L’articolo precedente tracciava lo scenario da cui si muovono ― letteralmente ― le viaggiatrici italiane fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento: una situazione di complessiva modernizzazione, un “progresso” fatto di alfabetizzazione, benessere, urbanizzazione, a cui le donne comunque partecipano solo in maniera limitata. In questo contesto gli scritti odeporici femminili sono stati quasi subito dimenticati dopo la prima pubblicazione e solo il paziente – e recente – lavoro di ricerca di alcune studiose sta recuperandoli: si tratta dunque di un’operazione ancora in pieno svolgimento.
Prima di ripartire per il Grande Nord è utile considerare brevemente le altre destinazioni delle italiane in viaggio e i loro resoconti. Un primo gruppo rientra nella moda “orientalista” che investe il gusto del tempo: una generica idea di “Oriente”, che circolava già durante il Settecento illuminista, si diffonde ulteriormente durante l’Ottocento, in concomitanza con l’espansione coloniale europea. Tale atteggiamento è caratterizzato da un’ambiguità che oscilla fra due estremi: da un lato l’attrazione estetica, che attribuisce ai Paesi dell’est un’atmosfera misteriosa, ammaliante, seducente; dall’altro il bisogno di affermare la superiorità della cultura occidentale, che arriverà in alcuni casi a giustificare la necessità di un intervento civilizzatore europeo. Questa ambiguità coinvolge anche i popoli orientali, che finiscono per assumere le stesse caratteristiche contraddittorie: malfidati e affascinanti gli uomini, sensuali e sleali le donne. Restringendo il campo alla rappresentazione femminile, le orientali appaiono desiderabili e nello stesso tempo indifferenti, basti pensare alla Grande odalisca di Ingres, alle Donne di Algeri nei loro appartamenti di Delacroix, alla Donna di Algeri di Renoir. Il mito della bella orientale si riflette anche nell’immaginario dei viaggiatori, che favoleggiano di incontri clandestini con conturbanti odalische.
Le figure femminili compaiono anche nei resoconti di alcune viaggiatrici che si dirigono verso un’area compresa fra i Balcani, il nord Africa e la Persia, un generico “Oriente” dove giungono spesso al seguito di mariti o genitori, in visita a parenti lontani o, più raramente, in viaggio di studio o di piacere.

Tra le prime Amalia Marucchi che, arrivata in Egitto con i genitori, a soli 14 anni sposa Giuseppe Nizzoli e rimane a vivere al Cairo dal 1819 al 1828. Il Paese conserva le vestigia dei millenni precedenti e la giovane sposa, che ha appreso l’arabo, non si limita al suo ruolo di moglie ma assume un’attività indipendente e organizza scavi archeologici, ricoprendo un incarico tradizionalmente maschile. Il suo resoconto, Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e sugli harem scritte durante il suo soggiorno in quel Paese (1819-1828), verrà pubblicato solo diversi anni dopo, nel 1841, per insistenza di un amico, e mai ristampato. Nizzoli preferisce rivolgersi all’immaginazione delle lettrici: considera il libro una semplice «memoria», adatta ai familiari o a un pubblico femminile, cui far conoscere quella realtà che ha «esaminato, come donna». In quanto donna, infatti, ha accesso a harem e hammam e può offrire descrizioni dettagliate di abbigliamento, gioielli e trucchi delle mogli e delle odalische, gli unici aspetti gratificanti, aggiunge, di una vita fatta di noia e priva di cultura. Inoltre, può smentire con sicurezza le «avventure galanti» narrate dai viaggiatori: le donne orientali non sono accessibili agli stranieri e l’harem è fatto anche, soprattutto, di fatica, lavoro, convivenza forzata, segregazione, schiavitù sessuale. A differenza dei resoconti maschili, per quanto possibile espliciti o allusivi, lo stile dell’autrice è autocensurato: «la descrizione di questi balli non è lecita, cosicché dirò anch’io come Erodoto, è meglio tacere questi racconti» dichiara. Tuttavia, lascia trapelare il suo disgusto per «l’oscenità di quel ballo, e gli indecentissimi contorcimenti di esse [le ballerine]». Lo sguardo di Nizzoli rimane perciò quello di un’occidentale che si sente moralmente superiore, parte di un mondo più giusto dove le donne godono di maggiore libertà e vivono spazi sociali più aperti.

Anche Cristina Trivulzio di Belgiojoso, nobildonna milanese dall’esistenza movimentata, descriverà la vita dell’harem; quando arriva in Oriente è una persona matura e autonoma, che fin da giovane ha occupato gli spazi culturali riservati agli uomini: la politica e il viaggio. Scrive in francese, lingua della comunità cosmopolita cui appartiene; si ritiene italiana, ed è proprio a causa del suo coinvolgimento come patriota risorgimentale che ha dovuto affrontare difficili trasferimenti. Da Milano (ancora sotto la dominazione austriaca) si sposta a Parigi e a Roma come “giardiniera”, ovvero affiliata femminile alla Carboneria; per la sua attività sovversiva conosce l’esilio e la confisca dei beni; anima un salotto parigino di esuli italiani; è presente alla caduta della Repubblica Romana nel 1849 e, costretta alla fuga, inizia il viaggio che la porterà in Anatolia per «vivere… in grembo alla natura, lontano dalla civiltà».

