Il Palazzo Ducale di Genova ospita, fino al 16 ottobre, la mostra Donne, Messico e Libertà, dedicata a Tina Modotti (1896-1942). L’esposizione presenta, in ordine cronologico, l’opera della donna nel suo decennio di attività fotografica (1920-1930).
Proveniente da una famiglia povera e socialista originaria di Udine, Tina Modotti emigra in America con il padre ed è qui che trova lavoro come attrice recitando nel film The Tiger’s Coat (1920). Nella prima sala della mostra, la più piccola, si trovano immagini prese dal film, in cui Tina compare insieme al suo compagno Robo, morto poco dopo colpito dal vaiolo.

Con la seconda sala della mostra si entra nel vivo della Tina fotografa. Suo compagno e mentore è Edward Weston. La coppia abita a Città del Messico, vivissimo polo culturale e politico, dove stringe amicizia con le principali figure artistiche come Diego Rivera, Frida Kahlo, David Alvaro Siqueiros e Xavier Guerrero. Il ritratto di Edward Weston realizzato da Tina nel 1924 è, oltre a un omaggio all’amato maestro, anche un inno al suo strumento, la Graflex.

Le altre immagini presenti nella sala sono invece ritratti di Tina a opera di Weston, fra i quali i famosi nudi realizzati nel 1924 nella terrazza della loro casa. Non sono immagini costruite, posate: Tina prendeva il sole sull’azotea mentre Edward fotografava nuvole, lui ha abbassato lo sguardo su di lei e gli scatti sono venuti spontanei. La bellezza di questa donna non lascia indifferente nessuno: il suo modo di essere guardata influisce sicuramente sul modo in cui lei stessa guarderà il mondo. «Siamo, stati tutti innamorati di lei», dice chi l’ha conosciuta. Weston ritrae il corpo di Tina con la stessa grazia geometrica con cui è solito fotografare nuvole, paesaggi e conchiglie; il sinuoso inarcarsi della sua schiena ricorda quello a cui il vento costringe i fiori e le piante da lei fotografate. L’astrazione non è di certo casuale, negli anni segnati dall’estetica surrealista e dal Bauhaus. Un’altra immagine di Weston, scattata nel 1922, mostra Tina accanto alla madre per l’ultima volta: la dittatura in vigore in Italia impedirà poi alla donna, nota alla polizia fascista, di far ritorno a Udine.

Diversamente da Weston, che incarna la perfezione tecnica e compositiva, Tina cerca le piccole imperfezioni, i dettagli che rompono lo schema. La terza sala della mostra espone foto che sono a metà tra geometria astratta e natura morta, i cui protagonisti sono archi, scale, fili elettrici, nuvole. L’influenza di Weston è palese.
La sala successiva rappresenta la società messicana. Dal 1926 la fotografia di Tina si fa più politica. L’eco di Weston rimane solo nella geometria, ma la grazia lascia spazio alla durezza. Dai suoi scatti, si vede che Tina da giovanissima ha conosciuto la fame. I toni sono duri, la luce forte del Messico contrasta con l’ombra nera della povertà. I volti sono quasi sempre in ombra, spesso non visibili. I soggetti sono inconfondibili: campesinos. Tina è entrata nel Partito comunista del Messico. Si chiede se sarà una buona militante, se sarà in grado di tenere fede al Partito e alla sua disciplina, si interroga su quale sia il ruolo dell’arte all’interno della Rivoluzione. La fotografia di Tina Modotti dal 1926 in poi è la fusione fra arte e Rivoluzione, tra geometria e comunismo, tra astrazione e materialismo, tra perfezione della forma e forza del contenuto. Ritrae una donna messicana con una bandiera rossa, un’immagine che è quasi un inno del Partito.

La sala seguente rimane sul tema della fotografa comunista. Qui è esposta la famosa immagine di una donna con in braccio un bambino nudo, la cui povertà è evidente.
Famose sono anche le immagini simboliche di un Messico povero e contadino, lavoratore e comunista: il tipico sombrero è accostato alla falce e al martello, insieme alla chitarra e alla pannocchia di mais compare una cartucciera piena di proiettili. Il Paese è simboleggiato dalla musica, dal duro lavoro agricolo e dalla memoria di Emiliano Zapata.
In un’altra immagine alcuni campesinos leggono El Machete, l’organo ufficiale del Partito comunista messicano. Tina, che da bambina non ha potuto studiare, mostra con quella foto l’importanza dell’alfabetizzazione della Rivoluzione comunista. Durante la parata del primo maggio del 1926, i campesinos sono fotografati dall’alto coperti dai sombreros, che fanno un gioco di cerchi in movimento per il fotogramma. È un’immagine scattata con un tempo relativamente lento, benché in un momento di calca e di movimenti rapidi. Tina predilige le macchine di grande formato e la lentezza dello scatto e del pensiero; la sua fotografia, anche quando si fa strumento politico, non è un’attività documentaria e tende a puntare all’astrazione.


