Editoriale. Una poesia per la Pace

Carissime lettrici e carissimi lettori,

«Odi et amo» scriveva il poeta Gaio Valerio Catullo. Ma questo verso che ci ha fatto sognare ai tempi di scuola, non c’entra niente. Nulla a che vedere la frase del poeta di Verona, dove era nato nell’84 a. C., in una città fondata dalla sua famiglia, con il clima manicheo, pieno soprattutto di odio, che sta investendo il mondo intero. Più forte di una pandemia, più antico sicuramente dell’inizio di questa guerra di Ucraina. Un conflitto che ci coinvolge, nonostante i tanti aperti nel mondo. Forse perché in Europa?

Eppure i poeti sanno entrare nel cuore in tutte le situazioni, anche diverse dal terreno in cui sono nate. Ci suggeriscono immagini che noi elaboriamo a consolazione di ciò che ci capita o che vediamo accadere nel mondo. Allora riprendiamo i due versi densi di significato di colui che sapeva disperatamente sentire l’amore e i sentimenti umani universali: «Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio sed fieri sentio et excrucior». «Odio e amo – scrive il poeta analizzando il suo animo e sentendosi idealmente interrogato continua – perché lo faccia mi chiedi, forse. Non lo so, ma sento che succede e mi distruggo».

Un canto tormentato d’amore, è vero. Ma anche la divisione del mondo, che sia interna al proprio animo o esterna verso il mondo. Un dilemma sofferto che evidenzia la sua insopportabilità per l’enorme peso del dubbio e l’avanzare di uno stato di odio.  

Dall’odio. Da qui si parte.  Sicuramente è un sentimento umano, non sappiamo, ma ne dubitiamo, che possa appartenere, ragionevolmente, al mondo animale. Il vocabolario dice: «Sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui; o, più genericamente, sentimento di profonda ostilità e antipatia…». Offre anche un secondo significato che scrive di essere più attenuato: «senso di ripugnanza, di contrarietà, d’intolleranza per qualche cosa, per cui si cerca di evitarla, di sfuggirla». Allora l’ostilità senza ritorno si attenua in espressioni tipo: odiare l’estate, la pioggia, il colore blu o odiare la pasta e fagioli.

Sono odio e seguono il primo significato, le parole di Dmitrij Anatol’evič Medvedev, ex presidente (dal 2008 al 2012) della Federazione russa, oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza e, soprattutto, uomo di fiducia di V.V. Putin. Ad inizio settimana Medvedev con disinvoltura ha pronunciato anatemi contro, forse, il cosiddetto Occidente: «Spesso mi viene chiesto perché i miei post su Telegram sono così duri. La risposta è che li odio» – ha detto con sicurezza. E ha aggiunto senza mezzi termini: «Sono dei bastardi e dei degenerati. Vogliono la morte per noi, la Russia. E finché sarò vivo, farò di tutto per farli sparire». Chi sia il nemico o la nemica non è detto esplicitamente, ma il tono violento della frase sì, è palese.

