Poche figure nella storia sono così conosciute, nel bene o nel male, da non aver bisogno di alcuna introduzione. Tra statiste e statisti, sovrane e sovrani, umaniste e umanisti, spicca la figura di un’attrice che suo malgrado simboleggiò la supremazia culturale americana del secondo dopoguerra e una vera e propria rivoluzione sessuale: Marilyn Monroe.
Ma prima di Marilyn, c’era Norma Jeane Mortenson; e mentre tutti conoscono Marilyn come una delle più grandi star di tutti i tempi, una donna eclettica in grado di recitare, ballare e cantare con naturalezza e sensualità come mai prima di lei nessuna è stata in grado di fare – al punto che un mostro sacro del cinema come Marlene Dietrich non esitò a parlare di lei come del primo vero sex symbol della storia – la vita di Norma, lontano dalle brillanti luci dell’Hollywood degli anni Cinquanta e dagli scandali suscitati dall’aver amato gli uomini più famosi e potenti d’America, era tutt’altro che facile.

Norma nacque la mattina del 1° giugno 1926 a Los Angeles. Sua madre Gladys Pearl Monroe proveniva da una povera famiglia del Midwest che aveva cercato la fortuna in California a inizio secolo; a quindici anni sposa John Newton Baker, nove anni più grande di lei e da cui ebbe un figlio e una figlia, Robert e Berenice. A causa dei maltrattamenti subiti dal marito Gladys riuscì a ottenere il divorzio nel 1923; per Baker fu un affronto, che ripagò rapendo Berenice e Robert e portandoli in Kentucky, impedendo loro di rivedere la madre – Norma saprà della loro esistenza solo da adolescente, quando incontrerà Berenice ormai adulta. Fortemente provata da questi eventi, Gladys trovò lavoro presso la Consolidated Film Industries; sposò Martin Edward Mortenson da cui si separò però dopo pochi mesi, divorziando nel 1928. In questo periodo ebbe una breve relazione con il collega Charles Stanley Gifford, di cui Norma fu il frutto.
Nonostante i problemi economici e di salute, Gladys cercò di dare un’infanzia serena a sua figlia: constatato che i nonni di Norma non l’avrebbero aiutata la affidò ad Albert e Ida Bolender, una coppia evangelica di Howthorne che si prendeva cura di bambini in cambio di pochi soldi, per assicurarsi che avesse un tetto sulla testa mentre lavorava per la Consolidated Film. Nel 1933 riuscì a ottenere un mutuo per comprare casa ad Hollywood e riprese Norma con sé, convivendo con i coniugi George e Maude Atkinson e la loro figlia Nellie. Un anno dopo, tuttavia, Gladys ebbe un crollo nervoso a seguito di una caduta dalle scale, e le venne diagnosticata la schizofrenia paranoide; pochi mesi dopo venne ricoverata nel Metropolitan State Hospital, e non rivedrà più sua figlia se non saltuariamente quelle poche volte che usciva dagli ospedali. Norma fu affidata a un’amica della madre, Grace McKee, che introdusse la piccola al mondo del cinema e di Hollywood. Tuttavia, Norma non andò ad abitare con la sua tutrice: i primi mesi continuò a vivere con la famiglia Atkinson, dove è probabile sia stata vittima di abusi sessuali. Nell’estate del ’35 visse brevemente con Grace e suo marito Erwin Goddard prima di venire trasferita in un orfanotrofio, con sua enorme delusione. Lo staff dell’orfanotrofio convinse poi Grace a riprenderla con sé, ma la nuova convivenza durò poco: Norma denunciò Goddard per molestie. Di conseguenza, Norma venne rimbalzata fra diverse famiglie e l’orfanotrofio; in questo periodo, l’unica sua consolazione era il sogno di diventare un’attrice. A scuola era una studente mediocre, ma venne notata per le sue doti di scrittura e invitata a partecipare al giornale della scuola. Nel ’41 tornò dalla famiglia Goddard; l’anno seguente le venne impedito di seguire la coppia nel loro trasferimento in West Verginia a causa delle leggi californiane per la protezione minorile, e per non tornare in orfanotrofio a sedici anni compiuti sposò l’operaio James Dougherty. Norma abbandonò la scuola per diventare una casalinga, ma la relazione con Dougherty non tardò ad andare in crisi.

