Riprendiamo l’esame del numero di maggio di Limes, per completare il quadro sulle diverse posizioni di chi identifica il conflitto in atto come la guerra di Putin e che quindi sostiene che, eliminato Putin, tutto si risolverà e chi lo identifica con la guerra della Russia. Esamineremo anche alcune proposte di soluzione negoziata della crisi, tenendo presente che questo numero è stato dato alle stampe circa un mese fa e che nel frattempo molto è cambiato, al punto che persino il New York Times titola: «Basta illudere Zelensky sulla disfatta dei russi. Trattare per il bene di civili e Ue». Infine faremo un cenno sul tema delle sanzioni internazionali e daremo uno sguardo a India e Cina.

L’editoriale di Caracciolo è come sempre ricchissimo di riferimenti storici e culturali, oltre che di analisi geopolitiche, cui si rinvia. Tuttavia per chi ha una formazione giuridica alcune considerazioni sul diritto internazionale del Direttore sono difficilmente condivisibili. Caracciolo legittima il superamento del diritto internazionale sulla base di alcune affermazioni, come queste: «Chi crede alla prevalenza del diritto e ai trattati internazionali che ne derivano osserverà che l’Ucraina non è nella Nato, quindi non gode dell’ombrello americano assicurato dall’articolo 5 del Trattato di Washington (1949), fondativo dell’Alleanza Atlantica. Nobile e commendevole postura, che si scontra con cinque dati di realtà (di cui riporteremo solo i primi tre n.d.r.).
Primo, il diritto evolve, perfino nella patria d’origine, altrimenti saremmo retti dalle Dodici Tavole e in tasca conteremmo sesterzi». Il diritto evolve ma le modifiche si approvano con le procedure del diritto, non manu militari. «Secondo, quell’articolo troppo citato non assicura un bel nulla ma, come qualsiasi norma, si presta all’interpretazione caso per caso, sulla base dei rapporti di forza». Anche su questo punto ci permettiamo di dissentire, forti della nostra Costituzione, che fino a prova contraria è fonte superprimaria del diritto. «Terzo, ben prima dell’aggressione russa Stati Uniti, Regno Unito e altri paesi Nato hanno armato, addestrato e finanziato le Forze armate ucraine allo scopo di scoraggiare o almeno contenere l’espansionismo di Mosca, sicché il 24 febbraio Kiev era di fatto più atlantica di molti atlantici (tra cui Roma)». Tutto vero dal punto di vista geopolitico, ma che effetto ha questo dal punto di vista giuridico? Nessuno, tanto è vero che l’Ucraina per entrare nella Nato, come Svezia e Finlandia, deve inoltrare domanda, seguire una procedura ma soprattutto possedere dei requisiti, tra cui l’assenza d conflitti al suo interno, cosa che da 8 anni non ha, perché, nell’interpretazione dei generali e di Fabio Mini in particolare, quella cui stiamo assistendo, nonostante la narrazione opposta veicolata uniformemente e acriticamente dai nostri media mainstream, che vede questa guerra come il delirio di un pazzo, ignorando tutto quello che c’è stato prima, è la fase due di una guerra civile già cominciata tra Ucraina e Russia nel Donbass.
Per capire quanta distanza ci sia tra la narrazione veicolata da Putin e il sentimento della Resistenza ucraina sarà bene premettere agli articoli di geopolitica la bella e commovente Lettera da Kiev, di Costantin Sigov, filosofo sotto assedio che ha insegnato alla Sorbona di Parigi, inviata a Limes.

La posizione degli Usa nei confronti di Putin è ben raccontata in Perché gli Stati Uniti demonizzano Putin, di Federico Petroni, con un’analisi approfondita degli interessi americani e dell’atteggiamento di demonizzazione dell’avversario, in netta contrapposizione alla posizione di Kissinger: «Demonizzare Putin non è una politica di cambio di regime, almeno non nell’immediato; è un alibi per non convivere con l’idea di una Russia imperiale, per rifiutare il revisionismo di Mosca. E per non avere alternativa al prolungamento della guerra d’Ucraina». Clinton viene comunemente e pruriginosamente ricordato per lo scandalo Levinsky, ma ha fatto molto peggio. Ha eliminato il Glass Steagall Act, aprendo le porte alla finanziarizzazione selvaggia dell’economia e ha modificato l’atteggiamento degli Usa verso la Russia per accaparrarsi i voti dei numerosi americani con origini nell’est europeo, iniziando l’allargamento ad Est della Nato.
