La nascita del romanzo sociale inglese: Charles Dickens

A cosa si pensa quando si sente il nome di Dickens?

Si pensa al Natale e alla redenzione dell’avaro Scrooge, o ai romanzi per la gioventù, oppure a quelli umoristici o di critica sociale? Charles Dickens significa tutto questo, e molto altro. Nonostante il passare del tempo, le sue opere per lo più non sono invecchiate e si leggono sempre con rinnovato piacere, magari in traduzioni recenti e in edizioni attuali. Devo tuttavia confessare che, oltre alle indispensabili letture, a me, e probabilmente a molte persone della mia generazione, vengono in mente le notevoli trasposizioni televisive, gli “sceneggiati” della Rai, come si diceva una volta. Va spezzata una lancia a favore della altissima qualità di certe produzioni che avevano davvero uno scopo educativo, di promozione culturale, di avvicinamento ai classici immortali: l’Eneide, l’Odissea, La cittadella, Una tragedia americana, I miserabili, I fratelli Karamazov, I promessi sposi, Le avventure di Pinocchio, Il giornalino di Gian Burrasca e l’elenco potrebbe allungarsi di parecchio. E Dickens, certo, non fu dimenticato: fra 1965 e ’66 fu la volta di un pregevole David Copperfield, per la regia di Anton Giulio Majano, con le musiche di Riz Ortolani e l’interpretazione del bambino Roberto Chevalier e poi del giovanissimo Giancarlo Giannini. È rimasto vivo pure il ricordo di una originale edizione che fece epoca del Circolo Pickwick, per la regia di Ugo Gregoretti, trasmessa fra febbraio e marzo 1968, con un cast di attori e attrici di alto livello, provenienti dal teatro; la sigla era cantata da Gigi Proietti, accompagnato alla chitarra da Lucio Battisti, e scusate se è poco… Tanto per dare un’idea dei mezzi impiegati, delle scelte, delle collaborazioni della Rai in bianco e nero, in cui lavoravano personaggi del calibro di Andrea Camilleri. Le opere di Dickens hanno continuato ad ispirare serie televisive, anche recenti o addirittura in fase di realizzazione, fra cui quella pluripremiata della Bbc tratta da Grandi speranze, e film di successo, oltre che diqualità, come Oliver Twist per la regia di Roman Polanski (ma ne è appena uscita una versione attualizzata, regista Martin Owen). Per non parlare della Disney che si è “appropriata” del classico più classico che ci sia: Canto di Natale (1983) con Topolino e zio Paperone, ripreso in modo curiosamente avveniristico da Robert Zemeckis nel 2009, con Jim Carrey nel ruolo di Ebenezer Scrooge.

Targa in memoria di Charles Dickens
affissa a Cleveland Street, 22, Londra

Ma procediamo con ordine, passando alla vita ricca di eventi di Dickens, inglese purosangue, e alla sua vasta produzione in cui fa sfoggio della vena caustica, del sottile umorismo, della capacità critica che, secondo diffusi stereotipi, dovrebbero caratterizzare il suo popolo.
Charles John Huffam nacque a Landport, presso Portsea, il 7 febbraio 1812, secondo degli otto figli di una famiglia modesta, divenuta in seguito povera; trasferitosi nella capitale, vivendo in un quartiere degradato, fu in contatto con la dura realtà da cui apprese mille lezioni di sopravvivenza e imparò a osservarsi intorno.