Appartiene all’odio, verso le donne, il comportamento del governo turco. I sostenitori di Erdoğan vogliono far scomparire la WWSF, la We Will Stop Femicide, la più grande associazione turca in difesa dei diritti delle donne. Hanno dichiarato guerra, quella che è stata chiamata una guerra culturale, fino a giudicare che l’associazione è contro la morale pubblica perché, a loro avviso, le sue azioni minano la struttura familiare consolidata e sconvolgono il concetto di famiglia. Fra le accuse anche quella di usare la difesa dei diritti delle donne come cavallo di Troia per ridefinire i ruoli di genere. «Il WWSF è una spina nel fianco del governo turco –scrive il giornale tedesco Humanistischer Pressedienst, riportato in italiano da MicroMega – perché l’organizzazione, fondata dodici anni fa, non solo conduce un’ampia campagna in rete contro il femminicidio, pubblicando ogni mese sul suo sito web le relative cifre, ma anche perché organizza manifestazioni di massa contro la violenza domestica e il crescente numero di femminicidi. Con le sue azioni il WWSF è riuscito a mobilitare un gruppo sociale sempre più numeroso che si ritrova per protestare contro l’attuale politica turca su questi temi, percepita come troppo passiva. Nel frattempo anche altre questioni legate ai diritti delle donne sono diventate parte integrante della piattaforma di rivendicazione del WWSF: il diritto al lavoro, l’accesso all’istruzione, la possibilità di divorziare o di sciogliere una relazione, nonché il diritto all’autodeterminazione sulla propria vita. L’organizzazione ritiene che le strutture patriarcali siano in gran parte responsabili della morte evitabile di molte donne, e non solo. L’urgente necessità di agire – scrive ancora – è dimostrata dalle nude cifre: solo negli ultimi due anni in Turchia più di 400 donne sono state uccise da uomini. Ma, invece di affrontare l’immenso problema della violenza contro le donne, esponenti del governo e procuratori fedeli a Erdoğan hanno deciso di agire contro le attiviste per i diritti delle donne. Il WWSF accusa infatti il partito al governo di perseguire una politica che facilita anche azioni mirate e arbitrarie contro le attiviste anziché contrastare le cause del femminicidio, attaccare coloro che cercano strategie per renderle visibili e per prevenirle. Tutto questo rende naturalmente il lavoro delle organizzazioni per i diritti delle donne, così importante per tante persone, molto più complicato. Ma le attiviste non si arrendono e continuano a lottare senza sosta per i loro diritti». Da non dimenticare, poi, che sempre in Turchia l’anno scorso è stata ritirata la Convenzione di Istanbul, che segna un passo avanti sui diritti al femminile. La scusa accampata dal governo di Ankara è che la Convenzione avrebbe normalizzato l’omosessualità (!), ma la vera ragione, secondo la rivista sopra citata, è la non volontà «di perseguire la violenza domestica, lo stupro, le mutilazioni genitali femminili».

Prodotto dell’odio è anche quello che è successo su un treno che portava a casa sei ragazze di ritorno dal parco di Gardaland. «Le donne bianche qui non possono salire», è stata una delle frasi gridate alle ragazze dal gruppo di persone nordafricane che le hanno molestate, toccandole dappertutto, deridendole, come hanno testimoniato le ragazze oggetti della violenza di un branco.

La filosofa Michela Marzano è intervenuta nel dibattito, subito acceso sul brutto avvenimento, che rimanda all’identica situazione della notte di fine anno a piazza Duomo a Milano. Marzano ci mette in guardia da un duplice pericolo, quello che ragazze, omosessuali, transessuali debbano ancora regolare i loro comportamenti con la paura dell’aggressione e l’altro pericolo, altrettanto grave, di prendere a pretesto il colore della pelle degli aggressori o la religione, per fomentare un odio razzista, invece di condannare fermamente l’atto di aggressione maschilista. Proprio come era successo dopo i fatti di Milano, le molestie accadute durante la notte di fine anno.

Marzano scrive rispetto ai fatti accaduti sul treno partito da Gardaland: «Un fatto molto grave. Che illustra bene quel senso di impunità che alimenta la logica assurda e violenta del branco, quella logica che si scatena quando un gruppo di individui – spesso giovani, quasi sempre maschi – si ritrovano insieme e, dopo aver designato una o più vittime – spesso femmine – si accaniscono brutalmente contro di loro. Con l’aggravante che, in questo caso, si è trattato di un branco di ragazzi neri convinti di poter trattare un gruppo di adolescenti (le ragazze erano tutte intorno ai 17 anni, ndr) come oggetti, non solo perché femmine, ma anche perché bianche. Una logica di violenza alimentata senz’altro dall’atavica cultura dello stupro. Sebbene oggi – spiega ancora Marzano – siano spesso i più giovani a insegnare ai più grandi che le molestie legate al sesso, al genere e all’orientamento sessuale sono un retaggio del passato. A meno che non crescano all’interno di ambienti gretti, misogini e omofobi, non leggano gli stessi libri che leggono i propri contemporanei, non vedono le stesse serie e non ascoltino la stessa musica. Oppure vengano da paesi in cui il radicalizzarsi dell’Islam giustifica l’umiliazione e la cancellazione delle donne. La violenza è sempre inaccettabile – sottolinea -, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dal sesso o dall’orientamento sessuale dei carnefici e delle vittime. Esattamente com’è inaccettabile che tante ragazze e tante persone omosessuali e trans debbano ancora oggi crescere sapendo che dovranno fare attenzione a come si vestono, a quanto bevono, a dove vanno e alle persone che frequentano, per evitare di subire stupri o molestie. Quand’è che anche le donne e le persone omosessuali e trans saranno libere di non dover sempre cercare di tenere tutto sotto controllo? Ma è anche inaccettabile che i seminatori di odio, e tutte e tutti coloro che hanno contribuito ad affossare la legge contro l’omotransfobia e la misoginia, vengano adesso a fare la morale…perché non si sarebbe data una sufficientemente rilevanza al fatto che i molestatori erano ragazzi neri. Il tutto, ovviamente, con toni estremamente violenti. Senza capire che, in questo modo, alimentano l’odio e la violenza, e non contribuiscono affatto a smantellare la cultura dello stupro. Anzi. Ne diventano, in fondo, i principali promotori».

