La donna nel Rinascimento. La condizione e il ruolo sociale

Alla fine del Medioevo, che coincide con l’aurora dei tempi moderni, la donna si trova ancora in uno status di subordinazione rispetto all’uomo. La società continua a considerare le donne come minorenni a vita, bisognose di tutela e di protezione, incapaci di badare a se stesse e di pensare con la propria testa, quindi creature sempre soggette a un uomo che non solo le mantiene economicamente, ma che controlla il loro pensiero e la loro personalità. All’interno della famiglia, le donne continuano a essere prive di ogni potere decisionale e rimangono sottoposte all’autorità del marito né più né meno come nei secoli del Medioevo. La donna resta ancora confinata ai ruoli tradizionali di “monaca, moglie, serva, cortigiana”.

Correggio, Ritratto di gentildonna, San Pietroburgo, Hermitage, 1520 circa

D’altra parte, se è vero che il Rinascimento, a dispetto del nome, non rappresenta una vera, effettiva rinascita per la donna, non è nemmeno corretto affermare che non ci sia nulla di nuovo nella condizione femminile sotto il sole rinascimentale. Vale la pena di ricordare che fino a tutto il Trecento, la donna ha avuto come modello Maria di Nazareth, le cui principali virtù sono pietà, pudore e onore. Le bambine, raggiunti i tre anni dovevano dormire separate dai maschietti e indossare una veste lunga fino ai piedi. Compiuti i dodici anni, nell’età della pubertà, venivano sottoposte a una severa sorveglianza da parte dei genitori, i quali imponevano loro una disciplina ferrea che in alcuni casi arrivava a vietare loro perfino di affacciarsi alla finestra.

Dopo il matrimonio la tutela della donna passava dal padre al marito che poteva addirittura impedire alla moglie di intrattenersi sulla porta di casa per dare un’occhiata a quello che succedeva in strada o per scambiare due parole con i passanti. Il XV e XVI secolo, con la loro nuova concezione di “uomo rinascimentale”, pongono l’uomo su un gradino superiore rispetto alla donna, confermando quella disparità e differenziazione di ruoli e di educazione destinata a durare fino a tutto il XIX secolo. Non c’è, dunque, un vero progresso nella condizione sociale delle donne i cui spazi di libertà sono ancora angusti. Il Rinascimento allontana e taglia fuori le donne dalla società, dal potere e dai campi di battaglia. L’era moderna fa scomparire per un certo periodo la donna guerriera che ha contraddistinto l’epoca medievale creando una più drastica divisione dei ruoli tra i due sessi.
Con l’avvento della civiltà umanistica non sono tutte rose e fiori né si può pensare che da un secolo all’altro si cancellino tutto d’un colpo una serie di radicati pregiudizi contro le donne: a poche è concesso di condurre un’esistenza del tutto indipendente o avere voce in capitolo nella propria casa. Via via che crescono le corporazioni durante gli ultimi secoli del Medioevo, numerosi mestieri diventano prerogativa esclusiva del “sesso forte”. In un’atmosfera politico-sociale fortemente maschilista e misogina, non è facile per una donna farsi strada in nuove attività. Qualsiasi tipo di lavoro “fuori casa” è considerato roba da uomini, e quasi tutte le occupazioni sono reputate mestieri maschili. Solamente nel Nord Europa le donne possono entrare nelle corporazioni, lavorare come negozianti e artigiane. A Strasburgo e a Parigi si dedicano a vari rami del commercio.

