Donne e frontiere nel Mediterraneo

Per molto tempo le donne sono state assenti dal grande racconto della migrazione. Nonostante siano molte quelle che lasciano le loro case e i loro affetti per intraprendere il lungo viaggio attraverso il deserto e il Mediterraneo, spesso sono state presentate solo come una sorta di Penelopi africane in attesa dei loro mariti, pazienti e sedentarie, o ritratte come vittime di un dolore o di una perdita (di un figlio, di un compagno, di una “casa”). Il libro di Schmoll Le dannate del mare conduce chi legge dentro la trama complessa di questi percorsi invisibilizzati e delle loro motivazioni tutt’altro che lineari, tra persecuzioni, aspirazione all’autonomia personale e desiderio d’altrove.

Camille Schmoll è geografa e sociologa, è directrice d’études all’École des hautes études en sciences sociales (Ehess) e membro del laboratorio di ricerca Géographie-cités e dell’Institut Convergences Migrations. I suoi studi analizzano le nuove dinamiche migratorie (transnazionalismo, migrazione di genere, migrazione circolare) in area euro-mediterranea e le conseguenti implicazioni sociali e territoriali. Oltre a costituire un contributo essenziale per lo studio delle migrazioni nel loro complesso, il volume indaga il fenomeno attraverso una “femminilizzazione dello sguardo” che lo caratterizza specificamente. Le dannate del mare punta, infatti, a “ripoliticizzare la questione del genere” lungo le diagonali dei percorsi migratori, e con un doppio movimento interviene così anche all’interno degli studi femministi.
Come afferma l’autrice: «Osservare le questioni migratorie a partire dal punto di vista delle donne permette di considerare diversamente le società di partenza e di accoglienza. Ora, questo sguardo non fa sempre comodo. Ciò equivale, in fin dei conti, ad accordare un potere alle donne, un potere femminile che può essere insopportabile. Equivale a costituire le donne come soggetti politici della loro propria storia».

Mettere al centro dell’analisi la capacità di azione delle donne migranti significa quindi raccontare un’altra storia. Significa narrare i loro percorsi di affrancamento dalla condizione “minoritaria” cui spesso sono sottoposte, sia nella comunità patriarcale da cui provengono, sia nella “società di accoglienza” in cui arrivano. Ne è un esempio la storia di Julienne, con cui si apre il libro, che condensa molti dei temi affrontati nel corso del testo. Il “no” a un matrimonio combinato apre la sua storia alle vicende travagliate della partenza delle migranti e alle possibilità di azione e decisione che vi si presentano. L’intreccio tra le forme di violenza: di genere e delle politiche europee di controllo dei confini; la traversata; l’incontro con la “società di accoglienza” e con i luoghi di trattenimento dei/delle migranti; la ridefinizione, mano a mano, del progetto migratorio: su ciascuno di questi passaggi, la forza del “no” originario si riproduce e viene negoziata con le condizioni di volta in volta date, senza mai attenuarsi. Le migranti, rappresentate solitamente come stipate sui barconi o nei centri di trattenimento libici o italiani, diventano così un soggetto agente, si animano nella loro ricerca di libertà e di una vita degna.

«Femminilizzare lo sguardo vuol dire sostenere una prospettiva che ci allontana da certi discorsi vittimizzanti e sovrastanti sulla migrazione femminile, mettendo in luce la capacità delle donne di attraversare le frontiere e di costruire le proprie traiettorie; ma vuol dire anche rifiutare una visione lineare e univoca della migrazione come necessariamente emancipatrice». Né vittime né eroine, dunque: Le dannate del mare contribuisce a rifiutare le due facce della stessa medaglia, dello stesso stereotipo. Nelle conclusioni, l’autrice precisa ancora: la migrazione deriva da e produce una ridefinizione della femminilità. Diventando migrante si diventa un’altra.