Le mani dei campesinos sono uno dei soggetti prediletti da Tina. Mani scure, dure e callose. Conformemente all’ideologia comunista, la fatica è un messaggio politico. «Mi considero una fotografa, niente di più; se le mie fotografia si differenziano da ciò che generalmente viene prodotto è proprio perché io cerco di produrre non arte ma fotografie oneste, senza trucco né manipolazioni», dice Tina di sé.
La sesta sala è dedicata a un altro amore della donna, il cubano Julio Antonio Mella. Tina fotografa la macchina da scrivere del compagno, omaggio alla tecnologia: nel carrello della macchina è infilato un discorso di Lev Trockij. Esiliato dal tiranno dell’isola Machado, Mella è in Messico in cerca di sostegno per realizzare una rivoluzione comunista a Cuba. Ma Stalin è stato categorico: «nessuna rivoluzione in Occidente». Il Messico è una terra che accoglie chiunque, ed è lì che è rifugiato Trockij. Mella viene assassinato a Città del Messico una notte del 1929, mentre cammina accanto a Tina, da parte di dei sicari del Comintern. Tina lo fotografa nell’obitorio dell’ospedale, uno scatto pieno d’amore che lo rende ancora bello.

Volto di Julio Antonio Mella da morto, ospedale di Città del Messico 1929
L’omicidio di Mella segna l’inizio del tracollo psicologico di Tina. Il ritratto di Mella da vivo, sempre opera di Tina, diventerà dopo la rivoluzione cubana (che sarà possibile solo nel 1959, dopo la morte di Stalin) un francobollo ufficiale dell’isola. È un’immagine che fonde passione e idealismo, i muscoli da atleta e lo sguardo perso lontano. Le autorità messicane, più che sui responsabili dell’omicidio, indagheranno sulla moralità della vittima e soprattutto su quella della sua compagna: le foto di Edward Weston, il vecchio maestro e amore di Tina di molti anni prima, nelle quali lei compariva nuda, verranno usate per una campagna mediatica denigratoria.

Nella settima sala della mostra è esposto l’ultimo lavoro fotografico di Tina. Si tratta di un progetto realizzato a Tehuantepec, dove vive l’etnia matriarcale zapoteca. Le figure femminili sono le protagoniste di quest’ultima sala. È celebre l’immagine della donna indigena su sfondo scuro che porta in capo una zucca dipinta.
Le ultime fotografie sono state scattate in Germania. Siamo nel 1930. Tina è in Europa come agente del Comintern. Il suo nuovo compagno è Vittorio Vidali, uno dei vertici dell’Internazionale comunista (probabilmente coinvolto nell’omicidio di Juan Antonio Mella). È lui il soggetto di una delle pochissime foto del periodo europeo.
A Berlino ritrae bambini “giovani esploratori” comunisti: non hanno più l’ombra della povertà né i contrasti della luce messicana. Nella turbolenta Repubblica di Weimar, la Graflex è troppo vistosa e ingombrante. Tina è abituata ai tempi lenti e non vuole lavorare nella fretta, non le piacciono gli scatti silenziosi e rapidi, poco pensati, della piccola Leica. Intanto la situazione europea è sempre più incandescente. Le tornano i dubbi sulla frivolezza dell’arte davanti alla Rivoluzione.

Come Nadar durante la Comune di Parigi, Tina abbandona la fotografia per dedicarsi interamente all’Internazionale. È in Spagna con il Soccorso Rosso durante la guerra del 1936-1939 (Vidali è a capo delle Brigate Internazionali), persa la quale tornerà in Messico, dove nel 1940 verrà assassinato Trockij. L’anno seguente, esausta, lascia Vidali e non rinnova la tessera del Partito. La notte del 6 gennaio 1942, dopo una cena con Vidali e altri esponenti dell’Internazionale, la coglie un attacco cardiaco. A chiudere la mostra è la poesia di Pablo Neruda intitolata Tina Modotti è morta (Tina Modotti ha muerto).
In copertina: Tina Modotti, Donna con bandiera, Messico 1929 (particolare).
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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.