Carissime lettrici e carissimi lettori,
questi giorni di mezza estate, come la nominava il grande poeta inglese, ci collegano non a sogni notturni, ma a tanti ricordi, molti forieri di tristezza che riempiono il tempo, costruendo il filo della Storia d’Italia e coinvolgendo quella personale di tutti e tutte noi. Anniversari amari, sconfitte sociali, ricordi bui. Poi l’amaro prende l’attualità, la cronaca dell’oggi, in sospeso tra l’insistenza del virus coronato a non voler scomparire per sempre e le sue conseguenze negative sulla vita, soprattutto quella economica.
Sicuramente l’anniversario più importante e insieme più duro da ricordare è quello che ci riporta ai fatti di Genova e commemora (perché di commemorazione si tratta) i venti anni passati dagli avvenimenti del G8 che tra il 19 e il 21 luglio del 2001 si sono svolti in quella città, con un contorno di vera e propria tragedia, inaspettata per i giovani e per tutti i gruppi pacifisti che si apprestavano a dimostrare il loro dissenso e le loro richieste per un mondo migliore.
Una sconfitta, quella di venti anni fa a Genova, della democrazia italiana, a cui ancora non si è data fino in fondo giustizia (e sono in molti a dirlo) e soprattutto chiarezza. La morte di Carlo Giuliani, l’assalto inaspettato e violento al corteo, che era autorizzato, i Black Bloc, gli orrori della scuola Armando Diaz con i 96 feriti (anche molto gravi) e quelli che saranno i 29 tra funzionari e agenti portati a processo: «un momento di follia collettiva — è stato scritto — dove si scaricarono le peggiori pulsioni». E soprattutto la Genova del G8 è la non giustificazione democratica di tanta violenza, una “mattanza” della quale è duro capire le ragioni. Le donne a Genova furono tante, quelle del Social Forum, del Movimento delle donne riunito allora nella Marcia mondiale delle donne, un coordinamento di oltre 140 organizzazioni femministe nazionali e internazionali. A Genova pagarono un caro prezzo in violenza ricevuta anche i giornalisti e le giornaliste presenti che avevano il diritto dello sguardo su ciò che accadeva. I fatti in programma, quelli discussi dai potenti del mondo nel G8, ebbero un ruolo secondario perché era troppo grave ciò che accadeva per le strade della città, poco adatta ad accogliere così tante persone, e di quella tragedia ancora se ne sente il peso.
Fra un anno si ricorda un altro anniversario importante. Questo è accaduto in Sicilia, sempre in questi giorni del mese. Il 19 luglio del 1992 (il prossimo anno sarà celebrato appunto il trentennale) a via D‘Amelio fu ucciso il giudice Paolo Borsellino. Un eccidio prevedibilissimo, intuito dallo stesso giudice che si pensò come sicura prossima vittima dopo l’uccisione dell’amico Giovanni Falcone, in quell’attentatuni, così come i siciliani e le siciliane lo chiamano, che fece saltare un pezzo dell’autostrada all’altezza di Capaci, il 23 maggio del 1992, uccidendo con Falcone altre quattro persone, tra cui la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrata.
Anche nell’attentato del 19 luglio morirono, con il giudice Borsellino, gli agenti della scorta. Tra loro c’era una donna, Emanuela Loi, praticamente una ragazza di appena 24 anni, prima donna addetta alla protezione di un giudice a morire in un attentato di mafia.
Come ogni estate, per i non lontani giorni di inizio del mese di agosto caro all’imperatore romano che gli dette il suo nome, ritorna il ricordo di altro sangue, di altre tragedie. Prima in ordine di tempo la storia dell’Italicus. Era la notte tra il 3 e il 4 agosto del 1974 e il treno, che non era certo quello anarchico e portatore di requisiti di giustizia della Locomotiva di Francesco Guccini, passava in galleria, a San Benedetto Val di Sangro. Una deflagrazione uccise 12 persone, il più giovane aveva 14 anni, e potevano essere ancora di numero più elevato se non fosse che il treno stava viaggiando con qualche minuto di anticipo e la deflagrazione non lo colse proprio al centro della galleria. Questo sì che è un fatto degno di entrare in una poetica canzone!