Lavorò in una fabbrica di lucido da scarpe, sfruttato per 10 ore al giorno, poi come stenografo parlamentare, altra esperienza istruttiva. Nel 1833 comparvero i primi bozzetti sul Monthly Magazine, ma la vera svolta professionale avvenne nel 1837 quando cominciò a pubblicare a puntate mensili il romanzo The Posthumous Papers of the Pickwick Club, noto in Italia come Il circolo Pickwick; fu il successo immediato. Qui venne utilizzata una vasta gamma di personaggi, spesso ridicoli, inseriti in quadri e scene che ruotano intorno al club, dove i signori si ritrovano per fumare, bere, chiacchierare, perdere tempo. Intanto Dickens si era sposato e con la moglie Catherine Hogarth ebbe dieci fra figli e figlie, anche se in seguito non si rivelò un’unione felice. Uscirono uno dopo l’altro, a grande velocità, i capolavori senza tempo che buona parte di noi ha letto, specie in gioventù: Oliver Twist (1838), Nicholas Nickleby (’39), The old curiosity shop (’41), Barnaby Rudge (’41), A Christmas Carol (’43), The Chimes (Le campane, composto a Genova nel 1844), David Copperfield (’50), Hard times (’54), Little Dorrit (’55), Great expectations (’61) e molti altri, noti e meno noti. Nel 1844 venne stampato il reportage Pictures from Italy, frutto delle soste in varie città della penisola: Genova, La Spezia, Bologna, Carrara, Roma, Napoli, Mantova.

Certo è che seppe utilizzare la fama raggiunta per fini nobili: viaggiando in America e in Italia tenne conferenze seguitissime; ogni occasione era buona per trattare problemi sociali (come l’odiosa schiavitù) e mettere in luce le storture della sua età, quelle delle istituzioni in primo luogo, incapaci di tutelare le persone più deboli, afflitte da disoccupazione, povertà, malattia, abbandono. Fece sua anche la campagna internazionale a favore del diritto d’autore, mentre continuava a occuparsi attivamente dell’amato teatro e di carta stampata, fondando e dirigendo quotidiani (The Daily News) e riviste, fra cui All the Year Round che riscosse un grande successo. Non tutte le opere ovviamente gli riuscirono al meglio, ad esempio la sua storia d’Inghilterra per l’infanzia dimostra un modesto approccio all’evoluzione temporale e conoscenze lacunose; altrove i personaggi, pur memorabili, sono delineati in maniera frettolosa, gli intrecci appaiono piuttosto meccanici e si indulge in un certo sentimentalismo, tuttavia i dialoghi sono sempre vivaci e realistici e le ambientazioni efficaci. Il suo lavoro rimane il quadro più veritiero e spietato di una intera epoca e di una metropoli che si stava evolvendo a vista d’occhio, con le vistose disuguaglianze, l’inquinamento dell’aria (ma si parlerà di smog solo dal 1905), la delinquenza, la miseria, la prostituzione. Ricordate come si procura da vivere l’orfanello Oliver Twist? Umorismo nero, ipocrisia della società vittoriana, pratiche educative a base di dure percosse, capovolgimento del romanzo di formazione, critica feroce a quegli enti pubblici che dovrebbero occuparsi dell’infanzia abbandonata… Ricordate la sorte di Nicholas Nickleby, costretto a divenire fin da ragazzino il sostegno economico della famiglia? Ricordate l’evoluzione di David Copperfield? In questo caso siamo di fronte a una forma di autobiografia romanzata perché le vicende narrate si avvicinano a quanto vissuto da Dickens stesso; la critica ha parlato di industrial novel per l’esplicita trattazione delle tematiche legate allo sfruttamento minorile e delle donne nelle fabbriche.

