice, disoccupato da diverso tempo, ha 72 anni. Ha a carico la moglie, Colomba Squadroni di anni 42 e sette figli tutti in tenera età. È lo zio Pasquale Sportolari a presentare domanda di ammissione per Fulvia Fagioli di anni 8 circa, adducendo le seguenti motivazioni: «-questa fanciulla è orfana di madre; -il padre che è miserabile dimora a Passignano del lago; -il zio esponente è un semplice industriante [?], avendo da mantenere la madre vecchia e una sorella nubile, non può mantenere anche questa fanciulla, figlia di una di lui cugina; -non avendo l’Esponente compiuto il servizio militare, potrebbe essere, da un momento all’altro, richiamato sotto le armi».
Almena Dottori, ha 7 anni, è orfana di entrambi i genitori e viene da santa Maria di Colle, Piscille.
Annunziata Lupattelli è orfana di entrambi i genitori. La domanda di ammissione è scritta e firmata dal sindaco in quanto un suo parente Lupattelli Antonio non può «per ragioni economiche e per difetto di salute più oltre provvedere alla custodia ed educazione della medesima».

Poi c’è Giuditta Matteucci detta Zelia, di anni 11, parrocchia S. Fiorenzo, vai della Berta, oggi via Cartolari; viene ricoverata per «il trovarsi orfana di padre, e di madre, morti ambedue di recente, ed in pochissimi giorni, l’essere isolata da tutti, senza parenti e priva di ogni sostentamento, non ha che la compassione umana».
Enrichetta Fagnoni ha 9 anni. Il padre Gaetano «fa il cameriere presso il comandante del vapore di mare che fa i viaggi da Genova in America e viceversa con assegno mensile di lire quaranta. La moglie Giuditta Puletti, fu seppellita per grave malattia. Lui per non perdere il lavoro è dovuto ripartire ed è stato costretto ad abbandonare le sue due bambine, Bianca di 7 anni e Marietta di 10 [quindi sono tre le sue figlie? Bianca, Marietta ed Enrichetta?]».
Ginesia Spaccatini ha 7 anni. Il padre Arcangelo è «vedovo con 6 figli, 2 maschi e 4 femmine, tutti minorenni. Il padre è impotente con il suo mestiere di buletaro [fa le bullette, i chiodi] a potere mantenere ed educare le femmine di cui domanda l’ammissione in un istituto di carità di questa città».
Laura Toni ha 11 anni ed è orfana di madre. Il padre Vincenzo «è nell’impossibilità di provvedere al di lei sostentamento ed educazione col prodotto della professione di fornaio, ed ha anche altri 4 figli tutti in tenera età».
Ginevra Santucci ha 7 anni ed è orfana di madre. Il padre Luigi «senza lavoro e con altri 3 figli maschi, senza mezzi di fortuna, ha divisato di allontanarsi da Perugia per potersi procacciare il lavoro per cui non ha come ed a chi lasciare i propri figli e come sostentarli tanto più che è di malferma salute ed avanzato in età ed avendo una figlia femmina non vorrebbe esporla a un cattivo avvenire».
Anche Norma Gaetani è orfana di madre. Ha 10 anni. «Il padre ha 4 bambini, rispettivamente di 13, 10, 4 anni e 18 mesi, fa il garzone fornaio e non ha nessuno a cui affidare i figli».
Elisabetta Picchi ha 10 anni. «Il padre vedovo ha a suo carico il padre ottuagenario impossibilitato a guadagnarsi più un pane, 5 figli, due maschi ancora piccoli e tre femmine. Fa la professione di bigonciaro [costrusce bigonci, recipienti di legno] in una bottega fuori porta S. Pietro, col prodotto del quale lavoro deve puntare al mantenimento di 7 persone. Ma il peggio si è che attendendo alla sua professione, non può vigilare all’educazione dei figli, in specie delle femmine, la più grande delle quali è diciassettenne e vorrebbe perciò torre dalle cattive occasioni almeno questa figlia in età pericolante».
Anita Dusini, di anni 9, orfana di madre, abita nel rione di San Pietro, in via Gemella n.4. Motivi della richiesta di ammissione: «-l’essere rimasta orfana di madre; -il versare la famiglia in condizioni finanziarie disagiatissime, stante gli scarsi guadagni dei componenti la famiglia stessa, discretamente numerosa e composta di figlie femmine, e perciò incapaci a procacciarsi grandi lucri, e suscettibili di maggiori esigenze» Le figlie sono quattro rispettivamente di 26, 20, 14 e 9 anni. Su quel perciò incapaci a procacciarsi grandi lucri, e suscettibili di maggiori esigenze riferito alle figlie femmine ci sarebbe da scrivere un trattato ieri come oggi.

