La violenza ostetrica

 La realtà della gravidanza è ben diversa dalla narrazione in genere proposta dai media e dalla società, soprattutto nella sfera familiare: nausea mattutina, spossatezza, repentini cambiamenti d’umore non sono gli unici sintomi, sono solo quelli considerati accettabili da mostrare senza urtare la sensibilità altrui.
Gli sbalzi ormonali possono far insorgere sfoghi cutanei, causare la perdita di denti o capelli, cambi di peso significativi e difficili da tenere sotto controllo, provocando un senso di alienazione nei confronti del proprio corpo. I controlli prenatali sono causa di ansia, di timore di fare qualcosa che possa nuocere al feto. Si possono sviluppare malattie come il diabete, che dureranno per tutto l’arco della gestazione rendendola assai più complicata da sopportare e da vivere. Il parto in sé è probabilmente l’evento più drammatico della gravidanza: nessuna è mai realmente pronta per il dolore delle contrazioni; l’ansia per possibili complicanze non lascia la madre nemmeno quando può tenere fra le braccia la sua bambina o il suo bambino. Spesso i genitali sono soggetti a traumi importanti al punto da dover richiedere dei punti di sutura, e per guarire richiedono un periodo di riposo che una neomamma non può permettersi.
Anche il periodo successivo alla nascita è molto delicato a causa del possibile sviluppo della depressione post-partum.

L’utilizzo di Internet ha permesso alle madri di condividere le proprie storie, di trovare consolazione e una nuova consapevolezza nel legame di solidarietà instaurato con altre donne che hanno vissuto la stessa esperienza. Da queste condivisioni, tuttavia, sono emersi anche racconti sconvolgenti per quanto poco se ne parli, nonostante la loro diffusione. Equipe mediche che negano epidurali senza un valido motivo, o fanno interventi cesarei senza che ce ne sia bisogno solo per velocizzare il parto, spesso senza informare i futuri genitori sull’impatto che ciò può avere in successive gravidanze e nascite. Infermieri e infermiere che trattano male le partorienti con commenti inopportuni o veri e propri insulti, esprimendo a voce alta giudizi che nulla hanno a che vedere con il parto, colpevolizzandole per qualunque complicanza. Risultati di esami prenatali tenuti nascosti o sminuiti per evitare aborti. Punti di sutura dati senza anestesia o senza che ce ne sia la reale necessità, come nel caso dell’husband stich, ovvero quei punti in più che vengono messi solo per rendere il canale vaginale più stretto in vista di prossimi rapporti sessuali, senza aspettare che i muscoli tornino da soli al loro stato originale. Operazioni mediche compiute sulle partorienti senza che queste lo sapessero – la più comune è l’episiotomia, un’incisione del perineo fatta per allargare l’orifizio vaginale, di cui le pazienti vengono spesso informate solo quando si stanno riprendendo dal parto.
A volte è perfino capitato che le ostetriche usassero violenza fisica sulle partorienti e minimizzassero il dolore delle contrazioni. Inoltre, molte informazioni sul post-parto, come la possibilità di un finto mestruo nelle neonate causato dal residuo ormonale della madre, o perdita consistente di sangue per svariati giorni, sono più o meno volutamente taciute, causando enorme stress in donne che si stanno ancora riprendendo dal più grande sforzo della loro vita.

C’è una convinzione diffusa che il parto debba richiedere sofferenza, anche se oggi abbiamo i mezzi per ridurla al minimo. Si arriva addirittura a dire che le donne che richiedono epidurali non sono vere madri, perché non vogliono provare dolore. Coloro che contestano o denunciano questa mentalità vengono bistrattate, accusate di non avere spirito materno perché, invece di essere felici di avere avuto ‘il dono più grande che la Natura/Dio può dare loro’ si concentrano solo su sé stesse, pretendono di curarsi della propria salute fisica e mentale invece di imparare a occuparsi del pargoletto o della pargoletta in silenzio. Se ne parla poco, ma è importante dirlo: il compleanno delle proprie figlie e dei propri figli è spesso il giorno in cui le donne rivivono il trauma causato dal parto. Un trauma che non viene mai elaborato e solo represso, perché parlarne non fa parte della rosea narrativa attorno alla gravidanza, è sconveniente, è roba per madri lamentose che vogliono attenzioni invece di badare alla prole, e dovrebbero solo ringraziare di essere vive, visto che tante prima di loro sono morte portando la vita.
Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha redatto un documento in cui denuncia la violenza ostetrica: atti invasivi e degradanti compiuti sulle puerpere, che mettono a rischio il loro diritto alla vita e alla salute. L’elenco di questi atti è sconfortante se si pensa alla frequenza con cui accadono: abuso fisico, verbale e psicologico, violazione della privacy, violazione del consenso informato, rifiuto della terapia del dolore, trascuratezza nell’assistenza alla paziente che, in caso di complicazioni, possa portare alla morte di madre e figlia/o. Nel caso le puerpere siano adolescenti, appartenenti a minoranze etniche, povere, disabili o malate, l’incidenza degli abusi diventa ancora maggiore. Tutto il personale medico è coinvolto nella violenza ostetrica, un atteggiamento rafforzato dal senso di cameratismo derivante dal praticare la stessa professione e dallo sbilanciamento di potere fra medici o mediche e pazienti. In Italia di violenza ostetrica si inizia a parlare nel 1972, quando i collettivi femministi di Ferrara avviano la campagna ‘Basta tacere’, per permettere alle madri di raccontare le umiliazioni subite in sala parto. Nel 2016 questa iniziativa viene ripresa, e viene creato l’hashtag #Bastatacere per incoraggiare le donne a condividere la propria esperienza. La campagna ha un enorme successo e mette la violenza ostetrica sotto gli occhi di tutti e tutte. Nasce l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVOItalia) grazie al quale è stato possibile ottenere i primi dati sulla diffusione di questo fenomeno nel nostro Paese. I risultati sono tristemente sconvolgenti: su un campione rappresentativo di 5 milioni di madri con figli/e di meno di 14 anni, 4 donne su 10 hanno subito vessazioni durante il parto, la metà ha subito interventi medici senza il proprio consenso, a volte senza neanche sapere che era stato fatto loro qualcosa. Alla luce di questi eventi, sempre nel 2016 il deputato Adriano Zaccagnini deposita in Parlamento una proposta di legge per combattere il fenomeno: rendere reato la violenza ostetrica sulla base della definizione data dall’Oms. Si moltiplicano le iniziative per sensibilizzare il personale medico e per aiutare i futuri genitori a prendere decisioni realmente informate.

Queste iniziative e il grande seguito che hanno avuto sono un ottimo segnale per la lotta alla violenza ostetrica; tuttavia, viene da chiedersi perché il fenomeno esista. Il problema dell’abuso di potere da parte del personale medico è un fenomeno conosciuto da tempo, dovuto alla disparità di conoscenze fra medica/o e paziente riguardo al corpo di quest’ultima/o, alla totale dipendenza da chi pratica la medicina nei confronti della propria salute. Quando a ciò si aggiunge un retaggio culturale che loda la sofferenza fisica soprattutto femminile, che vede nel dolore una necessità e non una conseguenza, unito a un atteggiamento di superficialità riguardo al benessere delle donne, le cause della violenza ostetrica appaiono molto più chiare. È augurabile che la sensibilizzazione su questo e altri simili temi porti un necessario cambiamento di mentalità, per il bene della donna e per la salute sua e dei suoi familiari.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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