Ce ne parla in modo dettagliato James W. Carden, Opinionista di Asia Times, già consulente sulla Russia per il dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che rivaluta l’atteggiamento di George Bush verso la Russia nell’articolo Bush padre aveva ragione. Giù le mani dall’Ucraina, informandoci che molta parte della classe dirigente d’epoca clintoniana governa ancora, con i risultati si vedono. In All’America serve disperatamente un nuovo Solarium gli autori ricordano l’esperimento di Dwight D. Eisenhower per sconfiggere il comunismo, di cui si è già parlato in una passata recensione per suggerire l’elaborazione di una grande strategia statunitense, che coinvolga e rafforzi Aukus (Australia, Usa e Gran Bretagna), Quad (Australia, Giappone, India e Usa) e Nato.
Tornando invece al caso Putin interessante dal punto di vista storico e come studio dei discorsi di Putin anche l’articolo Cosmogonia di Vladimir Putin di Giovanni Savino: «Nella visione del presidente russo il passato è elaborato senza soluzione di continuità, in una genealogia dello Stato e del potere che abbraccia personalità e momenti spesso contraddittori della storia, tradotta in un’unica e grande eredità da difendere e ampliare. In questa narrazione c’è spazio per il battesimo della Rus’ e il volo di Gagarin nello Spazio, per la vittoria sovietica del 1945 e per la battaglia del lago ghiacciato vinta da Aleksandr Nevskij contro i cavalieri teutonici, in un affastellarsi di figure storiche di governanti e condottieri dove le differenze vengono annullate. In modo da mettere insieme Ivan il Terribile e Alessandro III, Aleksandr Suvorov e Georgij Žukov, connettendo la Russia odierna con un passato idealizzato da grande potenza».
In Ucraina ha fallito la diplomazia è il titolo dell’intervista di Limes a Andrej Kortunov, direttore generale del Russian International Affairs Council (Riac), utile per avere un quadro equilibrato della visione russa della situazione e delle responsabilità occidentali nel non avere dato ascolto alle preoccupazioni sulla sicurezza della Russia e nel non avere costruito un nuovo sistema di sicurezza europeo. «Quando John Fitzgerald Kennedy, che nutriva forti e fondati dubbi sull’azione nella Baia dei Porci cubana, chiese al suo capo di Stato maggiore che probabilità di riuscita avesse il piano preparato dalla Cia, si sentì rispondere: «ragionevoli». Soltanto dopo il tragico insuccesso il militare, messo alle strette da un presidente rabbioso, confessò che le chance di successo non superavano il 13%».
Partendo da questa considerazione Giuseppe Cucchi, in Il disastro degli yes men al Cremlino, fa un’analisi dettagliata delle reticenze e omissioni di chi, «militari e civili, doveva consigliare Putin sulla fattibilità dell’invasione ma ne temeva le reazioni». Se riesplode la Cecenia di Mauro De Bonis ci racconta di Kadyrov, il leader ceceno impegnato nel teatro di guerra ucraino, che ha il filo diretto col Cremlino, insinuano che, se la guerra dovesse volgere al peggio per la Russia, qualche protesta nel territorio che vinse la prima fase della guerra contro la Russia potrebbe dare seguito a quella dello scorso dicembre messa in atto proprio dalle donne contro il rincaro degli affitti dei posti nel mercato di Berkat. Notizia a cui come al solito non si è data la eco dovuta.
Giuseppe Sacco in Perché Putin non crede più nell’Occidente ripercorre la parabola di Platov, dal suo insediamento al Cremlino ad oggi, approfondendo la fase dei sui rapporti di amore non completamente corrisposto con l’intellettuale dissidente Solzenicyn (che in pochi leggevamo durante la guerra fredda come un eroe) in cui veniamo ad apprendere che Putin nel 2006, «fece trasmettere sulla tv di Stato e per dieci serate successive un adattamento del romanzo Il primo cerchio, il cui primo episodio – dalla durata di sette ore e mezza, trasmesso senza interruzioni pubblicitarie – divenne il programma più visto sino ad allora» e la grande sintonia, preoccupante, con le affermazioni del patriarca Kirill. Estremamente suggestivo il parallelismo tra Putin e Gheddafi in relazione ai loro rapporti con il cosiddetto Occidente democratico, su cui c’è da meditare, per non dimenticare che c’è stato un periodo in cui Putin pensava di entrare nella Nato e di condividere con gli Usa la responsabilità di un ordine internazionale, nella fiducia di un fair play che l’Occidente ha in più occasioni mostrato di non avere.