Questo ulteriore trasferimento è dovuto alla profonda delusione politica e alla necessità di distacco da un mondo che l’ha tradita; lei stessa abbandona la sua identità occidentale e si dispone a crearsene una nuova, non esitando a definirsi una «zingara». In un villaggio presso Ankara cerca invano di organizzare una comunità per i molti esuli dei moti italiani; quindi raggiunge Gerusalemme. I suoi spostamenti sono testimoniati da articoli di giornale, lettere e resoconti odeporici, scritti con uno sguardo personale, libero da stereotipi, sull’Oriente. Come Nizzoli, anche Belgiojoso ha la possibilità di accedere agli harem e agli hammam e fornisce un resoconto accurato di quella vita familiare da cui invece i viaggiatori, in quanto tali, sono esclusi. Come Nizzoli, anche Belgiojoso smentisce l’immagine idealizzata dell’Oriente magico, lussuoso e voluttuoso, culla di piaceri proibiti descritta dagli uomini.

Un’altra donna che si dirige verso est è Caroline Hartog Morgensthein, di Anversa, che si definisce italiana adottando il nome di Carla e mantenendo il cognome del marito, Leone Serena, patriota antiaustriaco con il quale condivide l’esilio a Londra. Una volta diventata giornalista Serena comincerà a viaggiare: frequenterà le corti europee, dalla Svezia all’Austria alla Grecia alla Russia, fino alla Persia dove la «femme seule», la donna sola che supera le frontiere provvista di salvacondotti reali, sarà sospettata di spionaggio. Disegnatrice e fotografa, vuole riportare in Europa le immagini del Caucaso ed è la prima ad attraversarlo da sola, superando difficoltà di ogni genere: tempeste sul mar Nero, incontri con orsi, malattie, conflitti interetnici. Non perde mai la sua determinazione: «malgrado tutte le mie ansie, non mi ha mai intimorito l’idea di essere attaccata o cadere in una trappola», afferma.

La passione per il viaggio, dichiara in Mon voyage de la Baltique à la Caspienne (Il mio viaggio dal Baltico al Caspio) del 1881, le deriva proprio dal sentirsi in movimento: «arrivare in fondo, allo scopo di vedere, di studiare, è una scienza che, come ogni altra, sviluppa il desiderio di accrescerla mano a mano che si studia». In Les hommes et les choses de Perse del 1877 invoca l’obiettività, poiché «l’autore deve nascondersi per poter parlare»; tuttavia il suo tono di superiorità culturale si manifesta soprattutto riguardo alle donne. Anche Serena infatti ha accesso agli ambienti femminili e formula un giudizio categoricamente negativo sulle donne persiane, destinate a rimanere schiave della loro ignoranza.

