La donna nel Rinascimento. Impegno culturale e rivendicazioni femministe

Con il Rinascimento una minoranza femminile, da considerarsi un’élite, riesce in certo qual modo a emanciparsi ritagliandosi un proprio spazio di libertà nell’ambito della cultura, sia essa letteratura, arte o scienza.
La questione dell’istruzione femminile è in due secoli uno dei maggiori argomenti di discussione. Nel suo trattato del 1516, Utopia, Tommaso Moro sostiene il diritto delle donne all’istruzione. Erasmo da Rotterdam nei Colloquia familiaria (1533) dedica particolare attenzione all’educazione femminile, affermando che una donna istruita può guidare con maggiore competenza la crescita dei figli.
La Riforma protestante promuove l’istruzione obbligatoria per tutti e tutte, con particolare attenzione al catechismo e alle Sacre Scritture. Poiché ai suoi tempi nei villaggi di campagna si impartisce un’educazione superficiale tanto ai ragazzi quanto alle ragazze, Martin Lutero con l’opera del 1524 An die Ratsherren aller Städte deutschen Landes (Ai consiglieri di tutte le città tedesche) sollecita, con la riforma del sistema scolastico, l’istituzione di una scuola pubblica “triviale”, a cui vengano ammesse anche le donne. Nel 1592 il Palatinato-Zweibrücken è il primo territorio al mondo a garantire un’istruzione obbligatoria universale.

Isotta Nogarola in una xilografia realizzata nel 1497

Durante il XV secolo, l’educazione è ancora riservata alle donne nobili. L’umanista veronese Isotta Nogarola (1418-1466) nel libro Isotae Nogarolae de pari aut impari Evae atque Adae peccato Dialogus (1451) affronta con il podestà di Verona, Lodovico Foscarini, il tema della maggiore o minore responsabilità di Adamo ed Eva nel peccato originale. Isotta giustifica Eva come creatura debole e ignorante, facile vittima della tentazione del serpente, mentre Foscarini sostiene la maggiore colpevolezza della donna.

In pieno Rinascimento, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, vivono insigni donne di lettere che preparano la strada alle poete del XVI secolo. La toscana Alessandra Scala (1475-1506), bruna, dagli occhi scuri, di grande bellezza e di straordinaria intelligenza e cultura, conosce talmente bene il greco da recitare in lingua originale, come protagonista, l’Elettra, la famosa tragedia di Sofocle. Scrive Angelo Poliziano: «Quando Alessandra interpretava l’Elettra di Sofocle, lei una vergine, tutti ci stupivamo: che scioltezza nel pronunciare (lei, di stirpe ausonia) la lingua attica senza fare errori! Che voce emetteva, mimetica, ma sincera! Che osservanza dei minimi dettagli dell’arte della scena! E nel contempo, come serbava il carattere schietto; fissando gli occhi a terra, non sbagliava un movimento, non un passo, né esagerava nel tono lamentoso; e avvinceva gli spettatori con l’umido sguardo».

Cassandra Fedele

Lo stesso Poliziano paragona alle Muse, a Corinna e a Saffo, l’umanista veneziana Cassandra Fedele (1465-1558), donna coltissima. In una lettera a Lorenzo il Magnifico la descrive «cosa mirabile, né meno in vulgare che in latino: discretissima et etiam bella». In un’epistola indirizzata alla stessa Cassandra, annota: «Fra le donne l’unica a venir fuori sei tu, fanciulla, che maneggi il libro al posto della lana, la penna al posto del belletto, la scrittura al posto del ricamo e che non ricopri la pelle con il bianchetto ma il papiro con l’inchiostro». Cassandra interviene in pubblici dibattiti su temi di filosofia e teologia con studenti e professori dell’università di Padova, dove tiene regolarmente lezioni e incontri. I reali di Aragona l’invitano in Spagna per tenervi una cattedra, ma non può partire a causa della guerra.

