Ida Pfeiffer è stata una delle viaggiatrici più intrepide del XIX secolo: non solo per il numero di chilometri percorsi, ma anche per la sua capacità di far fronte a situazioni critiche, sempre con un budget ridotto all’osso. Ha visitato regioni pericolose in tutti i continenti, pubblicando resoconti che hanno intrattenuto e istruito innumerevoli lettori e lettrici. Era amata dal pubblico e rispettata da scienziati e geografi, e divenne la prima donna ad essere ammessa come membro onorario alle Società Geografiche di Berlino e Parigi.
La piccola Ida Reyer nasce a Vienna nel 1797, in una famiglia benestante di commercianti; è la terza nata, insieme con sei fratelli e una sorella. Il padre, Aloys, è un convinto assertore della parità fra i sessi e i suoi figli sono educati insieme, incoraggiando la competizione tra loro ma insegnando anche solidi valori di onestà, lealtà, determinazione e richiedendo a tutti di esercitare la parsimonia, temprare il fisico e imparare a resistere al dolore. Questo tipo di educazione paritaria e spartana dura fino ai 9 anni: «Non ero timida – scrive nella sua autobiografia – ma selvatica come un ragazzo, più coraggiosa e sfrontata dei miei fratelli maggiori». Nel 1806 la morte del padre mette fine a questa situazione, la madre cerca di intervenire e fare di lei una heiratsfähig, una ragazza da marito: deve indossare abiti femminili, imparare a suonare il pianoforte, applicarsi al lavoro a maglia e al ricamo. Pfeiffer reagisce duramente alle imposizioni, arrivando a procurarsi tagli alle dita e bruciature alle mani con la cera dei sigilli pur di non eseguire queste attività tipiche delle donne.
Una figura importante nella sua educazione è l’istitutore Franz Emil Trimmer: sensibile e aperto, oltre a istruirla nelle materie convenzionali previste per una ragazza dell’epoca, le fornisce libri di viaggio che le rivelano un mondo esotico di avventure. Ida si innamora perdutamente di lui, ma non può sposarlo per questioni di censo; la loro relazione finirà con il licenziamento di Trimmer, che lascia però un segno indelebile nella ragazza. Dopo aver rifiutato per anni una serie di richieste di matrimonio, la giovane acconsente infine a sposare Mark Anton Pfeiffer di Leopoli (oggi L’viv, in Ucraina), un vedovo benestante di 24 anni più anziano. Trasferitasi a Leopoli dà alla luce due figli e una bambina, che morirà subito dopo la nascita. Quando il marito, un avvocato onesto, scopre un grave caso di corruzione, il suo studio viene boicottato e Pfeiffer deve sostenere il bilancio familiare dando informalmente lezioni di disegno e musica ai rampolli della ricca borghesia cittadina. Anche a causa di queste difficoltà finanziarie la coppia si separa, seppure ufficiosamente, e a partire dagli anni Venti il marito si sposterà per cercare lavoro in Galizia, in Svizzera e a Vienna, mentre Ida si occuperà dell’educazione dei due figli maschi. L’eredità della madre, morta nel 1831, le consente una piccola rendita che le permette di separarsi definitivamente, tornare a Vienna e offrire ai ragazzi una buona istruzione.
Dopo la morte del marito nel 1838, con i figli ormai adulti, Pfeiffer considera i suoi impegni familiari esauriti e può finalmente seguire la sua passione per i viaggi e l’avventura. Durante una gita di famiglia a Trieste vede il mare per la prima volta e, afferma, si risveglia in lei «un’irrefrenabile voglia di viaggiare». Alcuni fattori, oltre alla modesta rendita, favoriscono la sua indipendenza: innanzitutto, la severa educazione ricevuta durante l’infanzia l’ha abituata a vivere parsimoniosamente, perciò, pur avendo impegnato quasi tutto il patrimonio per l’istruzione dei figli e per sanare i debiti del marito, Pfeiffer amministra i suoi scarsi beni con oculatezza. Inoltre, pur vivendo in un ambiente borghese che prevede una rigida separazione dei ruoli in base al genere, riesce a sfruttare la relativa libertà che le concede l’età avanzata: infatti il controllo sociale sulle donne anziane, ormai meno importanti di quelle giovani perché non più fertili, è notevolmente inferiore. Infine, non deve più preoccuparsi del suo aspetto fisico e gode di più libertà sia nel comportamento che nelle opinioni. Le sue avventure possono avere inizio.