Durante la guerra, mentre il marito venne stanziato nel Pacifico, Norma andò a vivere con i suoceri e trovò lavoro nella Radioplane Company, producendo munizioni. Nel ’44 incontrò il fotografo David Conover durante un servizio fotografico per la propaganda statunitense, il quale rimase profondamente colpito da lei. L’anno dopo Marilyn si licenziò e iniziò a posare per Conover e i suoi amici e nonostante il disappunto del marito firmò un contratto con l’agenzia di modelle Blue Book, potendosi permettere anche un affitto per conto proprio. L’agenzia indirizzò Norma verso la pubblicità e le riviste dedicate agli uomini, rendendola una modella pin-up; per trovare più facilmente lavoro, Norma si tinse i suoi capelli castani di biondo. Fu tramite i suoi ingaggi da modella che Norma ottenne un primo colloquio con il produttore cinematografico Ben Lyon, che la ingaggiò con un contratto di sei mesi per la 20th Century Fox. Insieme scelsero lo pseudonimo che poi diventò leggenda, unendo ‘Marilyn’, in ricordo della star di Broadway Marilyn Miller, e ‘Monroe’, il cognome da nubile della madre. Nel ’46 divorziò da Dougherty, che tentò fino all’ultimo di opporsi alla sua carriera.

Marilyn Monroe passò i primi mesi alla Fox a imparare recitazione, canto e danza, studiando anche la produzione cinematografica. Ottenne i primi piccoli ruoli nei film Dangerous Years (1947) e la commedia Scudda Hoo! Scudda Hay! (1948). La sua timidezza, tuttavia, portò Fox a decidere di non rinnovarle il contratto nel 1947. Marilyn non demorse: continuò a studiare recitazione e a fare audizioni per piccoli ruoli, sostentandosi col lavoro da modella e instaurando amicizie altolocate, come quella con il giornalista scandalistico Sidney Skolsky e con il produttore Joseph M. Schenck, il quale riuscì a farle ottenere un contratto con la Columbia Pictures nel 1948. Qui, i capelli le vennero tinti di un biondo platino e venne ingaggiata per il musical a basso costo Ladies of the Chorus. Il mancato rinnovo del contratto la riportò sulle copertine delle riviste, dove cominciò a sperimentare con il nudo artistico. Poco tempo dopo divenne amante di Johnny Hyde, vicepresidente della William Morris Agency, che riuscì a farle ottenere ruoli minori in film di rilievo come All About Eve/Eva contro Eva (1950) e The Asphalt Jungle/Giungla d’asfalto (1950). Hyde riuscì anche a ottenere un contratto settennale per Monroe con Fox poco prima di morire inaspettatamente a causa di un infarto, una perdita che la fece soffrire particolarmente.
Fox le diede ruoli leggermente più di rilievo nelle loro commedie: As Young as You Feel/L’affascinante bugiardo (1951), Love Nest/Le memorie di un dongiovanni (1951) e Let’s make it Legal/Mia moglie si sposa (1951) le consentono di farsi notare dalla critica e dal pubblico. Nella vita privata, dopo brevi relazioni con registi e attori, iniziò a frequentare l’ex star del baseball Joe DiMaggio. Nel 1952 fu costretta ad ammettere al mondo di aver posato nuda quando faceva la modella nel tentativo di evitare uno scandalo; sorprendentemente, nonostante feroci critiche dai conservatori, Monroe ricevette molto supporto dal pubblico e invece di subire danni la sua carriera fece un balzo in avanti. Sfruttando l’onda emotiva, Fox realizzò tre film di fila: Clash By Night/Le confessioni della signora Doyle (1952), Don’t Bother to Knock/La tua bocca brucia (1952) e We’re Not married!/Matrimoni a sorpresa (1952). Nonostante la crescente popolarità, Monroe desiderava essere riconosciuta non solo per la propria bellezza, ma anche per le proprie doti artistiche, ed esplorare nuovi ruoli invece che limitarsi alle commedie romantiche. Le sue performance nel noir Clash By Night e nel thriller Don’t Bother to Knock ricevettero giudizi tutto sommato positivi, anche se i critici erano concordi nel sottolineare la sua inesperienza. Fox andò contro i desideri espressi da Monroe continuando a darle ruoli in commedie romantiche, dove i suoi personaggi erano spesso ingenui se non addirittura stupidi, con poche battute che servivano solo a far ridere, e possibilmente messa in vestiti attillati o costumi da bagno – il prototipo della figura della “bionda stupida” che per decenni sarà un caposaldo delle commedie hollywoodiane e croce di tutte le donne bionde.

