La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ha inaugurato il 17 novembre la mostra Antonietta Raphaël. Attraverso lo specchio. Curata da Giorgia Calò e Alessandra Troncone e promossa in collaborazione con l’Istituto Lituano di Cultura, rimarrà aperta fino al 30 gennaio 2022. Affermano le curatrici: «Utilizzando lo specchio come metafora e filo conduttore, la mostra si concentra sugli aspetti speculari presenti nella vita e nella produzione di Antonietta Raphaël: Lituania e Italia sono i suoi paesi di riferimento; pittura e scultura sono i linguaggi espressivi prescelti; sogno e religione sono ciò che stimolano maggiormente la sua creatività; femminilità e maternità sono tematiche costanti affrontate dall’artista. Infine, anche il rapporto con il marito Mario Mafai – insieme a lei tra i protagonisti della Scuola di via Cavour – è speculare; i due si osservano e si rispecchiano nelle opere e nello sguardo dell’altro mettendo in scena un dialogo affascinante che vive nei loro scambi epistolari e nei reciproci ritratti».
E la mostra, infatti, racconta, come riflessa su uno specchio, la vita intensa e operosa dell’artista attraverso la sua ricca produzione di dipinti, sculture e opere su carta, fotografie di famiglia, lettere e pagine dei suoi diari. Anche una selezione di opere del compagno di una vita, Mario Mafai, e un video documentario inedito ci aiutano ad entrare in contatto con l’artista.
Diversi sono i nuclei tematici intorno ai quali si concentra il percorso espositivo. Innanzitutto i suoi numerosi autoritratti attraverso i quali l’artista indaga il suo mondo interiore, si racconta, quasi sdoppiandosi, rappresentandosi spesso al lavoro, come appare in questa foto del 1966, o mentre scrive una lettera al marito.

Foto Alfio Di Bella, Archivio Mario Carbone

Altri concetti-chiave ricorrenti nell’opera dell’artista sono la femminilità e la maternità, che la portano addirittura ad accomunare la donna a Dio per la sua capacità di creare, concetti che ritornano nella sua produzione autobiografica di ritratti delle figlie, e soprattutto nel gruppo scultoreo Le tre sorelle, del 1936, che fa parte della collezione stabile della Galleria.
Le tre sorelle sono scolpite in un momento di intimità: Myriam la più grande, di dieci anni, legge un libro ad alta voce e le sue sorelle, Simona di otto anni e Giulia di sei, l’ascoltano attente. E proprio l’ultima, Giulia, ha deciso di donare nel 2020 la versione in bronzo al Museo Ebraico di Roma in ricordo delle bambine ebree mai più tornate dai campi di sterminio.
Le tre sorelle, 1936, cemento
Galleria d’Arte Moderna, RomaLe tre sorelle, bronzo, 1936
Museo Museo della Shoah, Roma
Tanti i ritratti che moglie e marito si facevano reciprocamente. Qui Mario in camice da pittore guarda verso Antonietta di cui sta facendo un ritratto poggiato su un improvvisato piano di lavoro. Tutta la composizione appare precaria, espressione di un istante: la posizione scomposta delle gambe, la barba lunga e i capelli disordinati del pittore, la statuetta in bilico sulla finestrella. E questa dimensione effimera, libera, è accresciuta da un colore ricco e pastoso.
Altro tema che ha dato spunto a numerose opere è la sua origine ebraica e la sua predilezione per le eroine bibliche, donne forti e combattive, che hanno saputo farsi valere in un contesto governato da dinamiche patriarcali. La sua costruzione di miti è sempre una commistione di leggenda e realtà, non prescinde mai dalla vita reale e le sue figure bibliche si caricano di tutte le angosce del suo tempo oltre che di quelle personali dell’artista. D’altra parte il continuo riferimento al suo ambiente familiare prova in modo diretto l’esigenza di restare attaccata al mondo reale.
Antonietta Raphaël, Ritratto di Mario, 1928 – olio su tela – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma Antonietta Raphaël, Il trionfo di Giuditta, 1960-61 – olio su tela – Collezione Mariani, Roma Antonietta Raphaël, Io e i miei fantasmi, 1961 – olio su tela – Collezione Berti, Roma

Proprio per tutte le suggestioni ebraiche, che ha lasciato emergere nella sua produzione artistica, Roberto Longhi la definì «la sorellina di latte di Chagall», a cui è accomunata anche per le sue composizioni oniriche e per i caldi, forti, colori con cui riesce a trasmettere le sue emozioni, i suoi istinti. Freud ci ha insegnato che il sogno è la via che porta alle radici del nostro mondo psichico e di sogni Antonietta si è servita per sondare e cercare di svelare il suo imprevedibile inconscio.
Determinanti sono state per la sua formazione anche le visite ai musei di antichità, innanzitutto il Museo delle Terme. Antonietta passa da un arcaismo iniziale, la frontalità del gruppo delle Tre sorelle (1936) alla solennità e pacatezza de La sognatrice (1946), alla drammaticità, e alla ricerca della vibrazione luministica della sua ultima produzione.
Infine la mostra esamina il rapporto di Antonietta con l’ambiente in cui viveva, con gli artisti della sua epoca, Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Katy Castellucci, Helenita Olivares, coi mecenati e collezionisti che l’hanno sostenuta.
Note biografiche
Antonietta Raphaël è nata in un piccolo paese della Lituania, Kaunas, nel 1895, ultima di undici figli di un rabbino; dopo la morte del padre e in seguito al clima di crescente antisemitismo fomentato dalla polizia zarista, che sfociò in un grosso pogrom, con la morte di parecchi bambini, ancora piccola emigrò con la famiglia a Londra, dove visse per vent’anni. Lì vivevano come potevano, con l’aiuto della nonna che faceva la ricamatrice; appassionata di musica, con grande sacrificio prese il diploma di pianista alla Royal Academy, e si manteneva con lezioni di solfeggio. Morta anche la madre, cominciò a viaggiare e, dopo un breve soggiorno a Parigi, si fermò a Roma, che divenne la sua seconda patria. Dalle pagine del suo diario: «Roma mi affascinava e mi appariva più bella che mai! Più bella ancora di tutte le descrizioni che avevo letto e così decisi di restarci un po’ più a lungo; e per non perdere tempo, andai all’Accademia di Belle Arti per disegnare il nudo. Dove d’altronde finiscono tutte le straniere intellettuali per disegnare il nudo e dipingere, ed anche per un segreto desiderio di poter dipingere Roma ancora più bella! Così, come il caso vuole, all’Accademia di Belle Arti ho incontrato il pittore Mario Mafai. E il seguito tutti lo conoscono…».
In copertina: Antonietta Raphaël, Sirena, 1943, olio su tavola – Galleria del Laocoonte, Roma/Londra
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.