Bartolomeo Passarotti, La bancarella del pesce

Nel clima sessuofobico instaurato sul finire del XVI secolo dal Concilio di Trento e dalla Controriforma, si fa ancora più difficile la condizione della donna, confinata al suo ruolo di madre e del tutto emarginata dalla vita politica e dall’istruzione. Riesce impossibile incontrare donne in armi, anzi è già molto difficile incontrare donne emancipate, capaci di condurre una vita indipendente. Aristocratiche e borghesi sono educate per diventare perfette donne di casa, buone mogli e brave madri di famiglia. La donna, quasi una carcerata, si chiude tra le pareti domestiche, destinata vita natural durante al matrimonio o alla clausura. Di conseguenza la sfera privata prevale sulla partecipazione pubblica e sulla socialità, e l’intimità domestica sulla solidarietà e sulla vita di relazioni. Alle donne non resta che ripiegare sulle attività tradizionalmente ritenute consone al genere: cucinare, badare alla pulizia della casa, allevare i figli, cucire, tessere, ecc. Solo le popolane mettono il piede fuori casa e svolgono un lavoro extradomestico per aiutare il marito nel lavoro dei campi, oppure come filatrici, bambinaie, lavandaie.

Catharina van Hemessen, Giovane ragazza che suona il virginale, 1548

Le bambine di rango elevato vengono educate in famiglia fino ai sette, otto anni, poi sono affidate a un convento, dove imparano a leggere, a scrivere, a filare e a tessere, a cucinare e a prendersi cura della casa. Le bambine dei ceti più modesti vivono in casa e, tra tutte, paradossalmente le più libere sono le contadine, che lasciano la casa e hanno più occasioni di incontrare persone.
Ancora nell’età rinascimentale una donna fin dalla nascita non è libera e non è artefice della sua vita e del suo destino. Sebbene molti uomini di cultura ritengano a torto che per le ragazze sia inutile l’istruzione e le rare donne colte siano guardate con sospetto e criticate, in Italia, tuttavia, se appartiene all’aristocrazia e all’alta borghesia, al contrario del resto d’Europa, la donna riceve al pari dell’uomo un’educazione basata sulle materie classiche e intesse la sua tela di relazioni sociali partecipando a feste e balli oppure riunendosi per pregare in speciali occasioni o per discutere degli ultimi avvenimenti di cronaca.

Piero del Pollaiolo, Ritratto di dama , Milano, Museo Poldi Pezzoli,
1470 circa

A partire dal XV secolo, diversamente da quanto avveniva fino a qualche decennio prima, le ragazze della nobiltà cominciano ad avere un’educazione adeguata, che spesso non è inferiore a quella dei fratelli maschi. Apprendono le lettere e la musica, la scienza e la filosofia, molte passano il tempo libero componendo poesie, dipingendo o suonando uno strumento. Questa formazione dà loro delle ottime referenze per un buon partito matrimoniale e anche per l’impiego, in qualità di istitutrici, presso le famiglie aristocratiche. La diffusione dell’alfabetizzazione cresce tra le donne delle classi privilegiate, le uniche ad avere l’occasione di partecipare attivamente alla vita intellettuale. Soprattutto in ambito educativo la donna, ma solo nelle classi più elevate, si avvicina a raggiungere la parità con la controparte maschile, distinguendosi per le sue doti letterarie e filologiche.

Dettaglio della Dama con l’ermellino, opera di Leonardo da Vinci, nel quale si riconoscono le fattezze di Cecilia Gallerani

Nelle grandi città come Firenze e Venezia nascono circoli, alcuni dei quali guidati da dame di elevato lignaggio. A Firenze Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo de’ Medici, è una donna estremamente intelligente e di grande cultura, riverita e rispettata, tanto che il suocero la definisce “l’unico uomo della famiglia”, mecenate e patrona delle arti.
Isabella d’Este è l’animatrice e il cuore pulsante della corte di Mantova. La veneziana Caterina Cornaro, regina di Cipro, una volta privata del potere, fonda ad Asolo, presso Treviso, un centro di studi. Cecilia Gallerani, immortalata da Leonardo nel dipinto La dama con l’ermellino, inaugura a Milano un salotto letterario. La buona madre dedita alla cura della famiglia è capace di occuparsi anche di politica e di affari in assenza del marito.

Ne è un tipico esempio Lucrezia Borgia, abile politica e accorta diplomatica, tanto che il consorte, il duca Alfonso I d’Este, le affida la conduzione politica e amministrativa del piccolo Stato durante le sue assenze da Ferrara.