Ho via via composto un quadro della povertà della mia città attraverso una lunga lista di bambine, una lista di miserie. Le miserie sono così, tutte simili e tutte diverse tra loro. Mi appresto ora a concludere con un caso emblematico perché riassume in sé tutte queste miserie ed è a questa bambina che vorrei dedicare il mio lavoro. Italia Serbatoli nasce il 15 ottobre 1863. La domanda di ammissione alle Derelitte è presentata dallo zio, Giacomo Ubaldi, nel gennaio 1871, per i seguenti motivi: «Mancata ai vivi or non è molto Clelia Ubaldi vedova di Paolo Serbatoli premorto ad essa, lasciò due poveri orfanelli, una femmina di 7 anni l’altro maschio di 4 anni e mezzo, Giacomo Ubaldi di lei fratello presso cui essa si era ritirata ha raccolto i due fanciulli, ma povero e con famiglia anch’esso si trova nell’impossibilità di potere adempiere ai doveri sia morali che materiali, che si è indossati nel raccorre i due orfani. È perciò che prega caldamente acciò gli venga concesso collocare la femmina nel conservatorio sopra nominato, riserbandosi tenere il maschio presso di sé fino a tanto che non sia in età di poter essere convenientemente collocato». La bambina viene ammessa il 21 maggio.
Nel fascicolo della piccola Italia è allegata la lettera del medico dell’istituto che in data 1 aprile 1873 consiglia di mandare per qualche tempo la ragazza da tempo malata a casa di una zia [Ubaldi Brigida, moglie di Giacomo]. Il 9 aprile la direttrice dispone di mandarla dalla zia. Dopo qualche tempo lo zio scrive alla direzione del conservatorio: «Illmo Signore Giacomo Ubaldi di questa città, il quale riprese in famiglia perché malata la propria nepote Italia Serbatoli che stava nel conservatorio delle Derelitte fa istanza alla S.V. Illma per ottenere un compenso per i danni e i pesi a cui questa malattia l’hanno assoggettato. Qualora esso riprese la fanciulla non credeva già che si trattasse di una terribile malattia qual è la etisia tubercolare, ma sibbene come accertava il medico del conservatorio, di una infiammazione al basso ventre. Viene di conseguenza che il presente trovandosi ad avere figlie giovani è stato costretto a isolare la malata in una camera che dovrà essere per lo meno rintonacata nell’avverarsi della morte della povera orfana. Un letto completo con paglione e materazzo, abondante biancheria necessaria ora per tenerla pulita dovrà essere distrutta. È da un mese e mezzo che le abbisogna l’assistenza di notte, ed è stato costretto a prendere una donna perché la propria moglie non poteva sottostare a tante gravi e continuate fatiche. Pel genere di malattia fa d’uopo di nutrizione abbondante, massime di carne e vino e con il caro attuale dei viveri anche ciò gli riesce gravoso. Dietro tali considerazioni ed in vista della di lui posizione tutt’altro che florida spera il richiedente che la bontà della S.V. Illma non sia aliena dall’accordargli un compenso che possa in qualche modo attenuare il danno che gliene è venuto».
L’ultima carta, senza data, presente nel fascicolo della bambina è la seguente: «Nota e valore degli oggetti che erano in uso nella camera abitata dalla fu Italia Serbatoli alloggiata presso Ubaldi Brigida: lettino di legno composto di tre tavole e di due banchini £ 4,50; paglione £ 5; piccolo materazzo e guanciale £ 10; due federe e cinque lenzuoli di canapa a due teli £ 6,50; coltrone £ 5; sovracoperta di percal £ 2,50; tre asciugamani £ 0,75; tre salviette £ 0,75; due tavoline di legno dolce £ 6; tre sedie alla teverina £ 1,50; Somma £ 42,50. Rintonaco e tinteggiatura della camera £ 15. Spese per il mortorio £ 20. Totale £ 77,50».

Non c’è bisogno di commentare.

***

Articolo di Paola Spinelli

Paola Spinelli. foto.jpg

Ex insegnante, ex magra, ex sindacalista, vive a Perugia alle prese con quattro gatti e i suoi innumerevoli hobby, ma è in grado di stare bene anche senza fare niente.

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