Il crescente successo non alleviò i tormenti che fin da piccola la perseguitavano: l’essere una sex symbol portò molti uomini a cercare una relazione con lei per il solo sfizio di poter affermare di essersi portati a letto Marilyn Monroe, incuranti di come quello che per loro era un effimero piacere la lasciasse devastata, approfittandosi del suo desiderio di essere amata; il suo perfezionismo misto alla timidezza e poca stima di sé la resero famosa per essere una delle attrici più difficili con cui lavorare in tutta Hollywood – costringeva la troupe a rigirare una scena anche decine di volte se questa non la soddisfaceva – ed era irritata dal fatto che sul set di un film avesse così poco controllo sulla propria performance. Ciò la rese oggetto di scherno e bullismo da parte di molti attori e registi, contro cui Monroe non aveva i mezzi per reagire. Tutto ciò andò a intaccare la sua già delicata salute mentale: per far fronte all’ansia e all’insonnia cronica, nonché ai dolori dell’endometriosi, Marilyn faceva spesso uso di barbiturici, anfetamine e alcol. Nonostante fosse paziente di stimati psichiatri e psicologi, il suo stato mentale non trovò mai un vero giovamento.
Questo lento decino della sua salute concise con la consacrazione al cinema: nel 1953 è la protagonista di Niagara, un film noir in cui interpreta una femme fatal che pianifica la morte del ricco marito per intascare il suo patrimonio. In questo film Monroe venne vestita con il look che porterà il suo nome: capelli biondo platino, ciglia scure e arcuate, pelle chiara e liscia, un trucco leggero se non per le labbra dipinte di un rosso brillante, e un neo disegnato vicino la bocca. Le scene in cui il suo corpo nudo è coperto solo da leggere lenzuola o da asciugamani, e la sua camminata ancheggiante, causarono scandalo e portarono gruppi conservatori a chiedere la censura del film. Ciò non intaccò minimamente né il successo della pellicola né la sua popolarità; la critica, tuttavia, si concentrò più sulla sua sensualità che sulla sua performance, un atteggiamento destinato a ripetersi negli anni a venire e che lascerà Monroe profondamente amareggiata.

Lo stereotipo della “bionda stupida” di cui le commedia all’inizio della sua carriera erano state il prototipo trovarono consolidamento nella commedia satirica Gentlemen prefer Blondes/Gli uomini preferiscono le bionde (1953), in cui Monroe e Jane Russell interpretano due ballerine alla ricerca dell’amore e di un marito ricco. Del film venne particolarmente apprezzata la performance di Monroe in Diamonds Are a Girl’s Best Friends, che diventerà una delle scene più parodiate della storia del cinema. Tuttavia, molte persone iniziarono a identificare Monroe stessa son il suo personaggio: una bella ragazza bionda ma fondamentalmente stupida, che cerca solo un marito ricco per farsi mantenere. Questa idea era alimentata dai numerosi flirt e relazioni che Monroe aveva avuto, nonché dal fatto che non avesse mai finito il liceo. Questo afflisse profondamente Monroe, che cercò di recuperare quella che sentiva come una mancanza leggendo i classici della letteratura, trovando grande conforto nei grandi romanzieri russi, soprattutto Dostoevskij.

