Il nostro terzo itinerario alla scoperta del Salento, patrocinato da Pugliapromozione, attraverso gli occhi delle grandi donne che l’hanno attraversato, riprende le fila direttamente dallo scorso appuntamento con l’intervista a Maria Cristina Rizzo, presidente della Fondazione Le Costantine.
Infatti, a circa un’ora da Leuca, risalendo il tacco verso Otranto, ci aspetta la splendida tenuta di Casamassella, sede della Fondazione, dove abbiamo potuto conoscere meglio le tante anime che rendono questo posto un’isola felice, in cui tutto sembra sospeso nel tempo.
Che sia un ambiente carico di storia lo si percepisce in ogni suo angolo, così come si sente la necessità di scovare in profondità di questo passato così ingombrante per riavvolgere il filo e comprendere come è nato e si è evoluto tutto questo.
In questo senso, è stata illuminante la nostra visita leccese alla mostra Le anime del tessile, curata e allestita da Elena Laurenzi e Brizia Minerva presso le sale del Convitto Palmieri di Lecce. Accompagnate direttamente dalla studiosa Laurenzi, autrice anche del libro Fili della trasmissione. Il progetto delle donne De Viti de Marco – Starace nel Salento del Novecento (Edizioni Grifo, 2018), ci siamo immerse nel progetto rivoluzionario che attraversa il territorio dal 1901.
Scopriamo che furono Harriet Lathrop Dunham (1864-1939), moglie americana di Antonio De Viti de Marco, e la cognata, Carolina De Viti de Marco (1863-1965), a fondare la Scuola di Casamassella, che con le sue circa 500 allieve e lavoranti mirava allo sviluppo in senso industriale della produzione di tessuti e merletti. L’idea nasce da due menti estremamente moderne per l’epoca, che si pongono l’obiettivo di far uscire il lavoro della tessitura dalle mura domestiche per professionalizzarlo e favorire così l’emancipazione femminile in Salento e la ripresa economica del territorio: la vocazione sociopolitica dell’impresa è indubbiamente alimentata da Harriet (nota come Etta), unico personaggio pubblico di tutta la genealogia della Scuola di Casamassella, in quanto giornalista e attivista femminista, nonché firmataria della proposta di diritto al voto presentata da Anna Maria Mozzoni nel 1906 e figura di spicco del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane.
Carolina cresce invece nel Salento ed è un’appassionata di botanica, che dimostra da subito una grande capacità amministrativa nell’occuparsi dell’azienda agricola di famiglia, spesso facendo le veci del fratello Antonio.


Nei decenni successivi la storia della Scuola di Casamassella s’intreccia alla vita di altre tre donne straordinarie, ovvero le figlie delle due fondatrici: Lucia De Viti de Marco (1900-1989) – dal lato di Etta – Lucia (1891-1983) e Giulia Starace (1895-1984) – da quello di Carolina.
Le tre cugine ereditano la visione delle loro madri, focalizzandosi su missioni differenti ma sempre legate all’anima filantropica della scuola di merletto.
Lucia Starace viene infatti inviata in missione in Africa meridionale al seguito dell’attivista pacifista e femminista inglese Emily Hobhouse: grande oppositrice delle guerre anglo-boere, Hobhouse era tornata in Europa dopo il suo lungo soggiorno in Sudafrica per cercare qualcuno disposto ad aiutarla a rilanciare l’economia boera e le condizioni della popolazione delle campagne ancora piagate dagli effetti della guerra. In particolar modo, aveva fondato The Boer Home Industries and Aid Society per finanziare scuole e laboratori di lavori di tessitura artigianale in Sudafrica, ispirandosi alle Industrie Femminili Italiane. Trova immediatamente l’appoggio della Scuola di Casamassella, che decide di mandare per l’appunto Lucia Starace. Tornata nel 1911 in Italia, seguirà l’amministrazione di Casamassella fino alla morte, dando vita a un suo personale laboratorio di tessitura in cui sperimenta nuovi disegni e tecniche di tintura, filatura e tessitura.


