Saggezza della nonna

In questi giorni di caldo torrido e siccità prolungata, ho riscoperto l’antica saggezza della nonna. Mia nonna è stata figlia del suo tempo: segnata dalle privazioni e dai razionamenti della Seconda guerra mondiale, sopravvissuta miracolosamente a un virus pandemico (con tutta probabilità l’influenza Asiatica) che non ha risparmiato sua madre e, da donna siciliana di un paese rurale dell’agrigentino, in lotta continua con la mancanza d’acqua. Casa sua era disseminata di secchi e bacinelle per accantonare quanta più acqua possibile, nemmeno una goccia ne doveva essere sprecata perché (come accade tutt’oggi nel paese in cui sono nata) l’acqua pubblica arriva in giorni stabiliti e se la si consuma tutta prima del tempo, dal rubinetto non uscirà nulla.
Si potrebbero scrivere articoli infiniti sull’inadeguatezza delle infrastrutture di alcune aree del sud e sull’accesso all’acqua pubblica, ma non credo di essere la persona giusta per fare un’analisi approfondita e puntuale sull’argomento. Quello che vorrei fare è, invece, una riflessione sui comportamenti sostenibili ideati dalle donne del passato, quando relegate al ruolo di “angeli del focolare”, hanno comunque dimostrato la capacità e l’intelligenza di sfruttare le risorse minimizzando lo spreco. Stai a vedere che mia nonna era più moderna di quanto io mi immaginassi! Forse per sopravvivere ai cambiamenti climatici sarà necessario rivedere i nostri comportamenti con uno sguardo nuovo, ma capace di prendere dal passato ciò che ha permesso alle nostre antenate di togliersi dagli impicci.

Le molte ordinanze emesse su buona parte del territorio nazionale, che hanno imposto fino al 31 agosto lo stop all’utilizzo dell’acqua “del rubinetto” per uso diverso da quello igienico e domestico, mi hanno spinta a rispolverare in maniera massiccia i comportamenti di mia nonna, visti ai miei occhi di bambina come “bizzarrie di altri tempi”. Così mi sono ricordata che l’acqua della pasta è perfetta per lavare i piatti, oppure che può essere usata per sciacquare le stoviglie consentendo di utilizzare il programma eco della lavastoviglie.
L’acqua con cui si lava l’insalata non deve per forza essere buttata nello scarico, ma la si può raccogliere per innaffiare piante e fiori di giardini e balconi. Ho recuperato una bacinella come quella onnipresente nel lavabo della nonna, per non disperdere acqua mentre mi lavo le mani, quel liquido pieno di sapone può essere travasato nel secchio e usato per lavare i pavimenti o in altre faccende simili.
In un antico cassetto della memoria ho ritrovato la buona pratica di spegnere la doccia mentre mi insapono o nell’attesa che il balsamo per i capelli faccia il suo effetto. Far scorrere l’acqua inutilmente è un enorme spreco e inoltre, con le temperature caraibiche delle ultime estati, non si rischia nemmeno di battere i denti per il freddo.
Forse, il fatto che a tramandarmi questi gesti sia stata mia nonna, proprio una donna, non è un caso. Nel 2020 una ricerca del Conference board global consumer confidence della Nielsen mise in luce il fatto che anche in Italia sono le donne ad attuare scelte più ecologiche. Il 78% delle donne intervistate ha dichiarato di fare la raccolta differenziata, contro il 72% degli uomini. Tra la popolazione femminile studiata ben il 69% sceglie di portare al supermercato borse della spesa da casa per ridurre l’impatto di plastiche e sacchetti usa e getta, mentre solo il 54% degli uomini si è detto attento a questi aspetti. Anche nella scelta dei cosmetici e dei prodotti per la cura della persona le donne adottano uno sguardo più ecologico. Il 37% delle intervistate si è detta, infatti, propensa a scegliere prodotti naturali o a basso impatto ambientale, contro il 27% degli uomini.

Ma se sono le donne quelle che nella pratica sono disposte a sacrificare tempo e a spendere denaro per il bene dell’ambiente, perché ai vertici delle istituzioni che delineano le scelte politiche e gli obiettivi ambientali ci sono per lo più uomini? Prendiamo come esempio i sei Paesi fondatori dell’UE, partendo pure da “casa nostra”. Per l’attuale governo Draghi, a capo del dicastero della Transizione ecologica abbiamo il ministro Roberto Cingolani. In Francia, invece, al vertice del ministero delegato alle questioni ambientali c’è la ministra Amélie de Montchalin. In Germania con il nuovo governo Scholz, le politiche ambientali passano dalle mani della ministra Svenja Schulze a quelle del ministro Robert Habeck. In Belgio la ministra federale all’Ambiente e allo sviluppo sostenibile è la quarantaseienne di origine marocchine Zakia Khattabi. Nei Paesi Bassi dal 2022 ministro senza portafoglio del Clima e dell’energia è il giovane Rob Jetten. Infine, anche nel piccolo Lussemburgo, la massima carica in tema di politiche ambientali ed energetiche è ricoperta da un uomo, il ministro Claude Turmes.
Il nostro campione, seppur ristretto, mostra che su sei Paesi europei, ben quattro hanno affidato la massima carica per le politiche ambientali a un uomo. Sono convinta che se anche ampliassimo il nostro campione a tutti i Paesi europei il risultato non si discosterebbe di molto. Non che il sesso determini il merito e il valore di chi ha la responsabilità di prendere importanti decisioni, ma gli studi evidenziano una maggiore concretezza delle donne nell’applicare comportamenti virtuosi a salvaguardia delle risorse limitate, non solo l’impegno a dibattere della questione.
Così mi viene in mente la celebre citazione dell’attivista e ambientalista indiana Vandana Shiva: «Le donne sono guardiane del futuro». Che anche mia nonna, a suo modo, fosse una guardiana del futuro?

***

Articolo di Miriam Di Piazza

Laureata in Economia politica e Istituzioni internazionali all’Università degli studi di Pavia, è autrice del romanzo L’isola di Sara, pubblicato dalla Casa Editrice il Filo di Arianna e firma articoli di carattere sociale, attualità e cronaca locale sul mensile Lodivecchiomese con cui collabora dal 2012. Dal 2018 lavora come Assistente amministrativa presso diverse scuole pubbliche della provincia di Lodi.

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