Si tratta ancora di odio e non certo di amore malato, di raptus improvviso causato da un tradimento (giustificazione davvero maschilista!) quello che continua a muovere la mente e la mano di questi uomini che violentano e, soprattutto, uccidono le loro donne. Ultimo, almeno mentre scrivo, il duplice omicidio di Vicenza dove un uomo ha ucciso la sua ex moglie, ma poi ha trascinato con lui nella morte anche l’attuale compagna, ingigantendo una scena d’orrore.  

Ancora è odio l’inneggiare degli ultrà ungheresi (che avevano perso la partita di calcio contro l’Italia) a Benito Mussolini e al loro sovranista capo di Stato Viktor Orbàn (che era allo stadio). Hanno sfilato in massa per le strade di Cesena indossando la maglia nera (ci dispiace se ne meravigli tanto la nostra Giorgia Meloni!) simbolo dell’estrema destra.

Sicuramente è una forma di odio, che vorremmo sperare fosse verso il proprio comportamento, quello di acquistare (a prezzi praticamente stracciati) foto e video spiati a casa, in spogliatoi, persino negli studi medici a vittime (certamente tantissime donne) ignare di tutto.É successo a  Milano. Ad agire due bande criminali appena scoperte dalla polizia. Offrivano una sorta di …menù à la carte: «Appartamenti, spiagge nudisti, hotel, palestre, piscine, nightclub, bagni, ovunque ci fosse una telecamera interna collegata a Internet e di modesta sofisticazione tecnologica». Più che una Finestra sul cortile alla Hitchcock, un Grande Fratello fatto in casa, come giustamente è stato scritto.

Troppo odio esiste in questa estate bollente su cui aleggiano i dubbi di un autunno forse di nuovo assalito dal Virus coronato, da una guerra praticamente tra fratelli che non è certo l’unica combattuta del pianeta. Forse solo la più vicina a noi.

Abbiamo bisogno, abbiamo sete d’amore. Quello vero, anche con i suoi mille colori sessuali. Abbiamo bisogno di pace, che vuole dire serenità, possibilità di riflessione e, perché no, amore per il prossimo nostro, chiunque sia, comunque la pensi, chiunque ami a sua volta.

Abbiamo bisogno per questo di Poesia che, come tutta l’arte, consola, come amava dire, magistralmente, Piera Degli Esposti riguardo al suo Teatro.

Quando il poeta Paul Éluard scrive la poesia sulla pace che leggerete qui di seguito Picasso la disegna (potete vedere il disegno nel link posto sul titolo della poesia). Poesia e disegno furono pubblicati nel 1951 all’interno della raccolta Pour la paix, le visage de la paix et autres poémes de Paul Éluard en dialogue avec des oeuvres de Pablo Picasso