Letterata, filosofa e poeta è Battista Malatesta (1384-1447/1448), capostipite di una genealogia di letterate a Urbino, come la nipote Costanza Varano, poeta in latino e greco. Intrattiene una fitta corrispondenza con il grande umanista Leonardo Bruni, acquisendo elevate capacità oratorie e letterarie in latino e in volgare. Bruni in una lettera scritta nel 1421, Opusculum de studiis et litteris, è convinto che gli studi umanistici classici possono essere seguiti da entrambi i sessi allo stesso modo, mentre ritiene poco convenienti per il sesso femminile l’aritmetica, la geometria, l’astrologia e la retorica. Battista scrive in latino due opere filosofiche oggi perdute, il Libro della fragilità umana e il Libro della vera religione. La gentildonna di Parma Barbara Torelli Strozzi (1475-1533), appartenente a una famiglia della piccola nobiltà emiliana, sposa il capitano di ventura Ercole Bentivoglio e frequenta le raffinate corti rinascimentali di Mantova e Ferrara, dove conosce Isabella d’Este, Lucrezia Borgia e il letterato e cortigiano Ercole Strozzi che, divenuto il suo secondo marito, viene misteriosamente assassinato pochi mesi dopo il matrimonio.
Per quanto non abbia composto un canzoniere, le è stato attribuito un sonetto, scritto in memoria del marito, da sempre molto apprezzato per la fine eleganza dei versi e lo struggente sentimento che lo anima.

«Spenta è d’Amor la face, il dardo è rotto,
e l’arco e la faretra e ogni sua possa,
poi che ha Morte crudel la pianta scossa,
a la cui ombra cheta io dormia sotto.

Deh perché non poss’io la breve fossa
seco entrar, dove l’ha il destin condotto,
colui che appena cinque giorni e otto
Amor legò pria de la gran percossa?

Vorrei col foco mio quel freddo ghiaccio
intepidire, e rimpastar col pianto
la polve, e ravvivarla a nuova vita:

e vorrei poscia, baldanzosa e ardita,
mostrarlo a lui, che ruppe il caro laccio,
e dirgli: – Amor, mostro crudel, può tanto».

La scrittrice padovana Giulia Bigolina, vissuta all’incirca tra il 1518 e il 1569, scrive il romanzo Urania, il primo realizzato da una donna italiana nel Rinascimento, che ha per tema la storia di un amore non ricambiato tra l’omonima protagonista e Fabio, innamorato di un’altra donna. Per il dolore, Urania decide di fuggire travestita da uomo da Salerno a Napoli e nella fuga incontra un gruppo di cinque donne con le quali discute dell’amore. Successivamente si imbatte in cinque uomini e dialoga con loro dell’educazione maschile e femminile.
In un’epoca in cui è cosa rara per le donne di cultura insegnare e tenere lezioni in un’università, la Spagna è uno dei pochissimi Paesi in cui è loro concesso un tale privilegio, grazie soprattutto alla regina Isabella di Castiglia, una donna illuminata e molto istruita che incoraggia con il suo esempio l’amore per lo studio.

Beatriz Galindo

Beatriz Galindo (1465 ca.-1534), tra le più dotte del tempo, fin da piccola frequenta diversi studi universitari di grammatica (tra cui la prestigiosa università di Salamanca), e viene soprannominata “la Latina” per la sua abilità nella lingua di Cicerone. La sovrana Isabella le affida l’educazione della sua augusta prole. Non solo. Beatriz annovera nel suo curriculum l’istruzione di Caterina d’Aragona, andata poi sposa a Enrico VIII d’Inghilterra, e di Giovanna di Castiglia, futura moglie di Filippo d’Asburgo. Le viene attribuito un commento su Aristotele. Rinomata per la sua conoscenza di greco, latino ed ebraico, Isabella Losa (1491-1564) si laurea in teologia all’Università di Cordova. Morto il marito nel 1539, prende i voti e diventerà badessa. Francisca de Lebrija, cattedratica all’Università di Alcalá de Henares, è celebrata come una luminare della retorica, ma nessuna delle sue opere è sopravvissuta. Luisa de Medrano (1484-1527) ha una cattedra presso l’ateneo di Salamanca, scrive poesie e saggi di filosofia. Purtroppo il suo lavoro è andato perduto.