Foto di Emma de Pasquale
Se Lucia Starace Giulia Starace e Lucia De Viti de Marco avranno invece più a cuore la missione pedagogica che animava le madri Carolina ed Etta.
La prima, segue infatti le orme della zia nel sostenere fortemente le teorie di Maria Montessori, aprendo le porte della tenuta Le Costantine ai bambini e alle bambine del territorio, sognando di aprire un Centro educativo proprio nell’azienda di famiglia. Si occupa inoltre di assistenza medica, praticando in prima persona medicina infermieristica di base per poi aiutare i/le suoi/e pazienti ad ottenere le cure necessarie. L’esperienza di assistenza agli infermi si collega direttamente al percorso intrapreso dalla cugina Lucia De Viti de Marco, con cui avrà per tutta la vita un rapporto straordinario: quest’ultima infatti, grande estimatrice e conoscitrice della filosofia steineriana, apre una comunità pedagogica riabilitativa a Fregene, dove accoglie molti/e bambini/e che le manda proprio la cugina Giulia da Casamassella. Questo esperimento sarà appoggiato da figure di fama internazionale come il pediatra antroposofista Karl König, fondatore della celebre comunità di Camphill, cui s’ispira direttamente Lucia.


Nel 1982, poco prima di morire, Giulia Starace e Lucia De Viti de Marco gettano un amo verso il futuro e depositano l’atto costitutivo della Fondazione Le Costantine, con la speranza che Casamassella diventi un centro di miglioramento sociale e culturale dei «nativi del luogo», attraverso un modello di agricoltura biodinamica e biologica, il ripristino di «attività artigianali ispirate a metodi tradizionali», l’attività didattica, l’assistenza sanitaria e sociale, ispirandosi a «un ideale di umanità integra e sana sia su piano fisico che su quello morale e spirituale», aiutando ragazzi e ragazze a poter lavorare nel proprio territorio con «dignità e serenità».

Foto di Emma de Pasquale
Oggi, quarant’anni dopo, la Presidente Maria Cristina Rizzo testimonia come la Fondazione Le Costantine abbia raccolto i semi dell’altruismo delle sorelle Starace e di Lucia de Viti de Marco, portando avanti tutti gli obiettivi che si erano preposte, adeguando la missione alle necessità della contemporaneità, con un occhio attento al turismo inclusivo e accessibile e istituendo corsi di formazione triennali che aiutano tantissimi/e giovani – spesso provenienti da un background migratorio – a inserirsi nel mondo del lavoro.
Grazie a questa sapiente gestione femminile che si tramanda nei decenni, Le Costantine sono oggi note nel mondo come un’eccellenza italiana, tanto da esser state scelte da Dior come realtà artigianale per la realizzazione della collezione Cruise del 2021.
Sebbene sia difficile separarsi da una storia così avvincente, ci resta poco tempo per una rapida ma imprescindibile visita alla regina del Salento: Lecce.
Con la sua inconfondibile morbida pietra leccese, la città si aggroviglia in motivi barocchi, che trovano la loro massima espressione nel Duomo e nella Basilica di Santa Croce (dove, tra l’altro, fu originariamente sepolta Maria D’Enghen cfr. link), ma che lasciano a bocca aperta anche negli angoli meno noti e nei vicoli meno battuti della città.
A tal proposito, merita uno sguardo l’Ex-Conservatorio di Sant’Anna, con il suo gigantesco ficus, fatto istituire dalle nobildonne delle famiglie Verardi e Paladini, soprattutto da Teresa Paladini, con l’intento di offrire un rifugio alle tante donne leccesi che volessero uscire da matrimoni infelici e/o violenti, trovando una via di fuga nel ritiro spirituale e nella vita contemplativa.
Continuando verso il Duomo, abbiamo fatto visita alla contessa Rossella Galante Arditi Di Castelvetere, che ci ha accolte nella sua casa nobiliare in via del Palazzo dei Conti, dove la sua famiglia si è trasferita da Bari a metà del secolo scorso. Infatti, dopo esser passata per le mani delle personalità più eminenti di Lecce, all’inizio del XX secolo, il palazzo fu ereditato da Luigi De Secly, il celebre giornalista che diresse per anni «La Gazzetta del Mezzogiorno» e nonno della contessa, che lo diede in gestione negli anni Cinquanta al chirurgo Nicola Galante, suo genero, nonchè padre di Rossella.