È il 22 marzo 1842, ha 44 anni: Pfeiffer parte per il primo dei suoi cinque viaggi. Deve comunque trovare un valido pretesto: con i 600 fiorini risparmiati scende lungo il Danubio per raggiungere Costantinopoli e visitare un lontano parente. Una volta arrivata, il rientro a Vienna non è certo fra le sue priorità: il viaggio prosegue verso la Terra Santa, una meta decorosa e appropriata per una donna sola che aveva ormai adempiuto agli obblighi familiari. Prosegue attraverso Beirut fino a Gerusalemme, visita il Mar Morto, Damasco, Baalbek e si dirige ad Alessandria d’Egitto; di qui tornerà verso est visitando Il Cairo e raggiungerà Suez a dorso di cammello. Per il rientro sceglie un percorso del tutto diverso: dal Nord Africa si imbarcherà per la Sicilia, farà tappa a Napoli, Roma e Firenze; rientrerà infine a Vienna solo dopo nove mesi, nel dicembre del 1842.
Le sue avventure e i suoi racconti destano grande interesse e, incoraggiata dalle amicizie, l’anno seguente pubblica il suo diario di viaggio, rigorosamente anonimo: non è infatti opportuno, per una donna del suo ambiente, esporsi dichiarando la “maternità” di un testo di questo genere. Tuttavia, per il suo stile sobrio e la credibilità delle descrizioni Reise einer Wienerin in das Heilige Land (Viaggio di una viennese in Terra Santa) ottiene un grande successo di pubblico. Il nome di Pfeiffer apparirà solo nella quarta riedizione del 1856, ma intanto le vendite le permettono di finanziare altri viaggi. Pfeiffer si rivolge adesso all’estremo nord d’Europa. Innanzitutto impiega i primi mesi del 1845 per prepararsi coscienziosamente: consapevole dei propri limiti culturali si impegna a studiare le scienze naturali, impara le basi della tassidermia e della botanica, qualche rudimento di fotografia, l’inglese e il danese (l’Islanda e la Norvegia sono ancora parte del regno di Danimarca). In aprile parte e attraversa Praga, Amburgo, Kiel; raggiunge Copenaghen e si imbarca per l’Islanda. Sbarca nel sud dell’isola il 15 maggio e vi rimane fino al 29 luglio, poi rientrerà in Danimarca e proseguirà per la Norvegia e la Svezia. Tornata a Vienna nell’ottobre del 1845 riordina i suoi appunti e l’anno successivo appaiono i due volumi di Reise nach dem Skandinavischen Norden (Viaggio nel nord scandinavo), apprezzato non solo dal pubblico ma anche dagli studiosi: le informazioni sul nord in generale sono scarse, in particolare quelle sull’Islanda, lontana dalle rotte atlantiche e dagli interessi geopolitici dell’Europa continentale. Inoltre, Pfeiffer ha riportato una collezione di esemplari di animali, piante, minerali e oggetti tradizionali da vendere a musei o collezionisti. Con il ricavo può finanziare i suoi nuovi, e più ambiziosi, viaggi.
Nel maggio del 1846 riparte, questa volta per il Sud America; per risparmiare raggiunge il Brasile a bordo di un cargo danese; qui, tra le altre avventure, sfugge a un tentativo di omicidio. A febbraio 1847 attraversa il tempestoso Capo Horn e giunge a Valparaíso in Cile. Prosegue per Tahiti, dove la riceve la regina; si imbarca nuovamente per raggiungere l’Asia, visita Macao, Hong Kong e Canton. Nell’ottobre del 1847, via Singapore e Ceylon, raggiunge l’India. Qui visita Calcutta, Benares e Bombay. Ospitata da indiani facoltosi, che apprezzano la compagnia di questa donna esotica e colta, partecipa alla caccia alla tigre. Nell’aprile del 1848 prosegue attraverso la Persia e raggiunge Baghdad; con una carovana visita le rovine di Babilonia e Ninive, dove ha un burrascoso incontro con una tribù nomade. A Tabriz frequenta il console britannico, profondo conoscitore dell’area, che rimane molto impressionato dalle sue imprese. Attraverso l’Armenia, la Georgia, Odessa, Costantinopoli e Atene rientra a Vienna nel novembre del 1848, subito dopo la repressione dei moti rivoluzionari che hanno scosso l’Impero. La narrazione di questo viaggio è pubblicata nel 1850 in tre volumi, con il titolo Eine Frauenfahrt um die Welt (Il viaggio di una donna intorno al mondo).
Giunta all’età di 54 anni, sembrerebbe decisa ad abbandonare i viaggi; invece, nel maggio 1851 decide di lasciare Vienna diretta a Londra, per arrivare poi in Sudafrica. Da Città del Capo si sposta a Singapore per esplorare l’attuale Indonesia, con Borneo, Giava e Sumatra. È così la prima donna occidentale ad attraversare l’isola di Borneo; sull’isola di Sumatra incontra la popolazione dei Dyak, che avevano fama di praticare il cannibalismo. Non sembra aver avuto conflitti con questa gente, che ricorderà sempre con affetto: nel suo resoconto afferma di averla convinta lei stessa a non cibarsi delle sue carni, ormai troppo vecchie e rinsecchite. Si trasferisce in Cina dove, nuovamente grazie al suo aspetto fragile di donna anziana, riesce a evitare di essere assimilata agli odiati imperialisti inglesi.