Probabile ritratto postumo di Luisa de Medrano come Sibilla Samia da Profeti e Sibille di Juan Soreda, 1530

Caterina d’Aragona (1485-1536), prima moglie di Enrico VIII Tudor e quindi regina consorte d’Inghilterra dal 1509 al 1533, nasce e cresce nella corte spagnola, una delle più brillanti d’Europa, dove la parità culturale tra uomini e donne, rara altrove, è una felice realtà. Studia religione, letteratura classica, storia, diritto canonico e civile, araldica e genealogia. Riceve una severa educazione religiosa e matura una profonda fede. Padroneggia spagnolo e latino, parla correntemente francese e greco. Si deve a lei, una volta salita sul trono inglese, l’eccellente livello culturale delle donne sia della nobiltà che del popolo. Caterina affida al filosofo e umanista spagnolo Juan Luis Vives, seguace di Erasmo, l’educazione della figlia, la futura Maria I d’Inghilterra. Nel 1523 gli commissiona un’opera, che lui scrive in latino, il De institutione feminae Christianae che, tradotta in inglese, diventa Education of a Christian Woman, un trattato sull’istruzione femminile, che deve essere uguale per tutte le donne, a prescindere dalla classe sociale e dalle capacità personali. Accompagnando con una serie di consigli pratici le donne dall’infanzia al matrimonio e all’eventuale vedovanza, il manuale è subito apprezzato come il più autorevole manifesto a favore dell’istruzione universale delle donne.

Sostenendo che queste sono intellettualmente pari se non superiori agli uomini, Vives sottolinea come il progresso femminile sia essenziale per il bene della società e dello Stato.
Restando oltremanica, la regina Elisabetta I Tudor riceve una solida educazione umanistica attirandosi le lodi del proprio tutore Roger Ascham.
Un embrione di emancipazione femminile si ha in Francia nella seconda metà del Cinquecento con la creazione dei primi salotti culturali a opera di donne colte e illuminate. Nel 1570, la parigina Claudia Caterina di Clermont-Tonnerre de Vivonne (1543-1603), dama di Dampierre, contessa e duchessa di Retz, apre a palazzo Dampierre presso il Louvre un salotto letterario al quale partecipano la regina di Navarra, Margherita di Valois ed Enrichetta, duchessa di Nevers.
La poeta Louise Labé tiene un salotto frequentato dagli intellettuali lionesi. A Poitiers, un importante centro di cultura dove accorrono letterati e scrittori ruota intorno a Madeleine Des Roches (1520 circa-1587), rimasta precocemente vedova, e alla figlia Catherine.
Molte donne di elevata condizione sociale sono libere di dedicarsi allo studio, alle arti e alle lettere. Un buon numero di poete compongono eleganti e raffinati versi in volgare e anche in latino, altre intraprendono studi classici, riservati in precedenza ai maschi.

Alcune donne, le più fortunate, che in virtù della propria posizione sociale, non hanno la preoccupazione delle faccende domestiche, dispongono di un elevato livello culturale. Ma è soprattutto nel Cinquecento, segnatamente in Italia, che le donne prendono carta e penna e si danno liberamente alla scrittura poetica. La prima fioritura di poesia al femminile va sotto il nome di “petrarchismo”. Tutte chi più chi meno si ispirano allo stile e ai versi del cantore di Laura e cantano l’amore con le gioie e le sofferenze che comporta. Sono tante e di così grande calibro le poete che meritano una trattazione a parte. Qui basta solo ricordare, tra le più famose e celebrate, Gaspara Stampa, Veronica Gambara, Tullia d’Aragona, Veronica Franco e Laura Terracina, stimate per le non comuni capacità intellettuali e tutte intensamente partecipi della vita sociale e culturale dell’epoca, ad eccezione di Isabella di Morra che, a differenza delle sue contemporanee, è costretta a consumare la sua breve esistenza reclusa nelle gelide mura di un castello e divenuta, per questo, un’icona dell’oppressione e dell’emarginazione femminile.
Al contrario della sfortunata e infelice Isabella, Vittoria Colonna è una donna di grande cultura che coltiva la sua passione per l’arte e il mecenatismo circondandosi dei migliori artisti e intellettuali del suo tempo, tra cui il più illustre, Michelangelo Buonarroti, a lei legato da “una corrispondenza di amorosi sensi” e che per lei usa parole toccanti fino a definirla «un uomo in una donna, anzi un dio».