Pieter Aertsen, La cuoca, Musei Reali delle Belle Arti del Belgio, 1559

Le donne istruite restano, comunque, un’esigua minoranza, il Gotha della società. La stragrande maggioranza della popolazione è analfabeta. Le figlie di famiglie nobili ricevono un’istruzione adeguata al loro rango, ma di fatto sono semplici pedine da manovrare sulla scacchiera delle alleanze e della diplomazia, non essendo libere di scegliere il futuro marito, decisione che spetta alla famiglia poiché di un matrimonio che non sia di interesse non si ha nemmeno la più pallida idea. Nelle famiglie principesche i matrimoni sono stabiliti per garantire accordi politici. Talvolta gli sposi sono ancora bambini, come Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, quando vengono fidanzati dai genitori. Ludovico il Moro firma il contratto nuziale quando la futura moglie ha appena cinque anni.

Le donne delle classi medie o alte di solito sanno leggere e scrivere, ma per il resto si dedicano esclusivamente ai lavori di casa. Quelle povere, invece, non ricevono nessuna istruzione.
Molti tra gli umanisti pensano che conoscenze troppo vaste siano inutili e perfino deleterie per le donne perché potrebbero renderle ribelli e disobbedienti, in definitiva l’istruzione potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio che, favorendo l’emancipazione, si ritorcerebbe poi inevitabilmente come un boomerang contro gli uomini. Le virtù più raccomandate alle donne sono l’obbedienza, la fedeltà e la sottomissione.

Raffaello, Sposalizio della Vergine,(1501-1504)

Nella casa aristocratica la nascita di una femmina non è bene accolta, perché, anche se non ci sono problemi economici per mantenerla (come, invece, accade per i poveri), si deve pensare presto a una dote proporzionata alla ricchezza della famiglia. Nell’Europa del Rinascimento nessuna ragazza può prendere marito se non ha una dote, che spesso è causa di gravi preoccupazioni per le famiglie più disagiate. La dote è l’insieme dei beni che la famiglia della donna porta al marito affinché possa mantenere degnamente la moglie e provvederla di tutto ciò di cui ha necessità. Viene elargita dal padre o, nel caso in cui questi sia morto, dai fratelli. Una buona dote è garanzia di un felice matrimonio destinato a durare nel tempo. Più ricca è la dote che la donna porta al futuro marito maggiori sono le sue possibilità di dormire sonni tranquilli. È molto raro che una donna senza dote riesca a trovare marito, ma è anche raro e difficile che la donna possa godere di una sua indipendenza economica dato che le sono precluse le vie dell’accesso al mondo del lavoro.
Di conseguenza le donne dipendono economicamente dal coniuge.
La dote, tuttavia, non è mai a disposizione della ragazza, perché passa direttamente dalle mani del padre a quelle del marito, il quale ne può disporre a suo piacimento anche all’insaputa della moglie. In caso di morte, la vedova ha, almeno in teoria, il diritto di pretendere che il nuovo capofamiglia le doni la restante parte della dote, ma tale diritto resta praticamente lettera morta poiché risulta impossibile dimostrare esattamente quale percentuale della dote sia già stata spesa dal coniuge deceduto.

Vincenzo Campi, La fruttivendola, Milano, Pinacoteca di Brera
Shampoo

L’educazione delle ragazze ha per fine il matrimonio o il convento. Il matrimonio continua a essere, come per il passato, un contratto tra famiglie, quindi un atto conveniente per entrambe le parti. I genitori dello sposo pretendono come nuora una ragazza bella e di sana e robusta costituzione fisica perché generi una prole numerosa e in buona salute. Nel secolo XV, l’usanza di fidanzare i figli in tenera età è diffusa anche tra le famiglie borghesi. Con l’affermarsi della società mercantile la dote diventa un vero e proprio impegno finanziario tanto che a Firenze viene istituito il “Monte delle doti”, una specie di banca comunale alla quale i genitori versano i risparmi per formare, a poco a poco, la dote delle figlie. Le famiglie che non possono permettersi la dote, soprattutto se hanno più figlie da maritare, si trovano davanti a un bivio: o chiuderle contro la loro volontà in convento, dove avranno un vitto e un tetto sicuro, oppure mandarle a lavorare fin da piccole per procurarsi la dote col sudore della propria fronte, soprattutto lavorando presso famiglie benestanti come cameriere, cuoche, accompagnatrici o compagne di giochi di ragazze nobili. Questo, naturalmente, agevola chi vive nei centri urbani, mentre la situazione è peggiore nelle campagne, provocando una vera e propria migrazione femminile verso le città.