Pfeiffer riparte e riattraversa l’Oceano Pacifico: sbarca prima alle Isole della Sonda, quindi alle Molucche; nel settembre 1853 giunge in California. Qui visita alcune cittadine di minatori e assiste alle fasi finali della corsa all’oro. Si dirige quindi in Sud America, soggiornando in Ecuador e Perù. A causa di una rivolta deve abbandonare il progetto di attraversare le Ande per andare in Brasile; ritorna in Ecuador, risale il continente e nel maggio del 1854 rientra negli Stati Uniti passando da Panama. A New Orleans assiste alla vendita degli schiavi: un evento che la impressiona profondamente e che riporterà nel suo resoconto, deplorandolo. Risalendo il corso del Mississippi, raggiunge Chicago, i Grandi Laghi e le cascate del Niagara. Dopo aver soggiornato a New York e Boston, nel novembre 1854 rientra a Londra. Nel 1856 pubblica la descrizione del viaggio in quattro volumi, intitolati Meine zweite Weltreise (Il mio secondo viaggio intorno al mondo). A questo punto è così nota che la rivista di moda viennese Die Wiener Elegante pubblica un’illustrazione, rimasta famosa, di Ida Pfeiffer in “abito da viaggio” con un retino per farfalle.
Ormai quasi sessantenne parte nuovamente nel maggio del 1856 per quello che sarà il suo ultimo viaggio: si imbarca a Rotterdam con l’intenzione di raggiungere l’Australia, l’unico continente che non ha ancora visitato. Invece rimane diversi mesi alle Mauritius e nell’aprile del 1847 prosegue per il Madagascar. Qui intrattiene un rapporto di amicizia con la regina Ranavalona, nonostante la nota ostilità della sovrana verso le persone straniere; ha così occasione di visitare la capitale Antananarivo e l’interno dell’isola. A causa della presenza dei francesi, che intendono annettere l’isola alle proprie colonie e provocano sommosse e disordini, Pfeiffer viene accusata di spionaggio e incarcerata insieme ad altri cinque europei. Riesce a fuggire e, solo dopo una marcia di 53 giorni in terreni paludosi e infestati dalla malaria, raggiunge la costa e si imbarca nuovamente per Mauritius; nel febbraio del 1858, dato il suo stato di salute, è costretta a rientrare in Europa, ma riesce a raggiungere Vienna solo nel settembre. Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, in seguito alle conseguenze della malaria, Pfeiffer muore, lasciando incompiuta la sua testimonianza di questo ultimo viaggio: il libro in due volumi Reise nach Madagaskar (Viaggio in Madagascar) sarà pubblicato postumo dal figlio Oscar.

Ida Pfeiffer è stata una studiosa autodidatta, un’esploratrice e un personaggio pubblico. I suoi libri furono molto apprezzati come lettura divulgativa nell’alta borghesia. Benché riflettano il modo di pensare del suo tempo, l’autrice offre un’interpretazione personale, adeguatamente motivata, di quanto espone, allontanandosi dagli stereotipi. Ad esempio, quando definisce le donne mediorientali ignoranti e pigre, benché amichevoli e fiduciose, aggiunge che le ritiene più felici, nel complesso, delle loro controparti europee. Molte delle sue opinioni sono in aperto contrasto con i tempi e l’ambiente dal quale proviene: Pfeiffer si dimostra sempre sensibile verso quegli individui ― in particolare donne e bambini ― che sopportano terribili sofferenze in fondo alla piramide sociale. Se la schiavitù colpisce il suo senso di giustizia e viene condannata duramente, non esita però a paragonarla alla situazione di molti contadini europei e dei fellah egiziani. L’indignazione di fronte alle ingiustizie è una costante della sua narrazione, così come la sua simpatia per le donne delle classi inferiori. Precorrendo le più moderne tesi femministe intersezionali, Pfeiffer esprime la ferma convinzione che solo le donne del mondo occidentale, peraltro già privilegiate, avrebbero tratto vantaggio dai movimenti di emancipazione: un punto di vista che sarebbe stato confermato proprio dalle sue esperienze lontano dall’Europa. La sua lucida consapevolezza non viene meno neppure quando descrive i grandi monumenti, come ad esempio il Taj Mahal: oltre ad ammirare la squisita ricchezza architettonica degli edifici non manca di ricordare a lettori e lettrici il loro altissimo costo in termini di manodopera e sacrificio dei lavoratori.
