Le storie straordinarie di Bread & Roses

Il 25 aprile del 2019, Giornata della Liberazione, è stato un giorno davvero fortunato per la consapevolezza dei diritti femminili. In quell’occasione è nato il progetto di sensibilizzazione, pensato da un’avvocata e un’attrice, sul tema delle discriminazioni delle donne sui luoghi di lavoro. Per farlo le autrici del libro Bread & Roses non hanno scelto la via consueta dell’indignazione e della denuncia, ma hanno concepito un programma radiofonico in cui raccontare le storie di «donne che ce l’hanno fatta» e sono riuscite a ottenere giustizia con gli strumenti del diritto, un po’ come ha fatto Giusi Sammartino con il suo volume Siamo qui. Storie e successi di donne migranti sulle straniere che sono riuscite ad affermarsi nella nostra società.  

Quale miglior modo di festeggiare la liberazione dal regime nazifascista che raccontare di come ci si può liberare dal regime culturale patriarcale opprimente che da sempre discrimina le donne sui luoghi di lavoro e nell’accesso al lavoro? E quale miglior titolo di quello scelto, che si richiama alla dichiarazione della femminista e suffragista Rose Schneiderman, amica di Eleanor Roosevelt, riportata in esergo, per sottolineare l’importanza di essere rispettate nelle fabbriche e altrove? «Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole, alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose. Date una mano anche voi, donne del privilegio, a darle la scheda elettorale con cui combattere». Sì, perché se i diritti non sono uguali per tutte/i, come ci ha sempre ricordato Gino Strada, si chiamano in un solo modo: privilegi. 

Quando due donne si mettono a immaginare fanno grandi cose. Se sono un’avvocata e un’attrice possono essere un portento. Il libro di Marina Capponi e di Daniela Morozzi è l’ultima tappa del progetto Bread & Roses: Morozzi ha uno spazio su Controradio di Firenze, Capponi ha una quarantina di storie di ordinaria discriminazione al femminile da raccontare. Con il sostegno di Dalida Angelini e Barbara Orlandi della Cgil Toscana e di Marco Imponente di Controradio realizzano dieci format radiofonici e in video per Facebook e Internet in cui raccontano dieci storie di donne che hanno avuto giustizia, con una lettura scenica/radiofonica di circa quindici minuti, accompagnata da dialoghi tra l’attrice/voce narrante e l’avvocata. La serie ha grande successo di pubblico ma, per allargare la conoscenza di queste vicende a una platea più vasta, le autrici, con nuovi compagni d’avventura, hanno pensato di realizzare il libro che oggi andiamo a recensire. 

La scelta dell’opera cartacea e del progetto Bread & Roses di descrivere casi nei quali sono state le donne ad avere la meglio nei confronti di chi le discriminava è stata fatta per disincentivare la tendenza di molte a non denunciare i soprusi e i ricatti sessuali di cui sono vittime, raccontati quotidianamente dai media come sintomi di un dramma sociale di cui prendere atto con rassegnazione. 

Ogni racconto del libro, che ha la prefazione di Susanna Camusso, è seguito dal commento di giuriste e giuristi che, partendo dalle vicende narrate, esprimono le loro riflessioni, illustrando gli strumenti di tutela che l’ordinamento italiano prevede per difendere chi ha subito discriminazioni sui luoghi o nell’accesso al lavoro. Il volume è estremamente istruttivo e potrebbe essere utilizzato nei percorsi di Educazione civica sulla parità di genere nelle scuole secondarie di secondo grado, sia in quelle che prevedono il diritto nel programma di studi, sia soprattutto in quelle, come i Licei, da cui si può uscire senza conoscere in modo approfondito la Costituzione e le leggi che hanno dato attuazione ai suoi principi. 