Jacopo Del Sellaio, Un matrimonio nell’età rinascimentale,
Storie di Ester, 1485

Le donne che scelgono di restare nubili sono mal viste dalla società dell’epoca, che considera positivamente le ragazze che si sposano nella verde età per poter concepire molti figli. Basta aver superato i venticinque anni e già si è considerate troppo “vecchie” per il matrimonio.
La mortalità infantile è elevatissima, aggravata dalla consuetudine di mettere a balia i neonati, per cui una donna deve generare una prole numerosa nella speranza che almeno qualche bimba/o sopravviva.
Dopo il 1348 e una delle più grandi epidemie di peste della storia, la famiglia era di solito formata da quattro persone, i genitori e due figli. Agli inizi del Quattrocento leggi e regolamenti raccomandano la famiglia allargata ai vari membri appartenenti allo stesso ceppo e ai parenti acquisiti con i matrimoni. Anche i domestici sono considerati membri della famiglia alla cui vita privata spesso partecipano anche i vicini e gli amici che possono essere scelti come padrini del figlio.

Ritratto di Caterina Cornaro di Tiziano, Galleria degli Uffizi,
Firenze, 1542

Gli scrittori presentano la donna aristocratica, che deve saper dirigere la casa ed essere amabile e raffinata in società. Leon Battista Alberti, letterato e grande architetto del Quattrocento, nel secondo libro del suo trattato, intitolato De re uxoria, delinea il ritratto della moglie ideale, dignitosa, discreta, onesta. A queste virtù si devono aggiungere capacità pratiche: saper filare, cucire, governare la casa. La donna dovrà partorire molti figli, essere fedele al marito, non interferire nei suoi affari, uscire con lui e mai da sola. L’istruzione è un valore del tutto secondario.
Secondo il mercante scrittore Paolo Morelli, la donna borghese deve essere di buona famiglia, «pacifica, non altera, non superba, ma baldanzosa, non desiderosa di vestimenti e di andare a feste e a nozze».
Nel terzo libro del Cortegiano, un esemplare trattato pedagogico, Baldassarre Castiglione, elenca le virtù domestiche di una buona madre di famiglia, che deve essere una padrona di casa accogliente verso gli ospiti, nonché conoscere e saper parlare di arte e di lettere. La donna di palazzo deve rispettare delle regole precise per essere degna di affiancare il perfetto cortigiano, e avere una «tenerezza molle e delicata, con maniera in ogni suo movimento di dolcezza feminile, che nell’andar e stare e dir ciò che si voglia sempre la faccia parer donna, senza similitudine alcuna d’omo». Inoltre, dopo aver elencato le virtù necessarie «fuggire l’affettazione, l’esser aggraziata da natura in tutte l’operazion sue, l’esser cincunspetta, di boni costumi, ingeniosa, prudente, non superba, non invidiosa, non malèdica, non vana, non contenziosa, non inetta… il saper governar le facultà del marito e la casa sua e i figlioli quando è maritata», Castiglione sottolinea che «in vero molto manca a quella donna a cui manca la bellezza». Artisti e scrittori durante il Rinascimento rappresentano in maniera esemplare l’ideale di bellezza.