Foto di Emma de Pasquale
La contessa ci ha avvolte nei suoi racconti familiari, riavvolgendo il filo tra passato e presente e guidandoci alla scoperta di questa dimora storica: imperdibile l’affaccio del giardino sul Teatro Romano, una vista unica al mondo.
Ad oggi la famiglia Galante è ben inserita nel tessuto turistico del leccese, aderendo all’Associazione Dimore Storiche Italiane e partecipando con entusiasmo alle manifestazioni dei “cortili aperti”. Il palazzo è inoltre centro propulsore delle più disparate iniziative culturali, molte delle quali dedicate alla letteratura e alle bellezze del territorio.
Restando in tema di prospettive altre, consigliamo un rapido appuntamento all’appena inaugurato ascensore del Duomo di Lecce. Gestito dalla cooperativa Artwork, il nuovissimo e velocissimo ascensore in vetro permette non solo un’inedita visione dell’interno del campanile, ma soprattutto l’accesso a un panorama mozzafiato dello skyline leccese.


Da Lecce, per andare sulle tracce delle donne che hanno fatto la storia del Salento, si può mettere in programma una visita a Campi Salentina, località a circa 20 minuti d’auto dalla grande città salentina, che riserva tante sorprese.
Oltre ad ammirare la Chiesa di Santa Marie delle Grazie, gioiello monumentale della città, e scoprire la storia di Giulia Paladini, moglie di Belisario Maremonti e baronessa di Campi, cui tuttavia – a differenza del marito che ha il suo monumento funerario all’interno della Chiesa – non è dedicato proprio un bel niente, nonostante sia stata una grandissima promotrice della vita culturale della città, è interessante far visita a due “musei” molto peculiari, entrambi nati dall’estrema dedizione dei loro proprietari nel conservare le tracce del passato.
La prima persona che abbiamo incontrato è il sig. Guarino, ex direttore del tabacchificio di famiglia che con il passare degli anni (e di anni ora ne ha 99!) ha trasformato l’azienda di famiglia di lavorazione del tabacco in un museo sulla storia di questa filiera e delle sue lavoratrici, le tabacchine. Entrando nell’ex-tabacchificio, si possono toccare con mano gli strumenti e i documenti relativi alle varie fasi di lavorazione, dall’essicazione alla tritatura.

Foto di Emma de Pasquale


Campi Salentina riserva anche un’altra inaspettata sorpresa: la casa museo dello studioso Alfredo Calabrese, che ha accumulato nei suoi 92 anni di vita libri di ogni epoca, valore e genere.
Tra le testimonianze della storia umana che il professore ha accumulato fino a soffocare gli ambienti della sua casa, c’è una memoria in particolare che tiene in vita: quella della moglie scomparsa Dagmar Davidson, poetessa e pittrice svedese che ha passato in Salento quasi tutta la sua vita.

Foto di Danila Baldo

Nata a Orebro (vicino Stoccolma) nel 1923, l’artista conobbe Alfredo Calabrese nel 1955 a Roma, dove lei seguiva il corso di pittura dell’Accademia delle Belle Arti e lui quello di scultura. Si sposarono lo stesso anno e Dagmar si trasferì in Puglia, dove la sua vita artistica venne travolta dalla bellezza della natura. I colori del Salento ispirarono infatti molte delle sue produzioni pittoriche, che si accompagnavano spesso anche dei componimenti poetici dedicati alla flora salentina. Questi ultimi sono raccolti nel volume Primavera del Salento, edito da Grifo nel 1996, in cui a trentuno poesie dedicate a fiori primaverili fanno da cornice altrettanti meravigliosi disegni, firmati dalla stessa Davidson.
Con grande fierezza Calabrese ci mostra anche un poster di circa un metro e mezzo di altezza, in cui la moglie Dagmar aveva illustrato la regione salentina costellata dalla vegetazione tipica: il riflesso di uno studio approfondito tanto della vegetazione locale quanto delle tecniche di riproduzione pittorica.

Primavera del Salento (1996).
Foto di Danila Baldo

Dopo una vita di illustri lavori ed esposizioni, Dagmar Davidson è scomparsa nel 2018 a Campi Salentina, dove oggi rimane il marito a custodirne la memoria.
Le precedenti tappe:
Intervista a Floriana Maci. Donne sul filo di un racconto
Itinerario 1. Un altro genere di sguardo
Intervista ad Annamaria Caputo. Camera vista mare
Itinerario 2. Il coraggio di difendere la bellezza
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Articolo di:

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

Emma de Pasquale è nata a Roma nel 1997 ed è laureata in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Attualmente frequenta la magistrale in Italianistica all’Università Roma Tre. Ha interesse per il giornalismo e l’editoria, soprattutto se volti a mettere in evidenza le criticità dei nostri tempi in un’ottica di genere.