Quelle che incontriamo sono le protagoniste straordinarie di ordinaria discriminazione, donne che non si sono arrese e utilizzando sia gli strumenti giuridici che l’intervento della Consigliera di parità e dei sindacati hanno ottenuto il riconoscimento dei loro diritti. In Mara corre, il racconto in apertura, la protagonista è molestata dal capoufficio, una situazione frequentissima sia di questi tempi che in passato. Quante donne hanno taciuto e sopportato per paura di perdere il proprio posto, soprattutto negli anni del dopoguerra, nei quali gli strumenti di tutela non esistevano! E lo hanno fatto perché si trovavano in una posizione di soggezione. Oggi questi strumenti ci sono e devono essere conosciuti, specie a scuola, il luogo nel quale capire molto bene quali diritti, oltre ai doveri, si hanno sul luogo di lavoro. Piuttosto che tante ore di alternanza scuola lavoro (oggi chiamata Pcto) che spesso, salvo rare lodevoli eccezioni, sono sfruttamento mascherato sottratto alle lezioni, corsi di conoscenza degli strumenti antidiscriminazione potrebbero contribuire ad accrescere la consapevolezza di giovani di entrambi i sessi e a creare ambienti di lavoro migliori. A volte mi chiedo se sia necessario riempire le teste delle nostre e dei nostri allievi nelle lezioni di diritto con la disciplina complessa e nozionistica delle società commerciali e continuare a tollerare che, quando studiano il contratto di lavoro, normalmente relegato nei manuali ad un capitolo di minore importanza, possano ignorare la legislazione sulle discriminazioni sui luoghi di lavoro. Eppure la maggior parte di loro si troverà ad essere lavoratrice o lavoratore dipendente, quanto garantita/o non si sa. Farei volentieri leggere questo libro a chi si occupa dei contenuti dei programmi dei vari indirizzi di studi. 

Mara otterrà la condanna del molestatore per violenza sessuale e il risarcimento del danno morale. 

Interessantissimo il commento della giurista Vetrone, che evidenzia come in Italia manchi una fattispecie specifica per i reati che avvengono sul luogo di lavoro, ma che possa applicarsi l’interpretazione estensiva del reato di maltrattamento in famiglia, solo a determinate condizioni, come la sussistenza del rapporto para-famigliare nell’azienda. Un altro elemento su cui si sofferma è l’importanza di chiedere tempestivamente l’aiuto di un/una professionista del diritto. La presentazione della querela o la costituzione di parte civile nel processo hanno termini processuali perentori. 

Terribile ma purtroppo ancora molto frequente anche la storia raccontata in Sophie una notte d’estate, che però nella denuncia di una violenza avvenuta durante il turno di notte è supportata dalla comunità aziendale, circostanza non così frequente nei casi di violenza sessuale. «Spesso le lavoratrici nei luoghi di lavoro subiscono attacchi legati al proprio genere, come apprezzamenti allusivi, battute a sfondo sessuale, inviti a cena insistenti e indesiderati, telefonate continue, gesti osceni, approcci indesiderati e toccamenti in parti intime», come precisano le autrici. 

Nel commento della giurista Yara Serafini si ricorda che le molestie sessuali offendono beni primari salvaguardati dalla Costituzione: la dignità, la libertà personale e sessuale, la salute. L’articolo 26 secondo comma del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n.198 (cosiddetto Codice delle pari opportunità) ha recepito la definizione contenuta in una direttiva dell’Unione Europea del 1973 che equipara le molestie sessuali alle discriminazioni sui luoghi di lavoro, riconducendo le prime a quei «comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». 

Degna di ammirazione per la sua eccezionalità la posizione dell’azienda, molto evoluta per quanto riguarda la conoscenza dei diritti di lavoratori e lavoratrici, presso cui è impiegata Sophie, che in questo caso ha dato corretta applicazione all’articolo 2087 del codice civile, «che prevede un generale obbligo di sicurezza sul lavoro, imponendo al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per proteggere non solo l’integrità fisica, ma anche il benessere psicologico del lavoratore» (il testo del c.c. è del 1942 e non contempla il femminile). Oltre a Mara e Sophie incontriamo Silvana, Laura, Alessia, Giulia, Ginevra, Emma, Clara e Luciana, ognuna con una storia che sarà capitata a chissà quante e in cui giuriste e giuristi nei loro commenti mettono in evidenza gli strumenti a cui ricorrere per difendersi dalle discriminazioni di genere, sottolineando anche lacune e criticità del nostro ordinamento. 

