Architetta, pioniera della modernità e della sostenibilità, innovatrice degli spazi urbani, personalità di spicco nel design del XX secolo, Charlotte Perriand è nata a Parigi, figlia di due sarti savoiardi con atelier in Place du Marché Saint-Honoré, il 24 ottobre 1903 ed a Parigi è morta il 27 ottobre 1999.

Charlotte infatti ha vissuto pienamente i grandi eventi dello scorso secolo e ha partecipato in prima persona alla rivoluzione del design e dell’architettura d’interni immaginando un nuovo modo di vivere la quotidianità all’interno della quale anche la donna avesse un nuovo ruolo. Pur essendo stata una persona libera ha pagato però il costo di essere donna in un ambito ed in un tempo in cui le donne avevano poco spazio e soprattutto poca visibilità.
L’aver promosso un profondo rinnovamento dei valori estetici e aver dato vita a una sensibilità moderna dell’esistenza quotidiana a partire dagli spazi dell’architettura d’interni da lei concepiti come motore di un nuovo modo di abitare la rendono perfetta per rappresentare su Calendaria 2022 l’obiettivo 11 dell’Agenda 2030: città e comunità sostenibili. Per lei sicuramente i mobili dovevano avere un ruolo estetico dato dalla loro semplicità: contenere poco più del necessario per adempiere al loro scopo, ma al contempo riuscire ad evocare la profondità della funzione sociale per la quale erano stati creati, pur avendo una loro utilità. Sosteneva che i designer fossero degli artisti e fu tra i primi promotori della loro responsabilità di far progredire la cultura, anticipando l’inevitabile necessità di cambiamento.

Charlotte Perriand si diploma all’École de l’Union Centrale des Arts Décoratifs di Parigi nel 1925 e in quello stesso anno presenta una prima collezione di oggetti e arredi all’Esposizione parigina di Arti Decorative.
Nel 1927 entra nello studio di Le Corbusier dove si occupa della ricerca e dello sviluppo sugli interni. Con il famoso architetto e con Pierre Jeanneret condivide la visione dell’arredo come parte di un sistema che sfrutta le grandi potenzialità di nuovi materiali e tecniche di lavorazione e produzione in serie. Tale collaborazione è perfettamente rappresentata dai pezzi realizzati per il Salon d’Automne del 1929, tra cui spiccano la celebre chaise-longue basculante, la sedia a schienale basculante e la poltrona grand comfort, tutte con struttura in tubolare d’acciaio inossidabile. La loro collaborazione intensiva durerà fino al 1937.

Nel frattempo comincia a viaggiare e ad allargare i suoi orizzonti. Il primo viaggio importante è a Mosca ma è la permanenza in Giappone, per alcuni anni, oltre che in Vietnam, che è determinante nello sviluppo della sua creatività. Partita per l’Asia per tenere un seminario sul nuovo design mentre la Germania stava invadendo la Francia, vi ebbe occasione di realizzare prototipi con un gruppo di studenti e, successivamente, un’importante esposizione. Dopo l’entrata in guerra del Giappone con gli Stati Uniti, vi rimase bloccata ma con avventurose vicende, raccontate nella sua autobiografia, riuscì a sopravvivere al catastrofico conflitto e ritornò in Francia nel 1946, con il secondo marito Jacques Martin (il primo era stato Percy Scholefield, un inglese flemmatico e più vecchio di lei, mercante di tessuti e amico dei genitori, da lei sposato giovanissima per uscire di casa ed essere libera) e la figlia Pernette avuta in quegli anni (che porta il cognome della madre). La cultura e la produzione artigianale giapponese influenzarono moltissimo il suo lavoro soprattutto attraverso l’uso dei materiali tradizionali quali bambù, legno, lacca, ceramica, ferro che unì ad altri materiali che aveva cominciato ad apprezzare ed utilizzare in Francia: acciaio, alluminio, vetro.
Negli anni Cinquanta torna a lavorare con Le Corbusier per progettare gli interni dell’Unité d’Habitation di Marsiglia; qui introdusse una cucina integrata nel soggiorno, separata solo da un alto bancone, che, come scrisse nell’autobiografia, era rivoluzionaria perché «permetteva alla padrona di casa di stare con la famiglia e gli amici mentre cucinava. Sono finiti i tempi in cui una donna era completamente isolata come una schiava all’estremità settentrionale di un corridoio». Con altri due grandi nomi per gli arredi progetta due edifici presso la Cité Universitaire di Parigi: la Maison du Brésil, con Lucio Costa, e la Maison de la Tunisie, con Jean Prouvé.
Riceve molteplici commesse, private e pubbliche, tra cui gli uffici di Air France nel mondo, le residenze diplomatiche franco-nipponiche, la riprogettazione degli interni del Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra nel 1961. Il suo amore per la montagna si riflette nelle residenze turistiche da lei progettate in Alta Savoia.