Nel dicembre del 1953 fu sulla copertina della rivista Playboy con una foto che la ritraeva con un abito semitrasparente al concorso di Miss America del 1952. Monroe non aveva acconsentito alla pubblicazione e l’ennesima violazione delle sue richieste non fece che aumentare la sua frustrazione; nel 1954 entrò in conflitto con la Fox, in quanto il suo contratto non era mai stato cambiato dal 1950, lasciandole uno stipendio assai ridotto rispetto a quanto avrebbe meritato il più grande nome che la Fox aveva in quel momento. Per questo, si rifiutò di partecipare all’ennesima commedia romantica che la Fox voleva costringerla a recitare, The Girl in Pink Tights. Il produttore esecutivo di Fox, Darryl F. Zanuck, aveva deciso che la compagnia non avrebbe dovuto più occuparsi di film impegnativi; afflitto da una personale antipatia nei confronti di Monroe, al suo rifiuto decise di sospenderle il contratto. Per attutire lo scandalo, Monroe decide di sposare Joe DiMaggio per poi partire per la luna di miele e un breve tour per i soldati americani stanziati in Asia. Al suo ritorno, Fox accettò di rinegoziare il contratto, aumentando il suo stipendio con in aggiunta un bonus da 100.000 dollari e un ruolo in The Seven Year Itch/Quando la moglie è in vacanza (1955), dove interpreta una donna che diventa oggetto delle fantasie del suo vicino. Qui viene scattata un’altra foto iconica e una delle più parodiate della storia: mentre passeggia per la metropolitana, una folata di vento proveniente dalla grata su cui sta camminando solleva la gonna del suo vestito bianco. Il pubblico fu entusiasta, ma la scena le costò il matrimonio con DiMaggio, che chiese il divorzio dopo appena nove mesi di matrimonio.

Monroe, sempre più esasperata dai ruoli di personaggi sexy e stupidi, abbandonò Hollywood e fondò la propria compagnia di produzione, la Marilyn Monroe Production; una mossa che anticipò il collasso del monopolio delle grosse case di produzione cinematografiche, ma che all’epoca venne derisa e soggetta a continui sfottò, al punto che lo spettacolo di Broadway Will Success Spoil Rock Hunter parodiò direttamente Monroe attraverso il personaggio di una attrice bionda e stupida che decide di fondare una propria compagnia di produzione cinematografica.
Mentre si apriva un nuovo contenzioso con Fox, Monroe si trasferì a Manhattan e continuò a seguire lezioni di recitazione. Qui divenne molto amica dei coniugi Lee e Paula Strasberg, i suoi istruttori di method acting, che divennero un punto di riferimento per il resto della sua vita. Mentre il divorzio con DiMaggio veniva finalizzato, iniziò a frequentare lo sceneggiatore Arthur Miller, anche lui in fase di separazione dalla moglie. Fox pregò Monroe di interrompere la relazione vista l’accusa di coinvolgimento col comunismo che pendeva su Miller, ma lei si rifiutò, portando la Fbi a metterla sotto osservazione. A fine anno Monroe firmò con Fox un altro contratto settennale, con cui Fox si impegnava a finanziare almeno uno dei film della Mmp e a lasciarle campo libero nella scelta e gestione degli altri progetti. Questo venne visto come una vittoria per Monroe e la stampa fece girare di nuovo il vento a suo favore, lodando le sue abilità imprenditoriali e di contrattazione, ma criticandola per la relazione con un uomo di sinistra come Miller. A marzo iniziarono le riprese del film Bus Stop/Fermata d’autobus (1956), in cui Marilyn interpreta una cantante di saloon i cui sogni di gloria vengono offuscati dai sentimenti di un cowboy per lei. Per la prima volta Monroe aveva il pieno controllo: indicò lei come farsi truccare e quali costumi di scena indossare, imparò a parlare con l’accento dell’Appalachi, e ballò e cantò apposta in modo mediocre. Nonostante il suo essere perennemente in ritardo e il perfezionismo, lasciò un’ottima impressione sulle persone coinvolte nella produzione, al punto che il regista, Joshua Logan, cambiò opinione su di lei e paragonò la sua capacità di miscelare tragedia e commedia a quelle di Charlie Chaplin. Anche la critica e il pubblico apprezzarono la sua interpretazione, scalfendo per la prima volta l’immagine di bionda stupida che la perseguitava. Ricevette anche la sua prima candidatura ai Golden Globe.