Elena Ghica è un’altra personalità poliedrica di studiosa e viaggiatrice. Nasce in Valacchia e approda a Venezia in seguito a diversi trasferimenti. Il matrimonio la porta in Russia, patria del marito; da qui si allontana per stabilirsi in Svizzera e cominciare la sua attività di studiosa, assumendo lo pseudonimo italiano di Dora d’Istria (Dora del Danubio – dall’antico nome greco del fiume, Ister), che metteva in evidenza il suo cosmopolitismo: il Danubio, infatti, unisce popoli diversi per cultura, storia, politica, religione, lingua. È un’intellettuale apprezzata da personaggi di diverse discipline: Angelo de Gubernatis, professore di sanscrito a Firenze e orientalista, e Paolo Mantegazza, antropologo, non certo indulgenti con le loro contemporanee, manifestano ammirazione per la sua cultura; mentre Giuseppe Garibaldi riconosce il suo impegno per l’emancipazione femminile. Tutti i suoi resoconti di viaggio hanno finalità educative: è la visitatrice colta, la filosofa e l’etnologa che illustra la storia, la cultura e i popoli dei Paesi che visita. Pubblicati dapprima sui periodici, gli scritti di Dora d’Istria sono poi raccolti in voluminosi trattati: l’autrice ha il merito di svelare ai suoi lettori e lettrici occidentali aree che spaziano dalla Russia ai Balcani alla Grecia. Si occuperà della condizione femminile in Les femmes en Orient (Le donne in Oriente) del 1859, scritto in forma epistolare e indirizzato a un’ipotetica amica parigina. L’autrice descrive accuratamente le diverse figure femminili dei Balcani, insistendo su alcuni concetti moderni, quali l’importanza dell’istruzione e il ruolo delle donne nelle istituzioni sociali, in particolare nel mantenimento della pace. Insieme con Des femmes par une femme (Le donne viste da una donna) del 1865, questi testi rappresentano i primi esempi di manuali di storia delle donne.
Resoconti di viaggio verso mete più lontane sono stati prodotti da viaggiatrici al seguito di mariti diplomatici, studiosi di varie discipline, oppure ufficiali militari di carriera. Rosalia Pianavia Vivaldi Bossiner, che risiede ad Asmara dal 1893 al 1896 con il marito, colonnello Domenico, scrive Tre anni in Eritrea, dove è raccolta la sua corrispondenza per la rivista culturale Illustrazione italiana. L’autrice è una convinta sostenitrice della funzione civilizzatrice dell’Italia, ma dimostra anche di essere attratta dall’ambiente sconosciuto e sensuale che la circonda: «è così possente il fascino dell’Africa, questa vergine nera vi blandisce con carezze così voluttuose e inebrianti […] che nel vostro sangue, nelle vostre vene sentite ardori d’ignoto»; prima di rientrare in patria rimpiange una sensazione di libertà «che nel mondo incivilito non troverò più mai!».
Altre rare testimonianze di fine secolo arrivano dalla Cina: Giuseppina Croci, che nel 1890 si imbarca per Shanghai per insegnare l’uso dei filatoi meccanici alle operaie locali, scrive un resoconto di 18 pagine per i familiari. La baronessa Carla Novellis accompagna il marito in missione in Giappone; nel suo diario descrive con ammirazione i giardini giapponesi e importerà per prima i bonsai. Nel marzo 1908 Angelina Fatta, baronessa di Villaurea, si imbarca da Napoli per il Giappone, facendo ritorno attraverso la Transiberiana dopo tre mesi. La baronessa è una donna di cultura, amante dell’arte ed esperta viaggiatrice: ha già visitato la Norvegia, l’Egitto, la Grecia, Gerusalemme e le principali capitali europee.
Nel 1914 pubblica Al Giappone. Impressioni di una viaggiatrice, rielaborazione del suo diario di viaggio, per comunicare a lettrici e lettori «l’anima intera» dell’Impero del Sol Levante, la bellezza dei paesaggi e la gentilezza delle persone; osserva che la società giapponese è moderna e la condizione della donna paritaria: tra le allieve dell’università di Tokyo e le numerose donne in bicicletta ha l’impressione di trovarsi in nord Europa. È invece critica nei confronti della Russia, di cui lamenta la monotonia dei paesaggi, il clima di tensione, l’onnipresenza dei militari, anche se ammira i palazzi di Pietroburgo e Mosca e la affascinano le notti bianche del nord. La condizione femminile in Russia, afferma con soddisfazione, è simile a quella americana: in entrambi i Paesi «la donna prima di essere donna è individuo».
Gina Lombroso, dottoressa in medicina e figlia del famoso Cesare, teorico dell’antropologia criminale, parte per il Sud-America con il marito, lo storico e sociologo Guglielmo Ferrero. Al ritorno pubblica Nell’America meridionale: note e impressioni (1908), dove raccoglie le sue riflessioni sulle strutture sanitarie ed educative dei luoghi visitati. Osserva che la donna sudamericana vive in uno stato di palese inferiorità e ritiene che solo la rivalutazione della funzione domestica femminile possa permetterle di acquisire un ruolo paritario nella società.Anche Matilde Serao, impegnata soprattutto nel giornalismo e nella narrativa, pubblica due resoconti di viaggio: il primo, Nel paese di Gesù del 1898, descrive il suo viaggio in Terra Santa; il libro è permeato dalla religiosità dell’autrice, che arriva a invocare la benedizione divina, se non quella della critica, sul suo scritto.
Lettere di una viaggiatrice del 1908 è del tutto diverso: riunisce articoli riguardanti diverse località turistiche, descrivendo un mondo di vacanzieri benestanti e spensierati in movimento fra il litorale francese, le montagne tirolesi, le più affascinanti città italiane e straniere come Venezia, Parigi e Roma. La scrittura è brillante e intende divertire chi legge: la vacanza è solo un momento di riposo, prima del ritorno nel caos cittadino.
Infine, nella pur scarsa letteratura odeporica femminile dell’Italia post-unitaria alcuni articoli di riviste descrivono viaggi attraverso la penisola: località che fino a qualche anno prima erano “straniere” sono diventate accessibili grazie all’unificazione. Ecco dunque le città d’arte, da Venezia a Verona; le montagne sconosciute e selvagge; i viaggi etnologici in Calabria; la scoperta di aree archeologiche a Roma e nel Lazio; le amene località turistiche, quali Napoli e la costiera amalfitana. Nel contesto della neonata Italia si realizzano esperienze impensabili fino a qualche anno prima, destinate alla condivisione attraverso uno stile semplice, spesso sentimentale, talvolta confidenziale, accessibile a un numero sempre più vasto di lettori e lettrici.
***
Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.