Una delle sue ultime opere è la Maison du Thé realizzata nel 1993 all’interno del Festival Culturale del Giappone organizzato a Parigi dall’Unesco. Nella parte finale della vita rallentò l’attività ma mantenne sempre aperto il suo atelier. Ricevette molteplici onorificenze e le furono dedicate diverse mostre retrospettive, fino all’età di 96 anni. Ma nonostante il contributo che ha dato al design moderno sia stato enorme, non si può non riflettere sul fatto che in quanto donna sia stata in qualche modo relegata al design d’interni, proprio da Le Corbusier. L’architetto infatti, seppure immediatamente colpito dal suo essere una visionaria tanto da sceglierla, solo ventiquattrenne, come collaboratrice per il proprio studio dopo aver visto il suo Bar sous le toit esposto al Salon d’Automne, interamente costruito in rame nichelato e alluminio anodizzato, poi non la coinvolse nella progettazione di edifici considerando il design d’interni più adatto ad una donna! Allo stesso tempo però, proprio perché lui riteneva di doversi occupare di ben altro che progettare mobili, pochi sanno che la vera autrice del divano LC3 e dell’ancor più celebre chaise-longue LC4 è lei! Insomma Le Corbusier da una parte considerava meno rilevante progettare arredi ma dall’altra non ha esitato a far passare alla storia del design questi capolavori con il suo nome. E non solo, dai racconti della figlia Pernette scopriamo il motivo per cui Charlotte si allontanò dal celebre architetto negli anni Trenta, quando si unì all’Association des Ecrivains et Artistes Révolutionnaires: la simpatia di Le Corbusier per il fascismo e l’antisemitismo, mentre lei si avvicinava ai gruppi di intellettuali antifascisti.
Comunque, nel panorama della storia del design e dell’architettura Charlotte Perriand è una figura femminile che si è potuta emancipare ed affermare tanto come professionista quanto come personalità individuale, in un ambiente all’epoca quasi esclusivamente maschile, come lei stessa racconta nell’ autobiografia: Une vie de création, del 1998, uscita in Italia come Io Charlotte, tra Le Corbusier, Léger e Jeanneret. Le sue scelte e il suo stile di vita hanno sempre accompagnato l’attività progettuale, includendo provocazioni come i capelli tagliati a zero e i gioielli di cuscinetti a sfera così come la passione per lo sport e i viaggi; la mansarda-studio realizzata per sé a Montparnasse nel 1937, con gli anelli da ginnastica al centro di un living multifunzionale, parla di lei nella concretezza di uno spazio abitato.
È bello immaginarla come una ragazza dal sorriso contagioso, occhi azzurri impertinenti, capelli biondi cortissimi, stampati sulla testa alla maschietta, che andava in giro vestita in stile Charleston con abitini a disegni geometrici. Una ragazza che non faceva altro che disegnare e che un bel giorno portò i suoi schizzi da un artigiano di genio con laboratorio al Faubourg Saint-Antoine, dal quale apprese la meccanica dei congegni più strani. Fu da lui che si farà montare un girocollo con biglie di rame cromate, il Collier roulement à billes ispirato a una natura morta di Fernand Léger (Le Mouvement à billes, 1926), che diventerà il manifesto della sua libertà e di quella delle donne della sua generazione, oltre che «un simbolo e una provocazione che segnavano la mia appartenenza all’epoca meccanica del XX secolo», come lei stessa scriverà.
In una cosa forse si sbagliava, infatti affermò che «Tutto cambia molto velocemente, e ciò che è arte oggi, non lo sarà domani. L’adattamento deve essere un processo costante, è qualcosa che dobbiamo riconoscere ed accettare. Viviamo in un tempo di transizione». Si sbagliava perché invece, sebbene sia passato quasi un secolo, i mobili da lei progettati sono ancora oggi arte e lo saranno a lungo, essendo diventati delle icone. La sua affermazione, peraltro corretta in generale, trova l’eccezione nelle creazioni delle menti geniali.
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Articolo di Donatella Caione

Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.