Miller e Monroe si sposarono a giugno di quell’anno, e poco dopo Monroe decise di convertirsi all’Ebraismo, un processo di rinomata complessità che superò brillantemente, immergendosi nella cultura ebraica e imparando anche qualche parola di Yiddish – continuò a dichiararsi ebrea atea/non praticante anche dopo il divorzio con Miller. Ad agosto iniziarono le riprese del primo film prodotto dalla Mmp, The Prince and the Showgirl/Il principe e la ballerina (1957) ma subito sorsero delle difficoltà dovute ai litigi fra Monroe e il coproduttore e co-protagonista della storia Laurence Oliver, il quale trovava frustrante che lei avesse un tale controllo sul film, adducendo che l’unica cosa che dovesse davvero fare era ‘essere sexy’. I problemi sul set si aggiunsero a un progressivo deterioramento dello stato mentale di Monroe: sempre più dipendente dai farmaci, secondo molte voci di corridoio lo stress le causò la perdita del bambino che portava in grembo in quel periodo. The prince and the Showgirl, nonostante le complicanze, uscì nel 1957, suscitando perplessità da parte della critica e dell’opinione pubblica statunitense. Riscosse, invece, molto successo in Europa, al punto che Marilyn vinse un David di Donatello e il premio francese Crystal Star oltre che una candidatura ai Bafta. Di ritorno dalla tournée europea, Monroe decise di prendersi un anno sabatico per potersi dedicare alla propria salute e al proprio matrimonio; l’endometriosi causò una gravidanza ectopica e un successivo aborto spontaneo. Il dolore la portò ad abusare di barbiturici fino all’overdose, da cui riuscì però a salvarsi.

Tornò sulle scene a luglio del ’58 con She Like it Hot/A qualcuno piace caldo. La produzione fu resa ancora una volta difficile dalle richieste di Monroe di rigirare continuamente le scene finché non fosse soddisfatta del risultato e dal suo essere perennemente in ritardo. Si scontrò anche con il regista Billy Wilder su come il suo personaggio, Kane, dovesse essere interpretato, temendo di tornare ai suoi ruoli di ‘stupida bionda’ – mentre Wilder trovava bizzarro che un’attrice volesse ‘dettar legge’ sulla produzione. Alla fine, il film fu un enorme successo di critica e al botteghino. Marilyn vinse un Golden Globe, e Variety la lodò per riuscire a combinare la sua rinomata sensualità con perfetti tempi comici. Lo stress causato dalla produzione del film, però, la indusse a prendersi un altro anno di pausa fino al 1959, quando accettò controvoglia di partecipare alla commedia musicale Let’s make Love/Facciamo l’amore. Scelse George Cuckor come regista e incaricò il marito di riscrivere la sceneggiatura, ma la produzione andò incontro a frequenti pause a causa delle assenze dal set di Monroe. In questo periodo ebbe anche una breve relazione extraconiugale con la costar del film Yves Montad, che Fox sfruttò a fini pubblicitari per il film il quale, tuttavia, fu un fiasco. La critica era unanime nel giudicare la performance di Monroe come fortemente sottotono rispetto a quanto li aveva abituati, e non avevano torto: lo stato di salute di Monroe era sempre più precario, dipendente da alcol e farmaci per contrastare il dolore dell’endometriosi e l’ansia da prestazione.

L’ultimo film da lei completato fu The Misfits/Gli spostati (1961); ancora una volta Miller rimaneggiò la sceneggiatura per adattarla ai desideri della moglie, la quale tuttavia rimase molto delusa dal suo lavoro perché basato sulla sua vita personale e perché inferiore qualitativamente a quello dei ruoli maschili; affetta da calcoli, dolori che la costringevano a fermare le riprese per stare a letto a riprendersi, Monroe dovette anche affrontare la fine del suo matrimonio quando Miller intraprese una relazione con la fotografa Inge Morath, presente sul set. Il film fu un altro fiasco; Monroe ottenne il divorzio nel 1961, passando i primi mesi di quell’anno a entrare e uscire dagli ospedali sia per trattare sia la sua dipendenza da alcol e barbiturici sia per per rimuovere i calcoli e curare l’endometriosi. In questo periodo fu Joe DiMaggio a starle vicino, il quale le fece anche incontrare Frank Sinatra, con cui intraprese una breve relazione. Fu quest’ultimo a introdurla alla famiglia Kennedy.