Prendendo a oggetto di indagine il ruolo delle donne, il libro fornisce poi le coordinate per comprendere le implicazioni politiche delle migrazioni mediterranee, contestualizzando questo fenomeno all’interno delle politiche migratorie europee e nazionali. Il confronto fra il sistema di accoglienza italiano e maltese, e la loro evoluzione nel tempo, sono quindi un’occasione per mettere in discussione il loro ruolo di frontiera nel Mediterraneo. Camille Schmoll afferma di aver preso in considerazione: «la frontiera attraverso i suoi luoghi, ovvero i molteplici centri in cui le donne migranti vengono selezionate, accolte, confinate. Tali centri agiscono come “luoghi di condensazione” di un certo numero di dinamiche proprie alla frontiera e al margine, e che riguardano la privazione o la limitazione di mobilità, la messa in circolazione forzata delle donne, la geografia morale e legale degli spostamenti delle donne e delle loro attività. Ho provato a mettere in luce queste dinamiche attraverso l’osservazione della loro vita quotidiana, delle interazioni con il personale e delle regole di vita comune, considerando al contempo questi centri come spazi che le donne hanno fatto propri, contesti istituzionali e interfacce fra società locali e presenze migranti. La mia condizione di straniera ha costituito un vero vantaggio, nella misura in cui essa mi conferiva uno statuto altro rispetto alle persone che lavoravano nei centri, la qual cosa era importante per tessere relazioni con le donne lì alloggiate. Allo stesso tempo, il fatto di essere italofona (e anglofona a Malta) e di aver compiuto studi post-laurea mi ha permesso a volte di stabilire una certa prossimità con il personale dei centri. Ciò non toglie che ho dovuto chiarire, a più riprese, quale fosse il mio ruolo. Leggendo questo libro, si capisce che ho dialogato soprattutto con le donne migranti e che le mie osservazioni relative al personale sono più limitate e parziali».

Leitmotiv di tutto il lavoro di questo libro è per la Schmoll femminilizzare lo squardo ovvero come lei ci dice bene in un saggio (Bernard Debarbieux, Le lieu, le territoire et trois figures de rhétorique, «L’Espace géographique», n. 2, 1995, pp. 97-112): «Osservare le questioni migratorie a partire dal punto di vista delle donne permette di considerare diversamente le società di partenza e di accoglienza. Ora, questo sguardo non fa sempre comodo. Ciò equivale, in fin dei conti, ad accordare un potere alle donne, un potere femminile che può essere insopportabile. Equivale a costituire le donne come soggetti politici della loro propria storia: anche quando subiscono le peggiori violenze, sfuggono al controllo e fanno scandalo attraverso la migrazione. Questo è specialmente il caso di “quelle che partono da sole” e che si lasciano dietro figli e marito, poiché la migrazione può essere una via d’uscita per quelle donne, una linea di forza di fronte alla linea dura dei dispositivi di potere. Femminilizzare lo sguardo è anche indagare (e inquietare, evidentemente) l’universale maschile degli studi migratori, dare un’altra versione dell’esperienza migratoria, una versione situata e incarnata in altro modo. Ciò permette di inscrivere la prospettiva di genere come dimensione centrale della concezione dei processi migratori. Prestare attenzione alle esistenze ed esperienze femminili vuol dire mettere in luce alcuni aspetti poco trattati, quali le politiche dell’intimità, il ruolo delle emozioni o dei corpi; vuol dire sollevare il velo su altre scale, altri luoghi, altri processi comunemente poco esposti o esplorati. Per esempio, ho provato – in tutto il libro – a pensare la migrazione come un’esperienza corporea che ha dei momenti chiave: il passaggio dalle prigioni libiche e le violenze sessuali; la traversata del Mediterraneo; l’arrivo in Europa».

Le dannate del mare costituisce il primo titolo della collana Hurriya dedicata alle questioni migratorie. La libertà di movimento è distribuita in modo drammaticamente ineguale tra gli abitanti del pianeta: confini visibili e invisibili si ergono ovunque, selezionando chi ha il diritto di muoversi e chi non ce l’ha. Il Mediterraneo, spazio storicamente attraversato da un brulicare di spostamenti geografici, è stato trasformato in un’enorme frontiera sempre più militarizzata: un confine che attrae, respinge, uccide. Hurriya – parola che in arabo significa libertà, inclusa la libertà di movimento – raccoglie ricerche multidisciplinari sulle migrazioni mediterranee, accomunate dalla critica verso l’attuale regime dei confini e dall’interesse per le molteplici forme in cui rivive la più antica libertà umana: quella di scegliere dove vivere.

Camille Schmoll
Le dannate del mare. Donne e frontiere nel Mediterraneo
Prefazione di Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
Traduzione di Marco Galiero
Astarte Edizioni (collana Hurriya)
pp. 245

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Articolo di Dale Zaccaria

Scrittrice, autrice, performer associata alla Siae. Mandato Olaf Opere Letterarie. Giornalista, tessera Stampa Internazionale GNS PRESS.

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