Santa Benedetta Cambiagio Frassinello nacque a Langasco (Genova) il 2 ottobre 1791 da una famiglia di contadini che si trasferì a Pavia nel 1804 a causa dell’impoverimento portato dalla guerra napoleonica. Sono proprio i genitori a introdurla al mondo cattolico e a darle «una profonda educazione cristiana» che le permise di radicare «nel suo animo i princìpi della fede» (“Benedetta Cambiagio Frassinello”, vatican.va). Nonostante sentisse già il desiderio di consacrare interamente la propria vita alla servitù di Dio, il 7 febbraio 1816 sposò tal Giovanni Battista Frassinello, da cui non ebbe figli. Rimasero sposati solamente per due anni, durante i quali entrambi si dedicarono alla sorella maggiore di Benedetta, nel frattempo gravemente ammalatasi. Ispirata dalla cura della sorella, alla sua morte (1825) si convinse a prendere definitivamente la via della vocazione, quella strada che sentiva le appartenesse già da tempo, entrando fra le Orsoline di Capriolo in provincia di Brescia.
Curiosamente, lo stesso spirito vocazionale colpì anche il marito, il quale decise di unirsi alla comunità dei Somaschi. I due si ritrovarono nuovamente assieme a Pavia, dove, per volontà del Vescovo mons. Luigi Tosi, Giovanni Battista venne inviato a prestare aiuto a Benedetta nella sua attività di «accoglienza e… educazione umano-cristiana di fanciulle povere e abbandonate» (ibidem). Proprio a Pavia, infatti, nel 1827 Cambiagio aprì la prima scuola popolare della città, ricevendo dall’Imperiale regio governo austriaco il titolo di “Promotrice della pubblica istruzione”.
Tuttavia la sua opera non destò solamente ammirazione. A causa di avversioni non indifferenti sia dal mondo laico che da quello clericale, nel luglio 1838 fu difatti costretta a lasciare temporaneamente Pavia assieme al marito e a cinque consorelle in direzione di Ronco Scrivia, dove fondò la “Casa della Provvidenza” (attualmente la casa madre della comunità delle suore Benedettine della Provvidenza, così chiamate dal nome della fondatrice).
Ritornò nella località pavese solo tredici anni dopo, nel 1851. Morì a Ronco Scrivia il 21 marzo 1858.
Il tema del supporto all’istruzione per la gioventù e l’adolescenza è tornato drammaticamente in vista a causa della pandemia di Covid-19. Prima di cominciare, tuttavia, desidero fare un’introduzione preventiva, in modo da dimostrare di non essere prevenuto nei confronti della dad (didattica a distanza). Secondo un sondaggio Almalaurea datato al 2020, sebbene complessivamente le/gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado si siano detti «meno soddisfatti della didattica a distanza rispetto alla scuola tradizionale» (Cristina Da Rold, “Didattica a distanza: come l’hanno vissuta i ragazzi. Il sondaggio Almalaurea”, infodata.ilsole24ore.com, 16 settembre 2020), ciò però non ha impedito loro di individuarne alcuni aspetti positivi. In questo senso, il sondaggio rivela non solo che uno/a studente su tre ritiene utile il continuare a usare la dad pure dopo la pandemia, ma anche che per la metà delle/dei giovani intervistati è risultata efficace sia per il recupero delle lezioni sia per il consolidamento degli argomenti di studio. Inoltre, circa uno studente su sei pensa che la dad «migliori addirittura la comprensione degli argomenti trattati rispetto alla didattica tradizionale» (ibidem).
Fermo restando, però, il fatto che la dad possa essere stata vissuta in modo diverso a seconda del tipo di scuola frequentata (generalmente le/gli studenti dei professionali hanno sentito di aver maggiormente beneficiato della dad rispetto ai colleghi liceali), questo sondaggio pecca di una grave sottorappresentazione della gioventù del Sud e delle isole, ossia di quelle zone del Paese che più di tutte hanno sofferto le conseguenze della pandemia. Come ben scrive Riccardo Pieroni per Valigia Blu, «da quando in Italia è scoppiata la pandemia da Covid-19 sono molte le regioni in cui la sospensione delle lezioni scolastiche in presenza è durata a lungo…», specialmente la Campania, dove «la didattica a distanza è stata la normalità e non l’eccezione» (Riccardo Pieroni, “Scuola, una storia di didattica solidale in un quartiere di Napoli abbandonato dalle istituzioni”, valigiablu.it, 16 aprile 2021).