Monroe tornò a farsi vedere in pubblico nel 1962. Ricevette il World Film Favourite ai Golden Globe e iniziò le riprese di Something’s Got a Give, coprodotto con Mmp. Si ammalò di sinusite; contro il parere medico, Fox la costrinse a partecipare alle riprese senza aspettare che si riprendesse. Monroe era evidentemente troppo malata per lavorare, ma Fox iniziò una campagna diffamatoria accusandola di star fingendo i suoi sintomi o implicando che fossero causati dai barbiturici. Il 19 maggio, contro i desideri della Fox, si prese una pausa dalle riprese per un’altra performance che passerà alla storia: cantare Happy Birthday Mister President al compleanno di John F. Kennedy, al Madison Square Garden di New York, in un abito beige decorato di diamantini che la facevano apparire nuda e brillante di luce propria. Tornata sul set di Something’s Got a Give, Fox decise, sia per vendicarsi per l’atteggiamento di Marilyn che per farsi pubblicità, di invitare la stampa il giorno in cui Marilyn doveva girare delle scene di nudo in una piscina. Le foto fecero il giro del mondo. Marilyn, sempre più stanca e ammalata, non era però in grado di continuare le riprese, e le sue continue pause portarono Fox a licenziarla e a chiedere 750.000 dollari in risarcimento. Quando il co-protagonista Dean Martin rifiutò di continuare le riprese senza Monroe, Fox denunciò anche lui e chiuse la produzione, facendo ricadere tutte le colpe su Monroe e alimentando le malelingue. La depressione di Marilyn ebbe un netto peggioramento, a cui si aggiunse la complicata relazione con i fratelli John e Bob Kennedy, soprattutto con quest’ultimo, che si apprestava a entrare in politica e la cui immagine era intaccata dall’avere come amante il sex symbol d’America in declino, afflitta da problemi di alcol e droga.
A metà anno Fox rinegoziò un altro contratto con Monroe per continuare le riprese di Something’s Got to Give e il ruolo di protagonista nella commedia nera What a Way to Go!, nonché vestire i panni di Jean Harlow nel suo film biografico: un onore e fonte di gioia per Marilyn, che da sempre ammirava la Harlow e a cui si era ispirata per i suoi look. Era coinvolta anche in numerosi servizi fotografici per Vouge e Life, nel tentativo di riparare i danni causati dalla Fox. Il sogno di una rinascita si infranse con la sua inaspettata morte nella sua casa di Los Angeles, il 4 agosto del 1962. La sua governante, Eunice Murray, la trovò al mattino presto nuda e riversa sul letto a pancia in sotto. L’autopsia confermò una overdose da barbiturici, in dosi che fanno pensare più a un suicidio che a un incidente.
Come è noto, molte cose non tornano riguardo le ultime ore di vita di Marilyn Monroe, dal fatto che la governante chiamò lo psichiatra di Monroe invece che la polizia, che venne contattata un’ora dopo il ritrovamento del corpo; alla mai confermata ma assai probabile presenza di Bob Kennedy e di alcuni suoi collaboratori la sera prima, e di come se ne siano andati da casa della Monroe pochi minuti dopo la sua overdose; al coinvolgimento della mafia, che aveva dei conti in sospeso con i Kennedy e che volevano usare Marilyn per vendicarsi di loro; al ritrovamento di una supposta vicino al letto che mai è stata analizzata ma che si dice contenesse cianuro o la dose di barbiturici necessaria per l’overdose. Ma in questa sede non voglio parlare delle teorie cospirazioniste sulla morte di Marilyn Monroe, perché molto altro merita di essere narrato su di lei.