Nell’intervista con l’esperto di storia e politica russa Neil Robinson, Il putinismo sopravvivrà a Putin, Orietta Moscatelli individua il discorso di Putin «Sull’unità storica di russi e ucraini» del luglio 2021 come lo spartiacque che segnala un cambiamento definitivo rispetto al passato. Quello che Putin ha sempre voluto è che la Russia fosse rispettata. «Il significato e le implicazioni di questo «rispetto» però sono cambiati nel tempo. Prima l’obiettivo era il partenariato, poi un posto al tavolo negoziale delle grandi potenze, più di recente l’accettazione della Russia come potenza con cui bisogna fare i conti anche sul piano militare».

E questo ha spiazzato l’Occidente. La parola ai militari e a un giudizio sullo svolgimento della guerra emergono dalla conversazione di questo numero di Limes: I perché di una strana guerra, cui seguono due interessanti appendici La guerra in Ucraina, il ruolo dei paramilitari, di Nicola Cristadoro e Il Caspio e il sistema dei cinque Mari, a cura di Mirko Mussetti, da cui emergono gli appetiti per le molteplici risorse di Russia, Kazakistan, Turkmenistan, Azerbaigian, Iran nel bacino endoreico (privo di emissari), incastonato in una depressione a 28 metri sotto il livello del mare, che costituisce la più grande massa d’acqua occlusa sulla Terra.
Tutto da leggere l’articolo di Fabrizio Maronta, Il nome del putinismo è l’antiamericanismo, che affronta il tema spinoso dei putinisti nostrani e delle loro ramificazioni europee, con un cenno al movimento no global e nessun riferimento, purtroppo, nonostante le moltissime prese di posizione nei diversi Stati del mondo dei movimenti femministi contro la guerra, i loro manifesti, le loro richieste alle organizzazioni internazionali, puntualmente ignorate dalle analisi geopolitiche, le loro dichiarazioni, alla loro esistenza.
Tra i tanti articoli, tutti degni di approfondimento, due si occupano delle sanzioni: La fine della valuta come arma geopolitica, di Andrea Filtri, Co-Head Research di Mediobanca e La guerra economica costa cara ma rende di Giuseppe Gagliano, Presidente del Centro studi strategici Carlo De Cristoforis. Quest’ultimo racconta la guerra economica Usa partendo da molto lontano e arrivando fino alle conseguenze dell’attuale guerra, con informazioni preziose a livello geoconomico. Il primo approfondimento, invece, su cui mi soffermerò, potrebbe essere un utile aggiornamento per i docenti di relazioni internazionali e geopolitica degli istituti tecnici, che, esaminando il sistema dei pagamenti internazionali Swift, solitamente trattato in modo tecnicistico e arido sui Manuali, avrebbero l’occasione di appassionare con i collegamenti alla situazione che stiamo vivendo i loro studenti. Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) è il sistema di messaggistica dei pagamenti globali basato in Belgio che collega oltre 11 mila banche di più di duecento paesi nel mondo. In un sistema del genere gli Usa vantavano, as usual, una posizione di forza geopolitica, ben descritta dall’autore e su queste basi Swift è stato incluso nel pacchetto di sanzioni contro la Russia, che il ministro francese Bruno Le Maire ha definito «l’arma finanziaria nucleare». Swift, che fu invenzione dirompente nel 1977, sta per essere superato dalle valute digitali, che sono di tre tipi: le criptovalute, valute digitali private di nuovo conio, di cui Bitcoin è l’apripista; b) le stablecoins, valute digitali private legate alle valute tradizionali più forti (normalmente, di nuovo, al dollaro americano); c) le valute digitali delle Banche centrali (Cbdc). «Tecnicamente il sistema Swift sta alle valute digitali come gli sms da 160 caratteri (rivoluzionari trent’anni fa) stanno a Whatsapp o forse meglio al pagamento effettuato via Apple Pay/Google Pay, eseguendo istantaneamente per noi una transazione con un solo sguardo». Con un excursus geopolitico interessantissimo l’autore ci dà un quadro di ciò che le maggiori potenze stanno mettendo in atto per svincolarsi da Swift e acquisire una posizione di indipendenza che, in epoca di conflitti plurimi, renda impermeabili le loro economie alle sanzioni finanziarie.