Paul Éluard, Il volto della pace

Conosco tutti i luoghi dove abita la colomba
e il più naturale è la testa dell’uomo.
L’amore della giustizia e della libertà
ha prodotto un frutto meraviglioso.
Un frutto che non marcisce
perché ha il sapore della felicità.
Che la terra produca, che la terra fiorisca
che la carne e il sangue viventi
non siano mai sacrificati.
Che il volto umano conosca
l’utilità della bellezza
sotto l’ala della riflessione.
Pane per tutti, per tutti delle rose.
L’abbiamo giurato tutti.
Marciamo a passi da giganti.
E la strada non è poi tanto lunga.
Fuggiremo il riposo, fuggiremo il sonno,
coglieremo alla svelta l’alba e la primavera
e prepareremo i giorni e le stagioni
a seconda dei nostri sogni.
La bianca illuminazione
di credere tutto il bene possibile.
L’uomo in preda alla pace s’incorona di speranza.
L’uomo in preda alla pace ha sempre un sorriso
dopo tutte le battaglie, per chi glielo chiede.
Fertile fuoco dei grani delle mani e delle parole
un fuoco di gioia s’accende e ogni cuore si riscalda.

(1951)

Buona lettura a tutte e a tutti

Ecco gli articoli di questo numero. Cominciamo con L’incubo della prova costume, in cui l’autrice analizza i modi attraverso i quali la società e il pensiero maschile esercitano da sempre, ma nel nostro tempo in maniera massiccia, un potere dalle conseguenze pericolosissime sul corpo delle donne. E la forma estrema del potere maschile è nella violenza che sfocia nei femminicidi, di cui la scorsa settimana abbiamo avuto esempi strazianti. Se ne parla ne La Forza delle donne, il nome di un’associazione di Bari che ha l’obiettivo di tutelare a 360 gradi le donne vittime di violenza. La donna di Calendaria di questo numero è Zlata Bartl, chimica, fisica, matematica e mineralogista, creatrice del marchio Vegeta.
Per la Serie Viaggiatrici del Grande Nord incontriamo una donna originale nel panorama femminile del suo tempo, nell’articolo Giulia Salvini Kapp e la moda delle crociere, mentre per Fantascienza, un genere (femminile). Verso l’infinito… e ritorno si tirano le fila delle science fiction e dei suoi diversi modi di narrare, dai più lontani nel tempo a quelli dei nostri giorni, in cui la dimensione del Noi e della cura del pianeta sono una caratteristica non solo femminile. Per la sezione Tesi vaganti potremo leggere di una ricerca interessante e chiarificatrice su un tema che nel nostro Paese, purtroppo, è ancora molto spinoso: Tra maschile e femminile. Storia del terzo genere in Europa. Per gli itinerari culturali toponomastici, in Pisa. Quattro donne colte e forti da ricordare approfondiremo le biografie di quattro donne di religione ebraica a cui sono intitolate le poche vie femminili, donne che «meritano di essere ricordate e stimate sia per i traguardi professionali che sono riuscite a raggiungere e per la loro azione a favore dell’emancipazione femminile sia per il loro contributo e la loro opposizione alla discriminazione razziale, che subirono sulla propria pelle». Si può parlare di guerra anche senza farne la cronaca quotidiana e in questo numero lo facciamo con l’articolo Una lingua, una patria, un popolo. Riflessioni su russo e ucraino.

Domani ricorderemo Il primo centenario della nascita di Margherita Hack, emerita astrofisica e accademica, una mente geniale, « il cui nome è connesso per la sua grandezza alla scienza astrofisica mondiale», che incitava le donne ad essere combattive e non timide. I consigli di lettura della nostra rivista riguardano i libri Tra rivoluzione e restaurazione. Le Memorie del Monastero delle Vergini di Verona, «la storia di un gruppo di donne indipendenti che si muovono nello scenario di importanti rivolgimenti politici e religiosi in una società organizzata e gestita prevalentemente da uomini, laici o ecclesiastici», Senza salutare nessuno, «un romanzo familiare, un resoconto di viaggio, una ricerca storica precisa e approfondita».

Due interessanti conversazioni riguardano una il tema delle arti visive, con l’intervista La realtà ri-creata. Franchina Tresoldi. Città in Arte; l’altra itinerari culturali con il Salento. Donne sul filo di un racconto.

Come sempre, alla fine del nostro percorso “vitaminico”, vi invitiamo a leggere e a provare la ricetta saporita e gustosa di questa settimana, con la quale auguriamo a tutte e tutti buon appetito: Filetto di maiale all’arancia.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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