Le donne del Decameron. Alatiel, una vergine peccatrice 

La cultura antecedente e contemporanea a Boccaccio aveva una concezione della donna abbastanza dicotomica: da un lato figure positive e pure, devote e sottomesse, da elogiare e beatificare, e dall’altro adultere e streghe, diaboliche e lussuriose, da condannare. La donna nel Medioevo era quindi considerata sostanzialmente o una santa o una peccatrice.  

La novella di Alatiel

Il Decameron è tra le prime opere letterarie occidentali che cerca in qualche modo di cambiare tale concezione, creando delle sfumature nella rappresentazione dei personaggi femminili. Ed è forse per questo che all’interno dell’opera boccacciana troviamo moltissime protagoniste, tutte diverse e mai interpretabili secondo una sola chiave di lettura.  
Numerosi studi infatti hanno dimostrato che la forza dei personaggi decameroniani, maschili e femminili, sta nella loro ambiguità. Boccaccio riesce con estrema abilità a creare figure che non siano solo positive o negative, ma con chiaroscuri e contraddizioni con l’intento di avvicinarsi il più possibile alle «humane cose». 

Alatiel, di John Buckland-Wright, XX secolo

Tra le creature femminili più apprezzate e studiate dalla critica c’è Alatiel, protagonista della settima novella della seconda giornata;  
la novella, tra le più lunghe dell’intera opera, si apre con la seguente rubrica riassuntiva di Boccaccio:  
«Il soldano di Babilonia ne manda una sua figliuola a marito al re del Garbo, la quale per diversi accidenti in ispazio di quattro anni alle mani di nove uomini perviene in diversi luoghi; ultimamente, restituita al padre per pulcella, ne va al re del Garbo, come prima faceva, per moglie» (Decameron, II 7, rubrica). 
Dunque Alatiel, figlia del sultano di Babilonia, mentre viene inviata in sposa si perde e peregrina per quattro anni in balia di nove uomini diversi. Alla fine tuttavia riesce a tornare dal padre per andare finalmente in sposa al re del Garbo passandosi «per pulcella», ovvero dichiarandosi ancora vergine.  
Ad una prima lettura sembrerebbe una storia violenta e tradizionale, impregnata di sessismo e maschilismo, in cui una donna, destinata ad un matrimonio cui è costretta, viene sequestrata e diventa amante di nove uomini diversi per poi tornare, come se niente fosse accaduto, alla sua “destinazione originaria”. E leggendo la prima parte del testo potrebbe apparire proprio così: Boccaccio rappresenta Alatiel come un oggetto in tutti i sensi: gli aggettivi predominanti sono «bella» o «bellissima», i verbi riferiti a lei sono quasi tutti al passivo e la giovane, di fronte alle sventure che le càpitano e alla violenza che vive, resta muta, limitandosi solo a piangere. Alatiel sembrerebbe quindi nella sua totalità una donna-oggetto, affascinante nell’aspetto, e per questo rapita e molestata dagli uomini che se ne innamorano e la trattano a tutti gli effetti come una merce di scambio. La ragazza passa inoltre per colpevole e peccatrice proprio a causa della sua estrema bellezza che seduce e incanta. La novella potrebbe finire qui, ed essere una delle tante rappresentazioni della concezione femminile medievale, ma Alatiel è molto di più di quello che sembra.  

