Ognuno accanto alla sua notte

Le parole hanno un potere salvifico.
Quando i concetti, le idee, persino i ricordi, si condensano e solidificano nel viaggio dalla testa alla bocca, e poi fuori, all’esterno del mondo, si nasce e si sopravvive. E se non si ci può salvare perché ormai la storia e il tempo hanno preso la loro decisione, attraverso il racconto di ciò che è stato, il passato diviene esperienza, l’esperienza insegnamento e l’insegnamento possibilità.
Con le parole si permette al ricordo, che è personale e che appartiene al singolo, di sedimentare in memoria, che ha invece valore plurale e collettivo. Questo è ciò che fa Lia Levi con il suo ultimo romanzo Ognuno accanto alla sua notte, libro che, fin dal titolo — citazione di un verso di Paul Celan — schiude e dischiude un intero mondo fatto di innumerevoli altri mondi. Un meccanismo orefice e cesellato, perfettamente costruito, nel quale il trascorso si insegue con l’attuale, e poi ancora e viceversa, in un rimpiattino di momenti che si sedimenteranno poi come patrimonio corale di coscienza.

Ci si approccia a questo libro con l’idea, e la volontà, di leggere un romanzo storico. Eppure, gli avvenimenti che inevitabilmente fanno da sfondo a ciò che Levi racconta — Roma e le leggi razziali, il ghetto ebraico, il rastrellamento del 1943 — si sgretolano in tante microstorie che riescono a essere meglio assimilate, assorbite e riconosciute. L’autrice annulla la distanza del grande fatto storico per riconsegnarcelo in piccoli accadimenti nei quali possiamo identificarci: perché togliere le etichette vuol dire strappare pellicole e filtri che ci impediscono di sentire e di capire.

Due donne e un uomo si ritirano in una grande casa nelle campagne fiorentine. Qui, complice una vecchia amicizia, un trascorso non chiarito e un temporale, i tre iniziano a raccontare vicende che sono intrecciate con quel fatidico 16 ottobre 1943.
Lucilla e Giulio, Colomba e Ferruccio, Graziano e Vittorio: moglie e marito i primi, innamorati adolescenti i secondi, un figlio e un padre gli ultimi due. Storie, tutte, di amore e di dolore, di abbandoni, di sacrifici e di salvezza. E questa stessa salvezza, Lia Levi la getta anche a noi, pagina dopo pagina, ingentilendo l’orrore con la delicatezza della quotidianità, delle vite e dei sentimenti. 

In Ognuno accanto alla sua notte c’è tanta, tantissima, letteratura: si citano Shakespeare, Ariosto, Primo Levi, Jacques Prévert; tutta la struttura è un evidente richiamo a Boccaccio, con il personaggio di Fiammetta, la fuga dalla città, Firenze e le sue campagne; e la letteratura, a ben vedere la bellezza, par essere qui per aiutarci ad affrontare il gorgo nero e scuro. Esattamente come il locus amoenus fuori Firenze preserva la brigata dalla peste e permette di raccontare, così questo attaccamento alla vita preserva noi dall’affogare nell’angoscia di un passato che dovrebbe toglierci il sonno.
Il gioco di narratore e narratario, che si intrecciano e si scambiano, lascia intendere quanto importante sia il messaggio veicolato, quanto fondamentale sia che venga catturato e lasciato cadere a sacco, lì, nel fondo della pancia, dove i sensi iniziano poi a viaggiare sotto la pelle. E poi ci sono i nomi dei personaggi, che paiono portare una storia a sé: ancora Fiammetta; e poi Ida, che si chiama come la Ida di Elsa Morante ma che, a differenza di quest’ultima, non permetterà a nessun uomo di imporsi; e Colomba, uscita come l’uccello lasciato da Noè dopo la tragedia del diluvio, ma che non sembra, questa volta, portare alcun ramoscello di pace; e infine Graziano, un nome parlante, un fato che risulterà essere una condanna, un peccato mortale espiato solo alla fine e grazie proprio all’atto di raccontare, con il figlio che farà della trasmissione della memoria le sua missione personale.

Vicende diverse tra loro, accomunate da un destino che noi conosciamo, che paiono conoscere anche i protagonisti e le protagoniste, ma che, beffardo, si fa gioco delle loro speranze. Ed è doloroso notare come, in quel 25 luglio 1943, la scena si ripeta sempre, in ciascuno dei tre racconti, come fosse un fermo immagine congelato a evitare che arrivi il dopo: braccia alzate, porte che si spalancano, petti, nasi e bocche a razziare finalmente brezza. Un’euforia confusionaria e bellissima, che fa risuonare ancor più cupamente, però, il tonfo sordo dei battenti che si sprangano di nuovo. Un rumore lugubre, che ci risuona dentro e che sentiamo rimbombare nell’aria cavata dalle case, dagli animi e dal futuro. È una Roma che Nenni, chiamerebbe «festereccia; […] quella che ha un applauso per ogni vincitore». E invece è solo una Roma stanca, che si aggrappa all’unico spiraglio che le viene concesso. Noi sappiamo che durerà poco. Ma quegli uomini e quelle donne no. 

In questo romanzo, ancora sulla scia dell’estrema delicatezza di cui è pervaso, non ci sono atti di accusa, né contro il regime, né contro la guerra, né contro i complici di simile barbarie, né contro i capi della comunità ebraica romana spesso tacciati di essere stati miopi e paurosi nei confronti di ciò che stava avvenendo. E se dovessimo cercare la notte di cui parla Levi, eccola che ci arriva addosso inesorabilmente: è quel buio che assale e fagocita quando per convinzione, pigrizia o paura ci rendiamo complici dell’orrore, dell’ingiustizia, della disumanità.

A un certo punto, nel libro si dice che si nasce cattivi e che buoni si diventa. «Altrimenti che merito ci sarebbe a essere buoni?». A renderci buoni e buone sono le parole, che creano racconti e memoria, che riescono a stracciare il nero del crimine e dell’oblio, mostrando la storia e assolvendo ciascuno e ciascuna di noi dalla colpa dell’ignoranza e, soprattutto, della dimenticanza. Ognuno accanto alla sua notte è esattamente questo: un romanzo salvifico. Un romanzo delicato che ci fa conoscere il male perché ci mostra, fino alla fine, fino all’ultima scena, quale sia il bene e la bellezza che esso porta con sé.

Lia Levi
Ognuno accanto alla sua notte
E/O, 2021
pp. 272

***

Articolo di Sara Balzerano

FB_IMG_1554752429491.jpg

Laureata in Scienze Umanistiche e laureata in Filologia Moderna, ha collaborato con articoli, racconti e recensioni a diverse pagine web. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è quello di continuare a chiedere Shomèr ma mi llailah (“sentinella, quanto [resta] della notte”)? Perché domandare e avere dubbi significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice

Un commento

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...