A proposito di figure femminili, che non mancano affatto nelle sue opere e non sono solo di contorno, mi vorrei soffermare sul romanzo che finalmente, fin dal titolo, ci fa incontrare una donna, inizialmente bambina: La piccola Dorrit, pubblicato nel corso del biennio 1855-57. Si tratta di un testo assai bello, forse meno noto di altri, in cui precipitiamo in un universo che può parere incredibile, ma era la realtà del tempo: i prigionieri, in carcere, a determinate condizioni potevano tenere con sé la famiglia; così accade al signor Dorrit che porta nella cella la moglie, un figlio e una figlia ancora piccoli. Amy addirittura nasce e cresce in carcere; presto orfana di madre (dato ricorrente nella produzione di Dickens), divenuta giovinetta, comincia a lavorare all’esterno, presso la signora Clennam di cui conoscerà il figlio Arthur, rientrato dall’Oriente. Grazie a una serie di circostanze positive, la famiglia riceve una cospicua eredità che fa estinguere il debito, per cui il padre può uscire dal carcere. Il denaro dà alla testa all’uomo che porta la famiglia a giro per l’Europa, ma ha aspettative assurde per la figlia Amy, che ama invece Arthur. Alla morte del padre, la ragazza, sempre affettuosa, dolce e comprensiva, soffre molto, mentre una catastrofe economica coinvolge Arthur che finisce in prigione a sua volta. Amy non può abbandonare l’amato e gli è vicina, lo cura, lo sostiene e infine lo sposa. Anche qui i temi sociali sono evidenti, a partire dalla burocrazia che stritola le persone ingenue e da quel carcere dove lo stesso padre di Dickens entrò per debiti e ciò volle dire la fine dell’istruzione e la ricerca di uno squallido mestiere per il figlio dodicenne. La redenzione per chi è puro di cuore e ha un animo gentile è tuttavia assicurata ancora una volta nel romanzo, in cui possiamo notare che Dickens aveva molto apprezzato l’Italia e l’indole della popolazione, a suo dire buona e sincera, tanto da fargli inserire nella trama un bel personaggio di italiano, Giambattista Cavalletto, uomo semplice e generoso.

Statua di Dickens e Little Nell

Un’altra protagonista femminile si trova nel romanzo, quasi sconosciuto in Italia, La bottega dell’antiquario (1841), ambientato nell’Inghilterra del 1825; siamo di fronte ad una ennesima orfanella, allevata con amore dal nonno, che si ritrova tuttavia in miseria a causa del gioco.
I due lasciano Londra e il loro negozio per vivere di accattonaggio, fra innumerevoli peripezie e incontri con creature amichevoli o perverse. Il finale stavolta non è consolatorio: Nell muore di stenti e il nonno la veglia disperato sulla tomba, prima di morire di dolore. A questo proposito voglio condividere alcune curiosità: visto che il testo compariva a puntate, si sa che il pubblico parteggiava per la protagonista, scriveva all’autore dandogli suggerimenti e protestò non poco alla sua triste fine.

Il romanzo piacque particolarmente a Edgar Allan Poe, anche se il finale gli sembrò troppo sentimentale; inoltre nel celebre musical Cats (1981), ambientato fra i gatti dei bassifondi, il vecchio Asparagus ricorda in una canzone la povera, piccola, fragile Nell, oggi immortalata con il suo creatore in una statua a Filadelfia.

Se la carriera professionale di Dickens è stata felice, luminosa, prolifica, la vita familiare e il matrimonio non sono andati di pari passo: nel 1858 si separò dalla moglie, che tuttavia mantenne fino alla fine; riprese quindi vecchie relazioni, ma senza continuità. Nel 1865, dopo essere sopravvissuto ad un terribile incidente ferroviario, si recò di nuovo in America ma la sua salute vacillava per i postumi di un attacco di paralisi. Nel 1870 fu colto da una emorragia cerebrale e il 9 giugno morì a Higham; il 14 giugno fu trasportato con un treno speciale a Londra e sepolto con tutti gli onori nell’Abbazia di Westminster nel Poets’ Corner.

Il tempo è passato inesorabile, 210 anni dalla nascita sono tanti, ma il ricordo dello scrittore e delle sue opere è vivo più che mai: nella città di Chatham, nel Kent, è stato realizzato il Dickens World, un parco-museo a tema, inaugurato il 25 maggio 2007.

Dickens World a Chatham

Un cratere sulla superficie del pianeta Mercurio ha preso il suo nome e una lapide è stata posta nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna dove era venuto in visita nel 1844.

Lapide di Charles Dickens al Cimitero monumentale della Certosa di Bologna

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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