A Bologna la bomba scoppiò nella sala d’aspetto della stazione centrale, al binario uno, il 2 agosto 1980. I morti furono 83 e i feriti circa duecento. Questo avvenimento lo abbiamo ricordato già la scorsa settimana con la bella canzone di Lucio Dalla, Balla balla ballerino. (Vitaminevaganti n.123)
Ritornando a luglio, proprio il giorno 19 del 1943, è necessario non dimenticare il bombardamento di Roma, le tante bombe cadute tra la via Prenestina e la stazione Tiburtina che uccisero più di mille e cinquecento persone nel quartiere di San Lorenzo, a un passo dall’università, distruggendo case e praticamente gettando a terra l’intera bella basilica romanica di San Lorenzo fuori le mura. Ancora oggi, in questo quartiere non sempre facile, si vedono sui palazzi i segni di quel giorno di guerra, della feroce contraerea americana. Oggi le cronache ricordano il quartiere romano di San Lorenzo per la triste morte di una ragazzina, Desirée Mariottini, appena sedicenne, trovata senza vita, nell’ottobre del 2018, in un cortile abbandonato, dopo aver subito droga e violenze sessuali.
La pandemia, lo abbiamo ripetuto innumerevoli volte, ha portato i danni più notevoli proprio alle donne e alle bambine. Il W20, lo Women-20 summit, che si è svolto di recente a Roma e di cui abbiamo parlato anche qui, ha voluto sottolineare di nuovo il problema. Nell’intervento di Save the Children è stato evidenziato il grave pericolo che oltre undici milioni di bambine e ragazze rischiano di perdere il loro appuntamento con la scuola «con impatti potenzialmente devastanti sulla loro salute, sulla loro sicurezza e sul loro benessere». Secondo l’organizzazione non governativa internazionale «se a livello globale i minori dei paesi più poveri hanno perso il 66% in più di giorni di scuola rispetto ai coetanei che vivono nei paesi più ricchi, la situazione è ancora più grave per le bambine: nei paesi a basso reddito hanno totalizzato, in media, il 22% in meno di giorni d’istruzione rispetto ai loro coetanei maschi. Anche se nei paesi più ricchi il gap di genere è minore (le ragazze hanno perso oltre il 3% d’istruzione rispetto ai coetanei dell’altro sesso), bambine e ragazze restano svantaggiate: basti pensare che alla fine del 2020, nel nostro paese, più di 1 ragazza su 4, tra i 15 e i 29 anni, era intrappolata nel limbo dei Neet, cioè coloro che non studiano e non lavorano». E il rischio, senza la scuola, è dietro la porta per le bambine dei paesi più poveri: dallo sfruttamento del lavoro minorile, ai matrimoni e alle gravidanze precoci che invece di diminuire, per le denunce fatte da più parti, ultimamente sono drammaticamente e pericolosamente aumentate. La salvezza è in una maggiore attenzione alla situazione femminile, soprattutto nei luoghi più poveri e dimenticati. La scuola, di cui avremo modo di parlare ancora, è una luce e un punto di sostegno e, soprattutto, di salvezza per le nostre giovanissime consorelle che non conoscono il benessere economico.
Una bella notizia al femminile arriva invece dall’Egitto, dove ancora non si trova la possibilità di soluzione alla sorte del giovane studente egiziano, Patrick George Zaky, nonostante l’acquisita cittadinanza italiana così fortemente caldeggiata dalla “sua” università, l’Alma Mater di Bologna. Si sono felicemente aperte le porte del carcere del paese nord africano per Esraa Abdel Fattah, uno dei simboli della rivoluzione araba del 2011. Era stata arrestata nell’ottobre del 2019 con l’accusa di diffusione di notizie false e collaborazione con un gruppo terroristico. Insieme a lei è stata liberata anche un’altra famosa attivista, l’avvocata e difensora dei diritti umani Mahienour el-Masry. Speriamo dunque che il cielo sull’Egitto si cominci a rasserenare!
Un premio bello a una donna per un’altra donna e al suo meraviglioso fare è arrivato da poco in questo luglio assolato e di voglia di mare. Rossana Cingolani ha vinto il premio Indiecinema film festival 2021 per il Miglior documentario che racconta del Filo dell’acqua (che è anche lo splendido titolo). È il poetico resoconto dell’opera che compie ormai da anni Chiara Vigo, l’ultima superstite che intesse, a Sant’Antioco, in Sardegna, il Bisso Marino, il filo dorato, ricavato da un particolare mollusco, con cui in tempi lontanissimi venivano create le vesti dei sacerdoti e dei faraoni. Oggi questo filo sottile, che non si può commerciare come detta un giuramento del mare, è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità e il documentario di Rossana Cingolani ne porta alta la testimonianza.
Mentre preparavo questo editoriale, sfogliando giornali e scorrendo le notizie ho trovato, come un gioiello, una lettera che mi ha colpito, e la spiegazione l’ho trovata nella firma dell’autore, l’architetto Renzo Piano, generoso ricostruttore del ponte Morandi, tra i simboli fondamentali della sua città, memore delle glorie antiche di Repubblica marinara, segnata dalle violenze di venti anni fa, e dolorosamente curva sotto il suo ponte insieme ai tanti morti (43 vittime) caduti con un suo troncone, tre anni fa, il 14 agosto del 2018.
