
Leggere i romanzi di Francesco Abate, ex disc-jockey, giornalista, scrittore cagliaritano dalla penna assai brillante, è sempre un piacere, ma questa volta si è inserito nell’ampio filone del genere giallo con storie, personaggi, ambientazioni originali che non mancheranno di sorprendere. I delitti della salina (Einaudi stile libero, 2020) ― premio Letteratura di viaggio e finalista al premio Scerbanenco 2020 ― presenta una serie di elementi coinvolgenti e appassionanti, per cui le pagine scorrono veloci e non si vede l’ora di procedere nella vicenda, grazie anche allo stile fluido, ai dialoghi spigliati, al lessico in cui si inseriscono di tanto in tanto opportuni vocaboli sardi.
Iniziamo con il primo motivo di interesse, che non sfugge al nostro sguardo attento di lettrici: la protagonista, certamente una assoluta novità nel pur vasto panorama di investigatrici italiane; Clara Maylin Simon, intenzionata a diventare la prima giornalista investigativa, lavora, con non pochi ostacoli, al quotidiano L’Unione. Perché incontri difficoltà di ogni genere è presto detto: siamo nel 1905, a Cagliari, e il ruolo di una ragazza di ottima famiglia al momento non contempla una carriera professionale. Clara vive con il nonno, uomo di grande esperienza e in vista nella società locale, ma anche persona aperta e accomodante con quella giovane ribelle, contraria alle convenzioni. La sorte non le è stata propizia: ha perso la madre al momento del parto, il padre, un capitano di marina distintosi in guerra, è disperso da anni nel lontano Oriente. Altro dato inedito è il fatto che la ragazza è figlia di due mondi, di due livelli sociali, di due etnie: la madre era infatti parte della comunità cinese e le ha lasciato in eredità una grande bellezza, due occhi a mandorla e la lunga treccia di capelli neri. Clara è stata punita in redazione per la sua intraprendenza e il suo amore per la verità, retrocessa a correttrice di bozze, anche se è spesso lei l’artefice degli articoli firmati dall’amico e collega Ugo.
A questo punto, trattandosi di una trama gialla, come si comprende fino dal titolo, veniamo al caso su cui Clara, Ugo e il tenente dei carabinieri Saporito si trovano a indagare, visto il disinteresse delle autorità: stanno scomparendo dei bambini, dei poveri disgraziati che lavorano al mercato, dei derelitti coperti di stracci di cui nessuno si occupa. Sono i piciocus de crobi, che pure talvolta ricompaiono come cadaveri, in apparenza affogati. A Clara una signora gentile, altra figura originale (una architetta fiorentina progettista della propria villa), parla addirittura di una ventina di scomparsi, nell’arco di poco più di due anni. Impossibile non venire coinvolta in questa vicenda di dolore, ingiustizia sociale, sopraffazione.
Va dato merito all’autore di aver creato un vero e proprio quadro storico accurato nei dettagli: Cagliari com’era e come si sta trasformando, i vari quartieri, gli edifici principali, il lussureggiante orto botanico, i diversi ambienti sociali, dalle fumerie d’oppio agli eleganti circoli svizzeri, dai caffè per signori ai luoghi di lavoro, dal porto alle botteghe. Due spiccano su tutti: la salina, dove sono impegnati allo stremo sia operai civili sia galeotti, con grande vantaggio economico per il ricchissimo proprietario, e la manifattura tabacchi dove per tredici ore al giorno, domenica compresa, sono sfruttate donne di ogni età, fra le quali ha un ruolo di primo piano la sgraziata e generosa Maria Boi, detta Sarrana (la rana, in lingua locale). Protetta dalle lavoratrici, pure lei impegnata a procurarsi da vivere, compare anche una bambina, una orfanella detta Martinica, dalla pelle stranamente scura e con i capelli color paglia. Dal momento che in varie occasioni al centro della storia troviamo l’ospedale, va citata un’altra figura femminile: la competente dottoressa Paola Molinas, unica donna, oltre alle suore, nel nosocomio cagliaritano grazie alla lungimiranza del primario, professor Rombi. Ma sui due “scienziati” ci attende una sorpresa da non rivelare: «Senza fiato, Clara si domandò se ciò che aveva di fronte non fosse il frutto di una allucinazione». Questo quadro efficace viene arricchito da dettagliate descrizioni della costa, dei paesaggi, dei percorsi urbani, a cominciare dal bellissimo incipit: «Le piramidi di salgemma si accesero di rosa. Anche quella mattina di fine agosto concesse ai quarzi di riflettere la luce del sole appena sorto sulle vasche dell’immensa salina, che si infiammò di rosso e ocra. Fatta eccezione per qualche cavaliere d’Italia che si aggirava tra gli acquitrini, tutto era immobile, quieto».