Christine de Pizan e suo figlio

Il Rinascimento è anche l’alba delle rivendicazioni femministe di autonomia, indipendenza e libertà. Siamo nel 1405. Sono passati i secoli più bui del Medioevo, l’Età di mezzo è ormai sul viale del tramonto, e spunta il sole dell’Umanesimo. Una donna, la prima che ha il coraggio di denunciare apertamente l’infelice condizione del suo sesso e di rispondere alla sfida e alle provocazioni degli uomini che per secoli ne hanno scritto di cotte e di crude sul sesso debole, questa donna che fa da battistrada alle altre coraggiose dei secoli che verranno, si chiama Christine de Pizan. Il nome è francese, ma lei è italiana, Cristina da Pizzano, veneziana. Nata nella città lagunare nel 1365, si sposa a quindici anni, ha una vita apparentemente tranquilla fino a quando, dopo dieci anni di matrimonio, il marito muore. Appena rimasta vedova, a soli venticinque anni, si ritrova sola con una montagna di debiti, senza un soldo, con tre figli da crescere e una madre anziana da mantenere.
Si rimbocca metaforicamente le mani e si vede costretta a reinventare la sua esistenza e quella della sua famiglia. Immagina di addormentarsi e di svegliarsi uomo, e come tale di avere il posto che le spetta in società. Si trova su una nave in mezzo a una tempesta, la nave fa naufragio, il nocchiero (il marito) è sparito e lei è sola con i suoi bambini. Disperata vorrebbe annegare. Arriva però la Fortuna, come una buona fata la tocca e con la bacchetta magica la trasforma in un uomo. Come? La voce diventa più massiccia, le nasce dentro una forza che non ha mai avuto. Allora ha una specie di chiamata. Prende la penna in mano e comincia a scrivere, su commissione, e si guadagna da vivere scrivendo. Soprattutto tratta delle donne e della loro condizione. Ne viene fuori il suo libro più famoso, Le Livre de la Cité des Dames (La città delle dame), scritto in pochi mesi tra il 1404 e il 1405. Il titolo dice tutto.

Christine è triste, pensando a tutte le maldicenze, le cattiverie, le bugie e le malignità che sono state scritte contro le donne, ultime fra tutte due opere rispettivamente di Boccaccio e di Jean de Meun, ancora a sostegno dell’idea che la donna è per natura un essere vizioso. Non ne può più e quasi si dà per vinta. Ma ecco appaiono tre dame, che le aprono la mente e la scuotono dal torpore in cui è caduta. Guidata dalle tre dee, Ragione, Rettitudine e Giustizia, vede spuntare davanti ai suoi occhi come un miraggio, una città utopistica, ideale, abitata tutta e solo da donne.
Christine nella sua profonda sensibilità è la prima donna a chiedersi e a metterlo per iscritto nero su bianco: perché le donne devono essere escluse ed emarginate, perché non possono ricevere la stessa istruzione degli uomini? Di qui il suo interrogativo accorato: «Dio mio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere».

Ritratto della marchesa Vittoria Colonna, Sebastiano del Piombo, 1950, Museo nazionale d’arte della Catalogna, BA

La Città delle Dame è il guanto di sfida che Christine lancia agli uomini e a una tradizione misogina secolare. La sua requisitoria in difesa del proprio sesso e di tutte le donne vittime nei secoli di troppe discriminazioni e pregiudizi nei riguardi delle loro capacità mentali è sferzante, implacabile: «Una donna intelligente riesce a far di tutto e anzi gli uomini ne sarebbero molto irritati se una donna ne sapesse più di loro .Sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d’accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline a ogni tipo di vizio… Né l’altezza né l’umiltà di una persona si trova nel corpo a seconda del sesso, ma nella perfezione di condotta e nelle virtù. E le donne hanno condotto il mondo dalla bestialità a vita umana e ragionevole».