Alatiel, miniatura autografa di Boccaccio in Hamilton

C’è un momento all’interno della narrazione decameroniana in cui la giovane principessa «alzò la testa» (il primo verbo all’attivo riferibile a lei); da ora in avanti in un climax ascendente Boccaccio dissemina nello sviluppo della storia delle fondamenta volte alla costruzione di uno dei personaggi femminili più iconici del suo capolavoro. Progressivamente Alatiel infatti inizia a prendere consapevolezza di sé e, anche se continuamente in balìa degli uomini, vede il lato positivo della sua situazione iniziando ad apprezzare le relazioni amorose che intreccia con coloro che la tengono prigioniera. Nei quattro anni di disavventure si salva la vita obbedendo agli uomini, ma prende pure atto della sua femminilità e dei suoi desideri, anche carnali. Da un lato sballottata e prigioniera, dall’altro progressivamente consapevole di sé stessa, trova piacere nelle relazioni con quanti la tengono.  
La metamorfosi di Alatiel raggiunge l’apice una volta tratta in salvo e tornata dal padre a Babilonia. Lì, dopo anni di apparente silenzio e passività, la ragazza finalmente parla e racconta una sua particolare versione della storia. Attraverso l’uso della parola costruisce un universo parallelo che la vede santa, casta e devota. Con un’abilità straordinaria Boccaccio riprende frasi e riferimenti alla prima parte della novella e li inserisce nel discorso di Alatiel, suscitando inevitabilmente il riso di chi legge e conosce come sono andati realmente i fatti.  
La giovane principessa è stata con nove uomini diversi, passando inizialmente come un semplice oggetto, ma progressivamente ha preso coscienza della sua situazione: sa bene che non può ribellarsi perché verrebbe uccisa e rimane muta e passiva di fronte agli eventi, ma piano piano si afferma sulla scena in quanto donna e soggetto dell’intera vicenda. E quando inizia a parlare, ultimo segnale della sua trasformazione in protagonista, costruisce con ironia un discorso unico nella letteratura. Alatiel finisce per prendersi gioco dell’intero genere maschile e dell’ambiente sessista in cui vive: racconta infatti di essere stata in conventi e case rispettabili, convincendo chi l’ascolta di essere rimasta vergine, l’unica cosa che contava nel suo tempo. E con naturalezza, come se nulla fosse accaduto, viene mandata nuovamente in sposa “illibata” al re del Garbo.  
Secondo la concezione femminile medievale Alatiel inizia la sua storia da vergine e santa, trascorre quattro anni da peccatrice, per tornare alla fine ad essere «pulcella». La straordinarietà del personaggio tuttavia non sta soltanto nella sua ambiguità (Alatiel infatti non è esclusivamente una santa o solo una peccatrice) ma nel fatto che è lei stessa a decidere per sé, su cosa vuole essere e come vuole apparire. Proprio per questo costruisce un discorso abilmente architettato che non ha nulla di vero ma che le consente di rimanere pura agli occhi della società e di sopravvivere.  

Apollonio di Giovanni, la storia di Alatiel, 1440

Alatiel insomma si afferma a poco a poco nella novella e riesce alla fine a trasformarsi definitivamente in donna-soggetto, giocando sulle convenzioni sociali e alle spalle di quei maschi che per quattro anni avevano diretto la sua vita. Alatiel è come Ghismonda (Decameron IV 1), un’altra donna che decide per sé, affermandosi attraverso un abile uso della parola. Ghismonda in chiave tragica e Alatiel in chiave ironica sono dunque due femmine che scelgono e, in qualche modo, vincono sul genere maschile. Combattono entrambe le convenzioni sociali e compiono scelte differenti: Ghismonda sceglie la morte come atto estremo di riappropriazione del suo corpo e del suo amore, Alatiel sceglie di sopravvivere ad ogni costo e con la sua narrazione si prende la rivincita su chi fino ad allora l’aveva trattata come oggetto.  
Alatiel e Ghismonda, come tante altre donne dell’universo decameroniano, compiono una parabola di autoaffermazione progressiva da donne-oggetto a donne-soggetto. Segno che le figure letterarie femminili stanno cambiando e che andando avanti nei secoli troveremo sempre meno “sante” o “peccatrici” e sempre di più “sante peccatrici”. 

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Articolo di Marta Vischi

Laureata in Lettere e filologia italiana, super sportiva, amante degli animali e appassionata di arte rinascimentale. L’equitazione come stile di vita, amo passato, presente e futuro, e spesso mi trovo a spaziare tra un antico manoscritto, una novella di Boccaccio e una Instagram story!


 

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