
Inaugurata il 19 marzo, fino al 31 luglio rimarrà aperta la più grande mostra sul Rinascimento mai organizzata, presso Palazzo Strozzi e il Museo del Bargello. Articolata in 14 sezioni, con 130 opere fra sculture, dipinti, disegni provenienti da tutto il mondo, vede al centro il genio di Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, nato nel capoluogo toscano nel 1386.
Un artista straordinario, un innovatore che seppe utilizzare ogni materiale: marmo, pietra, bronzo, terracotta, legno, stucco, cartapesta, rame sbalzato, pasta vitrea, ceramica, talvolta creando capolavori polimaterici, originali anche nelle tecniche. Per citare la più nota: lo “schiacciato” (o “stiacciato”, detto alla toscana) che consiste nel variare di pochi millimetri lo spessore del rilievo per dare l’illusione della profondità; due esempi visibili nella mostra sono San Giorgio libera la principessa dal drago e Il convito di Erode, proveniente da Siena.
Gli organizzatori Arturo Galansino, Paola D’Agostino, Francesco Caglioti sono giustamente orgogliosi dei risultati: mai avrebbero sperato di raggiungere un obiettivo tanto ambizioso, un progetto unico; la più completa ed esaustiva rassegna su Donatello, secondo Galansino, che precisa: «certe mostre succedono una volta nella vita» (la Repubblica, 26 marzo 2022). «Un argomento sconfinato. Donatello ebbe una vita lunga per l’epoca e una carriera durata sessant’anni. La sua opera ha una estensione temporale e anche geografica enorme […]. Qui siamo riusciti a fare una sintesi di tutto questo. Ma è un lavoro che viene da lontano. Ho cominciato sette anni fa».
Donatello è stato «forse il più audace scultore di ogni tempo ― afferma Caglioti intervistato da Edi Ferrari (Informatore Coop, marzo 2022) ― è un artista con una fortissima vocazione monumentale, anche quando lavora nei piccoli formati. Ogni volta che una sua opera veniva collocata in uno spazio, pubblico o privato che fosse, attivava effetti sconvolgenti nei suoi contemporanei». È d’obbligo qui citare il caso del meraviglioso David in bronzo dorato voluto da Cosimo il Vecchio: il primo nudo in una statua a tutto tondo senza elementi architettonici, dopo quelle greche e romane, esposta per le nozze di Lorenzo de’ Medici con Clarice Orsini e poi situata al Bargello, un museo importantissimo, che non sempre è noto a chi visita Firenze, ed è un peccato perché è uno scrigno di bellezza assoluta.

Va sottolineato che la mostra si è potuta realizzare grazie a contributi pubblici e soprattutto privati, con l’intervento di banche, fondazioni, sponsor e di una mecenate come Maria Manetti Shrem, e continuerà nel tempo la sua ricaduta sul territorio, proprio con il rilancio del Museo del Bargello; è inoltre organizzata in collaborazione con i Musei statali di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra; in queste due sedi a settembre e nella successiva primavera si terranno altre esposizioni, diverse ma unite dallo stesso filo, che daranno l’opportunità eccezionale di avere una panoramica totale dell’arte di Donatello. Ma non è finita qui: la mostra fiorentina si collega alla realtà toscana con una serie di iniziative nei luoghi dove l’artista visse e lavorò; quindi si stanno svolgendo eventi a Prato, Pisa, Siena, Arezzo, con il sussidio di pubblicazioni.
Non si può concludere questa premessa senza ricordare qualche dato essenziale sulla biografia dell’artista, anche se è impossibile citare tutte le sue opere, per le quali si rimanda a siti specializzati e a opportune analisi dettagliate. Figlio di un modesto cardatore di lana, era stato a bottega dallo scultore Ghiberti, autore delle formelle della porta nord del Battistero, a cui collaborò anche il giovane allievo. Il suo precoce genio si può notare nel cosiddetto Crocifisso contadino, dalla potenza drammatica sconvolgente, situato nella Chiesa di Santa Croce, ora messo a confronto con quello più armonioso e “classico” di Brunelleschi.
Fra 1408 e 1409 realizzò una pregevole scultura in marmo bianco di David, al momento situata proprio nella prima sala di Palazzo Strozzi; lavorò ancora a Firenze e si recò poi a Roma con l’amico e collega Brunelleschi per avvicinarsi direttamente all’arte antica. Al rientro, intorno al 1415-17, scolpì in marmo apuano la statua di San Giorgio e il drago, all’interno di Orsanmichele (oggi al Bargello), considerata l’opera di avvio dell’umanesimo, che gli era stata commissionata dall’Arte dei corazzai e spadai. Alla base si trova il primo esempio di “schiacciato” con il citato San Giorgio che libera la principessa dal drago.