Un’altra opera, meno conosciuta, è il Dettato dedicato a Giovanna d’Arco, scritto da una donna già vecchia e in crisi, che da anni non prende in mano la penna, poco prima di morire. Il libro è incentrato sulla parità naturale del genere femminile. Cristina non ha bisogno di attingere alla storia antica, biblica e classica, per i suoi esempi di donne illustri: il miracolo è lì, davanti ai suoi occhi, Giovanna d’Orléans, eroina e protagonista della riscossa francese nella Guerra dei Cent’anni, un miracolo che le fa esclamare: «Che onore per il sesso femminile quando questo nostro regno interamente devastato, fu risollevato e salvato da una donna, cosa che cinquemila uomini non hanno fatto!». Per capire quanto le donne potrebbero dare se solo avessero la stessa libertà degli uomini, è di fondamentale importanza la testimonianza di un’illustre scrittrice, una grande donna dimenticata per quattro secoli, e riscoperta solo mezzo secolo fa, negli anni di fuoco del femminismo, una donna icona delle tante donne oscurate e cancellate dalla storia.

Moderata Fonte

Nel 1600 esce postumo Il merito delle donne, un libro così attuale che sembra scritto oggi. L’autrice si chiama Moderata Fonte, uno pseudonimo, il vero nome è Modesta Dal Pozzo de’ Zorzi, nata a Venezia nel 1555 e morta a 37 anni nel 1592. Sposata per dieci anni con un patrizio veneto, è costretta a sacrificare la propria attività letteraria per crescere i tre figli, poi muore di parto nel dare alla luce il quarto figlio. Il suo libro vede la luce in un’epoca di misoginia imperante. Ora uno scrittore ora un altro scrivono calunnie e maldicenze contro le donne. Si orchestrano machiavelliche disquisizioni per dimostrare la superiorità del sesso maschile. Una donna di carattere come la nostra autrice, che ha sensibilità, intelligenza e coraggio, non ne può più e sente il bisogno di reagire e di rispondere alla sfida.

Il merito delle donne è un dialogo immaginario che si svolge in due giornate tra sette donne di Venezia, che si vogliono bene come sorelle, unite da affettuosa e sincera amicizia. Si ritrovano nella bellissima casa di una di loro, e discutono liberamente sulla condizione della donna. «Se noi vogliamo dire il vero… noi non stiamo mai bene se non sole, e beata veramente quella donna che può vivere senza la compagnia de verun’uomo… Più tosto morrei che sottopormi ad uomo alcuno; troppo beata vita è quella che io passo così senza temer di barba d’uomo che possa commandarmi… Se siamo loro inferiori d’auttorità, ma non di merito, questo è un abuso, che si è messo nel mondo, che poi a lungo andare si hanno fatto lecito ed ordinario… se pur avessero essi gli uomini un poco di discrezione, che volessero almanco che vi fusse qualche parità e non ci volessero aver tanto imperio sopra e con tanta superbia… Dovete sapere, che son uomini quei che l’hanno scritte le istorie… pensate pur che rare volte ne dicon bene di noi, ma laudano il lor sesso in generale e in particolare per laudar se medesmi […] Certi mariti tengono tanto in freno le mogli loro, che a pena vogliono che l’aria le veggia, quelli non fanno mai altro che gridar in casa; e se non trovano tutte le cose fatte a lor modo le villaneggiano e battono anco per minima cosa… Quanti padri sono che non provedono mai alle lor figliuole vivendo ed al fin morendo lasciano il tutto, o la maggior parte delle loro sostanze a mascoli e le privano della propria eredità […] La donna resiste con forte cuore alle sue male inclinazioni e non solo ha ella da vincer le sue proprie, che le bisognano ancor forze da combattere e vincere la molestia de gli uomini». Il dialogo si conclude con questi versi:
«S’ornano il ciel le stelle,
ornan le donne il mondo,
con quanto è in lui di bello e di giocondo.
E come alcun mortale
viver senz’alma e senza cor non vale
tal non pon senza d’elle
gli uomini aver per se medesimi aita
chè è la donna de l’uom cor, alma e vita».

***

Articolo di Florindo Di Monaco

Florindo foto 200x200

Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.

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