Nel 2021 un libro sui primati e sulle nuove strade aperte dalle donne per tutte le altre donne serve ancora. Serve a ricordare quanta strada ha fatto il mondo femminile e quanti stereotipi e pregiudizi sono stati abbattuti, quanti gli ostacoli superati, quanta la fatica e quanto audaci le sfide lanciate, quanti i sogni inseguiti e quanti quelli raggiunti. Serve a comprendere quanto le azioni e le iniziative delle donne del passato abbiano contribuito a cambiare il mondo, il nostro mondo; serve a ricordare a tutte noi, ma anche al genere maschile, che quelle donne che hanno aperto le porte dei cambiamenti sono le nostre naturali e imprescindibili radici da cui ripartire per raggiungere altri traguardi. Un libro sui primati e sulle nuove strade aperte dalle donne serve a non fermarsi e a completare i percorsi già tracciati, perché il cammino è ancora lungo e i rischi di passi indietro sono molti. Quindi ben venga Pioniere. Storie di italiane che hanno aperto nuove frontiere, curato da Lidia Pupilli.
La narrazione è a più voci, femminili e maschili, e già questa è una bella notizia; il testo è composto da numerose biografie femminili, tutte ricostruite mantenendo i legami con il contesto storico, politico e culturale in modo da consentire a lettori e lettrici di comprendere meglio le aspirazioni e i motivi di quelle coraggiose sfide. I campi delle ricerche spaziano dalla politica alla giurisprudenza, dalla medicina alle discipline archivistiche, bibliografiche e documentarie, dallo sport alla critica artistica. Il lungo e complesso cammino di cambiamento si è diramato ovunque perché tanti erano i campi vietati alle donne; ogni volta una sfida, a partire dalla possibilità di accedere all’istruzione secondaria e universitaria, entrambe precluse fino al 1875 (regio decreto del ministro dell’Istruzione Bonghi che ha consentito l’iscrizione universitaria alle studenti) e al 1883, quando fu concessa alle ragazze l’iscrizione al ginnasio, al liceo e agli istituti tecnici. Da allora sono state innumerevoli le pioniere capaci di esplorare territori nuovi, intraprendere professioni inimmaginabili fino a quel momento, lanciare idee di cambiamento, proporre nuovi modelli di vita.
Numerose le donne ricordate nel libro e molte altre ce ne sarebbero da raccontare, alcune ancora tutte da riscoprire. Una folta schiera, certo, ma in ogni branca del sapere e in ogni campo professionale le pioniere si sono ritrovate quasi sempre in poche, quando non del tutto sole. E i numeri esigui, messi a confronto con quelli dei loro colleghi, le rendono ai nostri occhi ancora più forti, coraggiose, audaci, in una parola toste.

Tosta è stata Emma Strada, la prima donna italiana a laurearsi in Ingegneria.
L’evento fu così importante per la società di allora da meritare un posto nell’edizione del 7 settembre 1907 del quotidiano La Stampa. Anche per gli stessi docenti universitari fu una novità con cui fare i conti: come viene ricordato nel libro, la commissione di laurea del Regio Politecnico di Torino impiegò un’ora per proclamare il conseguimento del diploma di laurea, indecisi come erano se chiamare Emma «“ingegneressa o ingegnere”, scegliendo alla fine “il termine corretto”, o almeno quello che all’epoca venne considerato tale: ingegnere». E visto che lo stesso dilemma attanaglia ancora oggi molte persone quando devono declinare al femminile la parola ingegnere, direi che la strada da fare è assai lunga. Ingegneria è tuttora considerata una facoltà poco femminilizzata, nonostante il numero delle studenti iscritte sia cresciuto negli ultimi anni. È facile immaginare come doveva sembrare strana la presenza di una ragazza nei corridoi e nelle aule della facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma durante il periodo del fascismo. Quella ragazza si chiamava Franca Maria Matricardi, l’unica studente iscritta negli anni Trenta, un’altra giovane tosta davvero, con idee chiare e spirito intraprendente.