Dal 1425 al 1433 apre bottega con Michelozzo e, insieme o da solo, realizza lavori importantissimi, collocati a Firenze, a Siena, a Napoli, dove nella tomba del cardinale Brancaccio sperimenta ancora lo “schiacciato” nel delineare l’immagine dell’Assunta. Di nuovo a Roma progetta e completa il tabernacolo del Sacramento in San Pietro e una lastra tombale all’Aracoeli, ma il periodo più splendido della sua arte lo attende nella città natale; del 1435 è la delicata Annunciazione, un altorilievo di incredibile spiritualità, tratteggiato con pennellate d’oro, situato in Santa Croce. Realizza poi il David in bronzo (1440), la vivacissima cantoria della cattedrale, in cui ― nel marmo ― si susseguono figure di putti, su un inedito sfondo policromo, e il “pulpito meraviglioso”, all’esterno della cattedrale di Prato, in marmo, bronzo, mosaico.
Nel 1443 è chiamato a Padova per l’imponente monumento equestre al Gattamelata che gli frutterà fama e onori nel Nord Italia e diventerà un punto di riferimento per tutta la scultura monumentale a cavallo fino al Novecento. Rientrato a Firenze nel 1454, continua a lavorare, attorniato dagli allievi, nella sua bottega dove scolpisce nel legno l’espressiva e drammatica Maddalena penitente (Museo dell’Opera del Duomo); completa anche il coronamento bronzeo per Giuditta e Oloferne, da collocarsi nel Palazzo Medici. Alla famiglia dei signori fiorentini fu molto legato, per affetto, stima, vicinanza ideale, al punto che alla morte, avvenuta il 13 dicembre 1466, fu seppellito nelle maestose Cappelle medicee, nella Chiesa di San Lorenzo, per esplicita volontà di Cosimo il Vecchio. Erano stati vicini in vita, così lo sono rimasti in eterno.
Ma certo a Donatello ricchezze e onori interessavano poco: lavoratore intransigente e accanito, non si curava delle questioni economiche, non si era mai sposato, aveva rifiutato il destino da possidente e degli abiti eleganti avuti in dono non sapeva che farsene; lasciò persino qualche debito, mentre il suo piccolo podere andò al contadino che vi si era dedicato col sudore della fronte.
Prima di accedere a Palazzo Strozzi, merita soffermarsi sul bassorilievo scelto per caratterizzare catalogo e locandina: la tenera Madonna Pazzi (circa 1422 – proveniente da Berlino) in cui è evidente, quale elemento distintivo dell’opera del Maestro, l’attenzione rivolta alle donne grazie a capolavori come Dovizia (oggi perduta), Maddalena, Giuditta, ma anche alle sue Vergini che sono essenzialmente mamme amorose: osservate la complicità con il Bambino, lo scambio di sguardi, la mano affondata nella carne del piccolo, l’abbraccio affettuoso e spontaneo. Dopo il giovanile David vittorioso e i due splendidi Crocifissi citati, posti uno vicino all’altro nell’ingresso, si passa alla sala dedicata ai manufatti in terracotta, fra cui due pregevoli Madonne con Bambino, arrivate da Detroit e Londra.
La terza ospita opere di vario genere accomunate dall’utilizzo innovativo dei panneggi di cui esempi straordinari sono l’enorme San Ludovico di Tolosa, lavoro complesso e moltocostoso all’epoca, alto quasi tre metri,e il realistico reliquario di San Rossore, in bronzo con dorature, il primo antropomorfo che inaugura la tradizione del busto nella ritrattistica rinascimentale, con il volto del santo guerriero delineato nei minimi particolari; a confronto si apprezzano esempi di Andrea del Castagno, Lippi, Masaccio, Michelozzo; utile anche osservare due piccole statue: Fede e Speranza, una ancora da restaurare, l’altra ritornata all’aspetto originale.
La quarta sala, dedicata ai bassorilievi, fra le altre opere presenta la citata Madonna Pazzi e lo strabiliante Convito di Erode, in bronzo dorato, in cui i vari piani vanno dallo sfondo in “schiacciato” fino alle figure in evidenza, con mirabili effetti prospettici, dettagli architettonici, personaggi colti in movimento e spaventati al macabro spettacolo.
Nell’ambiente successivo l’occhio è tutto preso dal curioso spiritello Amore-Attis, un bambino paffuto e alato con dei pantaloni che gli coprono solo le gambe, esempio sommo in bronzo dei putti tante volte ripresi dallo stesso Donatello e da infiniti artisti.
Di seguito ancora putti che danzano nel Pulpito di Prato, realizzato con Michelozzo.