Pfeiffer si mostra critica verso gli sforzi vani dei missionari occidentali: le ragioni della generale indifferenza, quando non dell’ostilità, dei popoli “primitivi” (soprattutto delle grandi civiltà asiatiche) sono da ricercare nell’atteggiamento di superiorità dei religiosi. Afferma che la maggior parte di loro non adatta il proprio stile di vita né il modo di vestire alle condizioni locali, ma soprattutto evita il contatto con le masse povere, preferendo vivere in comunità chiuse, nelle parti più ricche delle città. Pfeiffer non esita a mettere in discussione neppure l’orrore che gli europei “civilizzati” esprimono verso le usanze dei cacciatori di teste: l’autrice rileva infatti un’allarmante somiglianza tra questi trofei e le sanguinose immagini delle battaglie europee. Durante una visita a Versailles era rimasta sconvolta dai dipinti esposti che glorificavano le battaglie: quelle carneficine erano paragonabili, a suo parere, all’usanza dei Dyak di mostrare le teste rimpicciolite. È invece proprio questo popolo a meritare il suo elogio: «Mi sarebbe piaciuto passare più tempo tra i Dyak liberi, poiché li ho trovati, senza eccezioni, onesti, bonari e modesti nel loro comportamento. Aspetti che me li fanno collocare al di sopra di qualsiasi altra razza che abbia mai conosciuto».
Il soggiorno in America la porta a formulare una serie di osservazioni sulle tragiche conseguenze del pregiudizio razziale contro i nativi. Avendo constatato la rapida diminuzione della popolazione indiana della California, osserva che «in questo deserto gli uomini si annientano a vicenda per trovare un pezzo d’oro!». Prova invece ammirazione per le capacità artigianali degli indiani d’America: «Non sanno fare altro che intrecciare cesti, ma in quest’arte hanno raggiunto la perfezione: sanno come rendere i loro cesti perfettamente stagni e riescono persino a bollirvi il pesce». Anche sulla loro indole ha un’opinione personale: «Questi indiani sono presentati come traditori, codardi, vendicativi e vili, che attaccano i bianchi solo quando sono superiori in numero. Ma, dopotutto, come potrebbero attaccare dei bianchi ben armati ― quella razza prepotente che ha provocato loro tante sofferenze? La vendetta è del tutto naturale per l’uomo; se i bianchi avessero subito dai nativi tanti torti quanti loro stessi dai bianchi, anche loro avrebbero provato il desiderio di vendetta».
Le informazioni di Pfeiffer non erano sempre esatte, ma destarono grande interesse fra gli etnologi: vi erano descritte le caratteristiche fisiche di popoli lontani, le loro forme di convivenza e le regole ereditarie, l’aspetto delle abitazioni, degli insediamenti e dei villaggi, i riti dei matrimoni e dei funerali. Spesso infatti, solo per il fatto di essere una donna, aveva accesso a molti luoghi altrimenti preclusi al viaggiatore maschio. Infine, la viaggiatrice raccoglieva e catalogava con precisione campioni naturali: alcune migliaia di piante, insetti, farfalle, pesci, uccelli, piccoli mammiferi, minerali e oggetti di interesse etnologico e storico arrivarono in Europa nei suoi bauli e furono offerti ai musei europei, in particolare al Museo di storia naturale e al Museo di etnologia di Vienna. Alcuni animali da lei raccolti portano il suo nome ancora oggi: un gambero del Borneo (Palaemon Pfeifferae), un fasmide (Myronides Pfeifferae), una lumaca (Vaginula Pfeifferae) e una rana del Madagascar (Rana Pfeifferae).
Grazie alla diffusione dei suoi resoconti Pfeiffer divenne un personaggio conosciuto anche in ambiti specialistici. Alexander von Humboldt, che incontrò a Berlino, le procurò un invito alla corte prussiana, dove nel 1856 le venne conferita la Medaglia d’oro per le scienze e le arti dal re Federico Guglielmo IV. Inoltre von Humboldt, insieme con il geografo Carl Ritter, la accolse come membro onorario alla Berliner Ethnographische Gesellschaft, dove fu la prima donna ad accedere. Anche la Société géographique française la nominò membro onorario, mentre la Royal Geographical Society inglese, che non ammetteva le donne per statuto, le conferì altri riconoscimenti e contribuì alle spese dei suoi viaggi. Pure le Società zoologiche tedesca e olandese la ebbero come membro onorario. Se non fosse stato introdotto l’euro, a Ida Pfeiffer sarebbe stata dedicata la banconota da 50 scellini della serie 1995/1997.
In copertina. Pfeiffer, 50 Schilling, 1995.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.