Secondo una comparazione dei giorni in presenza nell’anno scolastico 2020-21 tra le scuole delle principali città italiane, generalmente le grandi città meridionali hanno fatto meno lezioni in presenza rispetto a quelle del Nord e del Centro; una tendenza che ha però trovato impreparate migliaia di famiglie prive di dispositivi e/o di collegamenti a Internet adeguati (Goffredo Buccini, “La scuola (perduta) al Sud e la Dad che divide: quel 34% dei ragazzi senza tablet e pc”, corriere.it, 30 aprile 2021).
In particolare, il caso della regione campana portato da Pieroni può essere considerato come esemplare delle difficoltà che i giovani e le giovani del Sud stanno correndo, in quanto «il ricorso massiccio alla didattica a distanza è avvenuto in una regione che… nel 2018 aveva il rischio più elevato di povertà o esclusione sociale registrato in Europa», oltre che, sempre nel 2018, un’alta percentuale di abbandono scolastico (il 18,5 % della popolazione campana tra i diciotto e i ventiquattro anni ha solo la licenza media) (“Quanto incide la povertà educativa in Campania”, openpolis.it, 23 novembre 2019). Secondo Openpolis, infatti, i fenomeni del disagio economico e dell’abbandono scolastico sono tristemente correlati tra loro. Questa relazione comporta che «i giovani che vivono in condizioni di difficoltà economica spesso rischiano di lasciare gli studi precocemente, per cercare un lavoro e contribuire al mantenimento dei propri familiari», senza sapere però che «lasciare la scuola prima del tempo può ridurre la possibilità di trovare un’occupazione», o al massimo di trovare «situazioni precarie, con uno stipendio insufficiente e poche garanzie» (ibidem). Senza contare, e questo l’aggiungo io, il rischio concreto di affidarsi alle mani della criminalità per il proprio sostentamento.
Infine, ci sono anche degli effetti meno evidenti e non totalmente imputabili alla didattica a distanza, ma che ne sono comunque stati accentuati: le carenze più o meno gravi nell’apprendimento, le quali possono farsi sentire negli anni di istruzione immediatamente successivi o più lontani, nonché nelle scelte di vita future. A sostegno di questa affermazione sono i risultati delle prove Invalsi del 2021. Infatti, mentre nella scuola primaria ci si è bene o male mantenuti ai livelli pre-pandemici, nelle scuole medie «il 39% degli studenti non ha raggiunto il livello di accettabilità in italiano» (mentre nel 2018 e nel 2019 ci si trovava al 34%). Ancora peggiori sono i risultati in matematica «dove il 44% dei ragazzi usciti a giugno dalla terza media non ha raggiunto le competenze minime», rispetto al 39% del 2019 e il 40% del 2018. La vera e propria “Caporetto” la si rileva però a livello della quinta superiore, dove si ha «il 44% di studenti che non è arrivato al livello minimo in italiano (35% nel 2019) e addirittura il 51%, vale a dire uno su due, in matematica (42% nel 2019)». (Claudio Tucci, “Covid e Dad, allarme Invalsi: crollano le competenze degli studenti”, ilsole24ore.com, 14 luglio 2021). In tutto questo quadro sconfortante, l’inglese sembra tenere botta. Drammatico fanalino di coda nelle rilevazioni Invalsi, purtroppo, le Regioni del Sud e le Isole.
Per ovviare alle criticità, nel frattempo la società civile si è attivata per quello che ha potuto sia attraverso l’organizzazione di spazi adeguati alla frequenza delle lezioni e allo studio, che con campagne di raccolta fondi. A loro si è poi aggiunto con ritardo anche lo Stato, che ha stanziato dei fondi importanti attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È ancora troppo presto per vedere quali saranno gli effetti di tutte queste iniziative, ma mi domando se non sia ormai troppo tardi e non ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di “generazione perduta”.
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Articolo di Giovanni Trinco

Nasce a Padova nel 1997. Laureato in Scienze Politiche, attualmente è laureando in Comunicazione Digitale presso l’Università di Pavia. Appassionato di giornalismo e saggistica, riguardante la sociologia e la filosofia, spera che un giorno il progressive rock possa tornare di moda.