Il ricordo di Piano è di un suo viaggio in Giappone. Mi è sembrato commovente oltre che di grande forza didattica per i ragazzi e le ragazze che stanno aprendosi alla vita. Ve lo offro in forma di “poesia” perché è carico di liricità. Un omaggio per il compleanno che l’architetto genovese qui celebra e anche per il mio appena passato.
«Quando ho compiuto sessant’anni, ormai molto tempo fa, con mia moglie feci un viaggio in Giappone, e visitai il tempio di Ise. Sa perché è importante il tempio di Ise? Viene distrutto e rifatto ogni vent’anni. In Oriente l’eternità non è costruire per sempre, ma di continuo. I giovani arrivano al tempio a vent’anni, vedono come si fa, a quaranta lo ricostruiscono, poi rimangono a spiegare ai ventenni. È una buona metafora della vita: prima impari, poi fai, quindi insegni. Sono i giovani che salveranno la terra. I giovani sono i messaggi che mandiamo a un mondo che non vedremo mai. Non sono loro a salire sulle nostre spalle, siamo noi a salire sulle loro, per intravedere le cose che non potremo vivere». (Renzo Piano al Corriere della Sera, 2 aprile 2020).
È il momento di presentare gli articoli di questo numero della nostra rivista. La donna di Calendaria è Kamran Aziz, compositrice e farmacista turco-cipriota, sportiva appassionata di hockey, dalla lunga vita intensa ed interessante. Se con Calendaria intendiamo dare visibilità a donne europee che si sono distinte in vari campi, con Toponomastica: a Torino si cambia salutiamo con gioia sette intitolazioni femminili deliberate dalla Commissione Toponomastica, che ha dato attuazione a quanto disposto dal nuovo Regolamento ispirato al riequilibrio di genere nell’odonomastica cittadina.
Aspettando Tokyo 2020 è un articolo che ci descrive l’atmosfera dei giochi olimpici in equilibrio precario, in un Giappone la cui popolazione, come ha ricordato Dario Fabbri in un suo recente approfondimento, pare poco convinta.
Le vicende storiche della antica Mesopotamia e La donna nelle civiltà mesopotamiche ci parlano di questa regione, della posizione della donna e delle popolazioni che la abitarono: Sumeri, Assiri e Babilonesi.
Nella sezione Pillole di storia continua la serie sul G8 di Genova, con La festa, il racconto della prima giornata, quella del concerto di Manu Chao e del corteo dei Migranti, su cui naturalmente i media generalisti non spesero una parola.
Due sono gli articoli della sezione Benessere e svago, che in questo periodo dell’anno ci appassiona: Yoga e ayurveda nella fisiologia della marma-terapia ci accompagna ad apprendere «un sistema di terapie ayurvediche che agisce sugli elementi sottili presenti a livello teorico nella filosofia dello yoga per spiegare come funziona l’essere umano, e apporta serenità alla persona».
La scoperta dell’ormone dell’insulina, Banting e l’importanza della ricerca scientifica ci porta invece nella cura del diabete e nella vicenda che ha portato all’utilizzo di questo ormone per la cura di questa malattia.
Per H-demica, le lettrici e i lettori avranno modo di approfondire Alcuni lineamenti per un femminismo decoloniale, tratto da un contributo fondamentale della studiosa femminista Maria Lugones, un articolo estremamente interessante sul pensiero di colei che ha sviluppato il concetto di curdling (guastare, far impazzire), inteso come forma di resistenza alla logica della purezza identitaria.
L’estate è tempo di letture e in questo numero vi accompagnamo con due recensioni: La ribellione di Maria, sui monti della Sila, sull’ultimo libro di Giuseppe Catozzella, Italiana, una recensione accurata e appassionante che attraverso la storia di una Briganta offre spunti di analisi sul problema del divario tra il Nord e il Sud del nostro Paese; e Il verde orizzonte s’infiamma di Patrizia Magli. Quarantenni in cerca d’identità nel 1990, un raffinato e colto esperimento di scrittura vintage di un’autrice di saggi che si cimenta con una prova narrativa.
Per Juvenilia, che raccoglie gli scritti del concorso “Sulle vie della parità”, potrete leggere Il racconto senza titolo vincitore ex aequo del Premio per le classi Seconde nella Sezione Narrazioni.
Chiudiamo con la tavola: Il profumo di buono è un racconto breve sul pane in chiave politica e femminista, mentre Crostata di casa Piccini con marmellata di ciliegie è la duplice ricetta dolce di questa settimana.
Buona lettura a tutte e a tutti
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.