Se molti dei suoi colleghi maschi la descrivevano come insopportabile, tonta, ed emotiva, la stragrande maggioranza delle sue colleghe la ricordava, invece, con profondo affetto e rispetto, sottolineando la sua intelligenza e sensibilità. Hollywood cercò in tutti i modi di fare di Marilyn un feticcio per gli uomini, per convincerli ad andare a vedere i suoi film solo per poter ammirare una bella biondina che diceva cose sciocche così che lo spettatore potesse sognare di zittirla con un bacio. Tuttavia, Monroe ha combattuto con le unghie e i denti contro questa immagine che volevano imporle: aveva molto a cuore il controllo sulla propria carriera e sulle persone con cui decideva di collaborare; coltivò amicizie e legami nel mondo del giornalismo per contrastare le frequenti campagne diffamatorie; quando durante le interviste le venivano fatte domande che rimarcavano solo la sua bellezza e non nascondevano un’opinione poco lusinghiera del giornalista su di lei, di frequente Monroe dava risposte vaghe: ad esempio, quando le chiesero se era vero che dormisse nuda e lei rispose che dormiva con solo due gocce del profumo Chanel nr5. Questo modo solo apparentemente infantile e innocente di rispondere venne rinominato Monreismo, e sarà imitato da numerose star del cinema per contrastare la supponenza dei media.
Al contrario di quando si pensa ancora oggi, Monroe era perfettamente consapevole del proprio fascino e bellezza, e non esitava a sfruttarlo indossando abiti chiari che mettessero in risalto i capelli biondi e la sua figura, e perfezionando la propria camminata ancheggiante; spesso organizzava piccoli ‘incidenti’ in cui i vestiti avevano un malfunzionamento e lasciavano in evidenza parti del suo corpo. Per l’America degli anni Cinquanta una donna così sensuale e provocatoria fu uno scandalo senza precedenti; per il fatto che una ragazza di umili origini fosse diventata l’oggetto del desiderio degli americani, spesso Monroe veniva messa a confronto con star come Grace Kelly, che proveniva da una famiglia altolocata, descrivendo Monroe come grezza e volgare mentre donne come Kelly erano eleganti e sofisticate; cercarono, inoltre, di cucirle affosso lo stereotipo della “stupida bionda” che caratterizzava molti dei suoi personaggi, deridendola e sminuendola quando Monroe si rivelò, invece, una astuta e competente imprenditrice e produttrice.
Monroe venne anche molto criticata per le sue frequentazioni, dall’intraprendere relazioni con i ‘bianchi sbagliati’ Di Maggio (italoamericano) e Miller (ebreo) fino alle sue amicizie e conoscenze nel movimento per i diritti civili: famoso è l’episodio in cui minacciò di andarsene da un locale a meno che non lasciassero esibire la cantante afroamericana Elle Fitzegerald, e tornando tutte le sere in cui la Fitzgerald si esibiva per supportarla e aiutando a lanciare la sua carriera, o il duetto col cantante afroamericano e suo istruttore di canto Phil Moore. Donò importanti somme alle case-famiglia, remore dei suoi primi anni di vita, e anche dopo la sua morte molti dei suoi beni andarono in beneficenza e divisi fra i suoi parenti e amici.


Il suo successo la rese un vero e proprio export dell’America, un simbolo della sua egemonia culturale; qualunque cosa avesse il suo viso sopra o fosse commercializzato da lei andava a ruba. Influenzò decine di artisti, fra cui Andy Warhol – che le dedicò uno dei suoi quadri più famosi – e Madonna; ricevette, inoltre, l’attenzione del mondo accademico, con il movimento femminista che aiutò a far rivalutare la sua figura dopo che Fox, a seguito della sua morte, cercò di continuare a presentarla al mondo solo come una sciocca, bionda attricetta sexy.
Marilyn Monroe era la prova che bellezza e intelligenza potevano coesistere in un unico corpo anche quando questo era femminile, e la sua ascesa e vita travagliata hanno ispirato centinaia di donne a trovare forza nella propria sensualità e a non sminuirsi per un uomo.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.