Nella settima sala il confronto fra due porte bronzee della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, una da restaurare, con ben 40 fra santi e martiri in coppie che sembrano affrontarsi, discutere, ignorarsi, in uno scambio vivace e realistico. Nella sala seguente si impone l’ultima statua marmorea realizzata dal Maestro: San Giovanni Battista destinato a casa Martelli, una inedita figura di giovane dal volto segnato e malinconico.
Di seguito colpiscono, nella produzione padovana, il Miracolo della mula e l’imponente Crocifisso in bronzo, il primo mai realizzato in Italia, a cui si unisce il gruppo bronzeo di cinque grandi figure, opera di Baroncelli, per la Cattedrale di Ferrara. Stiamo arrivando alla fase conclusiva dell’artista: ancora in Toscana, ma a Siena, vedono la luce l’emozionante lastra Pecci, sepolcro antiretorico e antieroico, il San Giovanni Battista legato all’iconografia tradizionale, barbuto, macilento e vecchio, e la delicata Madonna Chellini.

Nell’ultima sala si ammirano una gigantesca testa di cavallo, destinata a un monumento incompiuto, messa a lato di un originale dell’arte greca e l’ardita composizione del Calvario in bronzo dorato, con rifiniture in argento e rame, un’opera stupefacente, che brilla letteralmente e presenta una visione geniale del tragico momento, con una infinita serie di personaggi, ognuno diverso e con uno specifico ruolo.

Spostandoci al Bargello, poco dietro la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, nel cuore della Firenze antica, è inevitabile riflettere sul ruolo di questo bell’edificio che fu palazzo del Podestà, aperto fino dal 1256 e divenuto nel 1865 il primo Museo Nazionale Italiano dedicato alle arti del Medioevo e del Rinascimento. Nella sua lunga storia, fu anche carcere e sede delle guardie; nel cortile interno, in una data che la popolazione toscana tiene a mente con gratitudine, furono bruciati gli strumenti dei supplizi quando il granduca Pietro Leopoldo varò il nuovo Codice penale, che, primo in Europa, bandiva la tortura e la pena di morte. Era il 30 novembre 1786.
Per l’occasione è stata riallestita la sala dedicata a Donatello, al piano superiore, ma prima di arrivarci si apprezzano manufatti raffinatissimi in avorio, maioliche di varia provenienza ed epoca, sculture medievali, animali in bronzo disposti nel loggiato esterno, capolavori in terracotta invetriata dei Della Robbia. Alla fine siamo accolti dal celebre Marzocco (1420) in pietra scolpita, con lo scudo in marmo bianco e rosso; si tratta del leone simbolo di Firenze, su basamento di Benedetto da Maiano.
Al centro della sala campeggia dall’alto il David in bronzo dorato, uno degli emblemi della mostra e dell’opera donatelliana, ma anche un punto fermo nella scultura italiana; a questo si accompagna San Giorgio e il drago, affiancato da affreschi staccati di Andrea del Castagno. Da non mancare una visita alla bella esposizione di arte islamica facente parte della collezione Carrand.
A pianoterra altra sala importante, per concludere il percorso in bellezza, con la Madonna col Bambino in terracotta, a cui fanno cornice altre simili rappresentazioni di Leonardo, Bronzino, Perugino, Michelangelo, e la Madonna Dudley, un raffinato bassorilievo marmoreo prestato dal Victoria and Albert Museum.
Per chi si trovasse a Firenze risulta imperdibile un altro appuntamento eccezionale. Si celebrano infatti i 140 anni dallo spostamento del David di Michelangelo dall’esterno (dove era rimasto per tre secoli) all’interno della Galleria dell’Accademia, una scelta senza precedenti che anticipava il concetto di tutela del patrimonio e indicava l’attenzione tutta nuova per la salvaguardia di un monumento simbolico per la città e per l’intera storia dell’arte. Oggi, infatti, in Piazza della Signoria se ne può ammirare solo la copia di Luigi Arrighetti, lì posta nel 1910.
Saranno molti gli eventi significativi: concerti, mostre, convegni, dibattiti, da seguire con attenzione in un fitto cartellone che è iniziato a maggio ma andrà avanti per tutto l’anno. Fino al 1° agosto, al Museo dell’Opera del Duomo, un’altra occasione unica: la Pietà Bandini di Michelangelo, appena restaurata, messa a confronto con i calchi della Pietà Vaticana e della Pietà Rondanini, provenienti dai Musei Vaticani. Le tre opere, per la prima volta vicine, permettono di vedere l’evoluzione dell’arte di Michelangelo dalla giovinezza all’ultima stagione.
A Firenze, è chiaro, è impossibile annoiarsi.
In copertina. Ingresso alla mostra. Palazzo Strozzi.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.