Con una Cina all’avanguardia nella creazione delle valute digitali pubbliche di nuova generazione ed un Occidente che dovrebbe attivarsi per non perdere l’utilizzo della valuta come strumento geopolitico. Secondo Filtri «una soluzione tecnica alternativa alla proliferazione di sistemi internazionali di pagamento potrebbe essere la creazione di un nuovo Swift delle Cbdc che sia neutrale, ovvero apolitico, o che adotti un modello di governance così ampio da non permettere ad alcun blocco geopolitico di sovrastarne un altro».

Due possibili soluzioni al conflitto sono prospettate in Lezioni coreane di Guglielmo Gallone, articolo utilissimo che mette in luce i rapporti commerciali tra Corea del Sud, Mosca e Pechino e che ci informa, tra i tanti dati riportati, che la Corea del Sud è un produttore fortissimo di semiconduttori, secondo solo a Taiwan, per non parlare della descrizione delle due Coree dal punto di vista degli armamenti in loro possesso; e Modello Malta per Kiev?con una proposta alternativa, che in parte si deve anche all’Italia, alle tante che si prospettano per la neutralità dell’Ucraina. Le più accreditate sono quella austriaca, quella svedese e quella finlandese, queste ultime ormai superate dagli ultimi eventi.
Allarghiamo lo sguardo con Tra Cina, Russia e Usa l’India sceglie se stessa, di Lorenzo Di Muro, che si chiude così: «In ragione della disparità di risorse con il rivale cinese, paradossalmente l’India sembra trarre spunto dalla tattica seguita da Pechino dall’èra di Deng Xiaoping sino al decennio scorso: concentrarsi sulla modernizzazione trainata dallo sviluppo tecnologico a uso duale. Nel frattempo tenterà di minimizzare le ricadute della guerra (sanzioni, esigenze belliche dei contendenti, crescita del prezzo delle materie prime) sulle sue forniture militari e sulla sua economia. Con in testa la sfida cinese e il proprio sviluppo, continuerà a tifare per la de-escalation in Ucraina e a profittare, in chiave securitaria ed economica, del corteggiamento di russi e occidentali». Senza ritenere incompatibili l’adesione a Quad e Sco (Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, che riunisce, oltre a India, Pakistan, Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Iran, Tagikistan). La Cina non lascia la Russia ma pensa ai suoi interessi analizza la posizione del vero nemico degli Usa a cui si sta offrendo un esempio di che cosa potrebbe succedere se volesse invadere Taiwan, possibilità su cui l’impero cinese sta apprendendo lezioni. Sullo stesso tema, ma con lo sguardo di Taiwan, l’articolo Sulla bilancia del mondo Taiwan pesa più dell’Ucraina.
In chiusura del suo editoriale il Direttore Caracciolo ammonisce ancora una volta sul pericolo dell’uso delle armi nucleari, ora che è venuta meno l’epoca della cosiddetta deterrenza. Tempo fa, a Otto e mezzo, Caracciolo aveva ricordato che «la Russia è come quel topo che Putin ha raccontato d’aver inseguito da ragazzo per le scale, nella Leningrado del dopoguerra. Una volta messo nell’angolo s’è voltato e gli è saltato in faccia. Senza una via d’uscita dalla guerra, dalle ombre del Cremlino potrebbe saltare fuori un “nuovo Putin”, ancor più pericoloso di quello che conosciamo» (Salvatore Cannavò. 22 maggio 2022, Il fatto quotidiano).
E intanto per l’Unione Europea e l’Italia esiste la prospettiva di inarrestabili flussi migratori causati dalla crisi alimentare globale dovuta alla guerra nel “granaio d’Europa” oltre alla quasi certezza che le armi che continuiamo a inviare in Ucraina, anziché finire ai civili, siano dirette a professionisti senza scrupoli, esenti da ogni controllo: brigate filonaziste, foreign fighter, mercenari, trafficanti d’armi, istruttori americani, britannici ed europei. In spirito paritario, sempre più estranea a questa logica tutta maschile di condurre la guerra, mi piace chiudere questo articolo con un documento importante sulla realtà che la nostra Costituzione all’articolo 11 «ripudia», https://www.womenews.net/2022/03/08/fermiamo-la-guerra-il-documento-dellassemblea-della-magnolia/, documento a cui sui media non è stato dato spazio, ma che esiste e il cui spirito è più condiviso dall’opinione pubblica italiana di quanto non si creda ( ma basterebbero a tale proposito i risultati dei sondaggi), non solo da quelle donne che da molti anni elaborano il pensiero femminile e che se ne sono fatte coraggiosamente portavoce. Nel mondo esiste anche questo soggetto politico e fa parte del “fattore umano” a pieno titolo.
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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.