Pieter Aertsen, Scena di mercato, prima metà del XVI secolo

Se queste elencate sono le caratteristiche comuni alla maggior parte delle donne dell’epoca, colei che appartiene ad ambienti altolocati deve possedere un tocco di classe in più: «A quella che vive in corte parmi convenirsi sopra ogni altra cosa una certa affabilità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d’omo con ragionamenti grati ed onesti, ed accomodati al tempo e al loco ed alla qualità di quella persona con cui parlerà, accompagnando coi costumi placidi e modesti e con quella onestà che ha da componer tutte le sue azioni una pronta vivacità d’ingegno, donde si mostri aliena da ogni grosseria; ma con tal maniera di bontà, che si faccia estimar non men pudica, prudente ed umana, che piacevole, arguta e discreta». L’intrattenimento, che è il fulcro delle qualità della perfetta donna di corte, è basato sulla conversazione, costituita da ragionamenti “grati ed onesti”. «Voglio che questa donna abbia notizie di lettere, di musica, di pittura e sappia danzar e festeggiare, accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opionion di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano». Questi righi sono il manifesto della portata rivoluzionaria della femminilità rinascimentale. Alla donna di alto rango è richiesta una preparazione culturale pari a quella del cortigiano, caratterizzata dallo studio di arte, musica e letteratura poiché deve aver «notizia di molte cose». Tuttavia, tra le materie di studio citate manca la filosofia. Le donne sono escluse da questa disciplina e di conseguenza anche nel Cortigiano, specchio della sua epoca, sono estromesse dalla discussione filosofica.

Ritratto di giovane, l’unico ritratto confermato di Lucrezia Borgia di Dosso Dossi
(1514-1516)

La dama non dovrà mostrarsi scontrosa durante alcune conversazioni impudiche perché il suo atteggiamento potrebbe far pensare che lei finga d’essere austera per nascondere le sue debolezze, né deve pronunciare «parole disoneste», né osare troppo nei modi di fare, anzi, deve «ascoltargli con un poco di rossore e vergogna». Non deve ascoltare né dir male di altre donne perché tale atteggiamento può creare una «mala opinione» sugli uomini, i quali apprezzano molto volentieri le donne considerate «bone ed oneste», perché la serietà di coloro che agiscono con saggezza è uno scudo contro la «insolenzia e bestialità». C’è, dunque, tutto un codice di comportamento che non ammette eccezioni.

Né Castiglione, nella sua argomentata disquisizione, tralascia l’aspetto esteriore. In deroga al vecchio detto “l’abito non fa il monaco”, secondo lo scrittore anche l’abbigliamento, sempre consono al grado sociale della donna, deve tradurre visibilmente la sua pudicizia, valorizzare la sua personalità e accrescere l’apparenza fisica: «Ma poiché alle donne è licito e debito aver più cura della bellezza che agli uomini e diverse sorti sono di bellezza, deve questa donna aver iudicio di conoscer quai sono quegli abiti che le accrescon grazia e più accomodati a quelli esercizi ch’ella intende di fare in quel punto, e di quelli servirsi, e conoscendo in sé una bellezza vaga ed allegra, deve aiutarla coi movimenti, con le parole e con gli abiti, che tutti tendano allo allegro; così come un’altra, che si senta aver maniera mansueta e grave, deve accompagnarla con modi di quella sorte, per accrescer quello che è dono della natura».
Nella realtà le cose sono un po’ diverse dalla teoria. Lo stesso Alberti e altri scrittori devono ammettere che anche alle donne piace uscire, chiacchierare, truccarsi, seguire le mode di cui sono al corrente.
La donna, una volta sposata, si rivolge al marito con rispetto ed è tenuta all’obbedienza. La vita quotidiana si svolge per lo più all’interno delle mura domestiche. Gli svaghi, le feste e gli incontri sono rari anche per le signore di rango elevato, che escono di casa soprattutto per andare in chiesa e assistere alle celebrazioni, specie in occasione di solennità religiose. Fuso, telaio, ago sono ancora, come è prassi da secoli, gli arnesi in mano alle donne, aristocratiche e popolane.
(Continua).

***

Articolo di Florindo Di Monaco

Florindo foto 200x200

Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.

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