Non uniche, ma comunque poche, erano le otto magistrate che nell’aprile 1965 entrarono per la prima volta in servizio insieme ai loro colleghi, che erano 179. Il benvenuto che ricevettero dal procuratore generale della Corte d’appello Luigi Giannantonio fu un rimprovero rivolto al legislatore che, a suo dire, aveva commesso un grave errore ammettendole in magistratura. Aggiunse, come se non bastasse, che l’unico modo possibile per limitare il danno era quello di impegnare le magistrate nelle aule dei tribunali minorili. La strada era stata aperta qualche anno prima da una risoluta laureata in Scienze politiche, Rosa Oliva De Conciliis, che presentò ricorso dopo il rigetto della sua domanda di partecipazione al concorso per la carriera prefettizia. Da quel gesto consapevole e determinato scaturì «la storica sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 13 maggio 1960: fu questa a consentire l’iter che tre anni dopo avrebbe aperto le porte a tante aspiranti prefette, diplomatiche e magistrate».

Lungo e complesso anche il percorso intrapreso dalle giovani che volevano diventare mediche. Spesso i primi impedimenti erano nella famiglia d’origine, che avrebbe preferito per loro di gran lunga una vita anonima e tranquilla all’interno delle mura domestiche. C’erano poi le diffidenze di studenti e docenti negli anni di studio, la diffidenza delle persone da curare, la diffidenza delle autorità, come successe alla medica Adelasia Cocco desiderosa, nel secondo decennio del Novecento, di ottenere la condotta in Barbagia. La sua richiesta ricevette subito il deciso rifiuto da parte del prefetto di Nuoro e solo successivamente, constatato che nulla impediva l’incarico, le venne assegnata la condotta nel quartiere Seuna di Nuoro.

Dovevano essere tenaci, competenti, coraggiose, intraprendenti le mediche condotte, su e giù con qualsiasi tempo e con ogni mezzo a disposizione: carretto, bicicletta, mulo e, quando non c’era nulla, anche a piedi. Così si muoveva Ginevra Corinaldesi, medica condotta nella provincia di Ascoli Piceno. Mia madre la ricorda disponibile, gentile, premurosa come quando le restò a fianco all’inizio delle doglie per la nascita della sua primogenita. Quella primogenita ero io e di Ginevra Corinaldesi ho sempre sentito parlare come di una persona eccezionale.
Vorrei concludere questa rapida presentazione del libro Pionere ricordandone i primi tre capitoli, dedicati alla politica, la cui narrazione comincia dal primo grande divieto per le donne: quello di esercitare il diritto di voto, divieto rimosso solo nel 1946. In quel momento è cominciata la lunghissima e tortuosa strada delle donne in politica, che ha visto l’impegno delle 13 donne nominate nella Consulta, delle prime sindache elette in Italia e delle 21 Madri Costituenti alle quali spettò «l’alto compito di delineare la fisionomia della nuova Italia repubblicana». Come si può leggere nella citazione di Marisa Rodano tratta dal suo Memorie di una che c’era «[il diritto di voto] mutò la consapevolezza che le donne avevano di sé stesse: ora erano chiamate a decidere in prima persona, a dover scegliere. Non potevano più considerare la politica una faccenda “da uomini”». Ma gli uomini cominciarono, in quel momento, a considerare la politica una faccenda “per le donne”? Lo scarso numero di sindache elette nelle ultime elezioni amministrative sembra dimostrare che ancora oggi le considerino dei corpi estranei e che siamo ancora distanti da una reale parità. In questi giorni si parla, di nuovo, della possibilità di eleggere una donna alla Presidenza della Repubblica. Sono anni che il dibattito si anima in prossimità dell’elezione e che si spegne subito dopo con un nulla di fatto. Sarà giunto il momento di fare questo passo importante?

Lidia Pupilli (a cura di)
Pioniere. Storie di italiane che hanno aperto nuove frontiere
Aras Edizioni, Fano (PU), 2021
pp. 272
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.