Non mancano poi precisi riferimenti al periodo: rivendicazioni salariali, ideali socialisti, tentativi di sciopero fomentati da gruppetti anarchici, ribellioni schiacciate con la forza, ma anche citazioni di personaggi come Nellie Bly a cui Clara ambisce assomigliare professionalmente, o Cio-Cio-San, la protagonista della recente opera pucciniana Madama Butterfly di cui si parla in città. Abbigliamento, mezzi di trasporto, usanze non possono che appartenere a quell’inizio di XX secolo: ecco i carabinieri a cavallo, i vari tipi di carrozze e calessini, l’onnipresente fumo dei sigari accesi da zolfanelli («La prima boccata fu una mano santa».), la paglietta e i cappelli, l’ombrellino, il bastone da passeggio, i mutandoni, gli stivaletti alla caviglia ornati da minuscoli bottoni, i capelli raccolti per le donne, i baffi di ogni foggia per gli uomini. Fare i bagni in mare è ancora una audace novità, che ovviamente non spaventa la protagonista: Clara ama tuffarsi davanti alla villa che i Simon, famiglia estrosa, hanno fatto edificare al Poetto, allora una sterminata striscia di sabbia deserta, ritenuta periferica e non alla moda. Oggi una delle spiagge più lunghe e belle che una città italiana possieda. La nostra giornalista non disdegna, creando scalpore, indossare talvolta comodi pantaloni, conduce a rotta di collo il Milordino (piccolo veicolo a quattro ruote) e tenta pure la guida di una delle primissime automobili, ma senza separarsi mai dai graziosi guanti bianchi traforati. Insomma, è figlia del suo tempo, un tempo in cui le ingiustizie e le storture non sempre vengono a galla, o, più spesso, vengono messe a tacere. Come accade nel romanzo: la scoperta di vergognosi illeciti porta a trasferimenti e alla metaforica caduta di qualche testa, altro non verrà reso noto per non fomentare ribellioni nella popolazione, già messa a dura prova con i recenti tragici fatti di Buggerru, costati la vita a quattro scioperanti. I ragazzini scomparsi rimangono nel ricordo e nel cuore delle sigaraie, delle prostitute, di persone tenaci come Clara e di poche altre, le loro morti sono “un danno collaterale”, per dirla come è oggi di moda. Sappiamo già che le vicende di questa giovane, alla fine reintegrata nelle sue mansioni, non termineranno qui: avrà ancora casi da affrontare e soprattutto da risolvere la questione che più le preme: la sorte del padre disperso, per cui si affida a un curioso personaggio, detto Chicchirichì, a conoscenza di molti fatti oscuri. «Lo afferrò per un braccio, incerta se quello che aveva di fronte fosse un pazzo o un alleato. ― Forza, salti su, venga con me, ― disse indicandogli l’automobile. ― È ora che mi spieghi tutto».

Francesco Abate
Il Complotto dei Calafati
Einaudi, Milano, 2022
pp. 272

Francesco Abate
I Delitti della Salina
Einaudi, Milano, 2020
pp. 296
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.