Mi piace ricordare la vicenda di Luciana che ha ottenuto giustizia contro un licenziamento discriminatorio, preceduto da un vero e proprio mobbing, doppiamente odioso per essere stato esercitato nei confronti di una dirigente aziendale che aveva sacrificato la vita al lavoro, poi ingiustamente considerata troppo vecchia, per fare spazio alle sedicenti idee innovative di un pupillo di famiglia presuntuoso ed incompetente, che avrebbe portato l’azienda a investire in campi fallimentari; o quella di Clara, impiegata nel settore pubblico, discriminata dal punto di vista retributivo perché mamma, in forza dell’interpretazione illegittima data dal Comune a una norma. In questo caso è stato fondamentale l’intervento della Consigliera regionale di parità attraverso l’Azione Pubblica, proponibile in autonomia, senza necessità della delega da parte delle donne discriminate e che, se accolta, può arrecare vantaggio a tutte le persone nella medesima condizione, anche se non hanno partecipato al processo. «Infatti, quando il giudice ordina la rimozione degli effetti della discriminazione, ne hanno beneficio anche coloro che non hanno proposto il ricorso». La vittoria di una donna che va a beneficio di altre donne che hanno subito la stessa discriminazione è stato quello che mi ha colpita di più perché più si avvicina al mio concetto di giustizia e rappresenta molto bene lo spirito del discorso di Rose Schneiderman.  

Tutti i casi riportati sono estremamente interessanti dal punto di vista giuridico ma sono belli anche per come sono raccontati e si prestano bene a un lavoro con le scuole: sia a letture recitate, sia ad approfondimenti della legislazione e degli interventi delle Consigliere di parità, sia a realizzazioni di video da cui partire con una spiegazione degli articoli violati e degli strumenti di protezione giuridica sperimentabili. 

A volte i libri ti vengono a cercare e accrescono la tua consapevolezza su quanto male è stato ed è fatto alle donne sui luoghi di lavoro. Chi scrive da ragazza è stata custode di tanti racconti di soprusi in ufficio e in fabbrica in anni nei quali alle lavoratrici che li subivano non era consentito protestare o agire in giudizio, forse solo chiedere o subire dei trasferimenti per allontanarsi dai molestatori seriali, con conseguenze significative sulla qualità delle proprie vite e di quelle delle loro famiglie. Ricordo benissimo il caso di una persona a me molto vicina che, quando andò a riferire all’amministratore delegato del comportamento del molestatore, senza peraltro fare nomi, chiedendo di essere adibita ad altra mansione, si sentì rispondere di riferirlo al suo capoufficio, quando era proprio il capoufficio il molestatore. Quanto mi sarebbe piaciuto che fossero già state approvate allora la Convenzione Ilo sulle molestie sul lavoro, la Convenzione di Instanbul o le tante normative europee attualmente in vigore! Quanta sofferenza taciuta, quante difficoltà a parlarne nei decenni scorsi, quanta difficoltà a farsi credere da parte delle donne! 

Ringrazio le autrici del libro per avermi confermata nella mia scelta di docente di diritto di sensibilizzare le nuove generazioni su queste vicende, a dispetto di chi ancora oggi osteggia simili progetti a scuola, obnubilato dai propri pregiudizi e dalla presumibile mancanza di formazione e aggiornamento su queste tematiche e su questa legislazione, di avermi aiutata a capire da dove origina la mia profonda indignazione sulle discriminazioni e di avermi dato degli spunti per divulgare tutto quello che ho appreso a beneficio delle lavoratrici presenti e future. Ma grazie anche a Paola Malacarne, segretaria di Toponomastica femminile, che mi ha fatto conoscere quest’opera preziosa, consigliabile non solo a lavoratrici e lavoratori, ma a datrici e datori di lavoro, pubblici e privati, a genitori e a studenti, per fare in modo che le donne – che in vario modo prestano la propria opera, a casa e fuori – abbiano diritto non solo al pane, ma anche alle rose, cioè al rispetto come stile di vita e di relazione. 

Marina Capponi e Daniela Morozzi
Bread & Roses. Storie straordinarie di ordinaria discriminazione
Porto Seguro editore, 2020
pp. 216

***

Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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