La metà dell’arte. Accardi e Loewensberg

Nella serie di articoli che illustrano le sedici protagoniste che hanno dato vita alla mostra La metà dell’arte, a Tivoli, nel palazzo della Procura della Repubblica, curata da Toponomastica femminile, è la volta ora di due pittrici, una italiana, l’altra svizzera, che hanno operato nel campo dell’astrattismo, una corrente dove solitamente si muovevano per lo più artisti maschi, e in particolare nell’arte cosiddetta “concreta”.

Carla Accardi (Trapani, 1924-Roma, 2014)

Prima pittrice astrattista a essere conosciuta e rinomata in Italia e all’estero, basò la sua ricerca artistica sulla riduzione all’essenziale delle forme e dei segni, e sull’eliminazione di qualsiasi significato simbolico o allegorico della composizione. Siciliana di origine, dopo studi condotti all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Firenze, si stabilì a Roma assieme al pittore Antonio Sanfilippo, che diventerà suo marito nel 1949 e da cui si separò nel 1964. Con gli artisti Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato, firmò il manifesto del gruppo Forma 1,e a Milano collaborò saltuariamente con il gruppo Mac-Movimento arte concreta. Comune a questi gruppi era la volontà di portare avanti un astrattismo letteralmente “concreto”, per lo più geometrico e distaccato da qualsiasi interpretazione simbolica delle forme.
Nelle Scomposizioni del 1947 forme, linee e colori ridotti all’essenziale e disposti secondo uno schema geometrico, totalmente privo di significati allegorici, non rappresentano una “astrazione” dalla realtà, né vengono considerati come veicolo di messaggi particolari, bensì sono semplicemente segni da interpretare come tali, linguaggio puro dell’arte.

Scomposizione, 1947 Carla Accardi

Dopo lo scioglimento dei due gruppi, i dipinti dell’Accardi adottano il bianco e nero, con l’introduzione della caseina per esaltare le tinte.

Grigio e colori, 1954 – Carla Accardi; Duello interrotto, 1955 – Carla Accardi

Il colore ritorna nettamente protagonista nella sua produzione degli anni Sessanta, probabilmente influenzata dal dilagare della colorata Pop Art di Andy Warhol.

Piccoli settori, 1962 – Carla Accardi; Violarosso, 1963 – Carla Accardi

Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, l’artista mostrò una tendenza a “uscire” dalla tela, portando la sua ricerca in installazioni di vario tipo, utilizzando anche nuovi materiali, supporti plastici trasparenti e vernici fluorescenti, come “sicofoil”, fogli dipinti, stesi o arrotolati di acetato di cellulosa.

Nero giallo, 1967 – Carla Accardi

Nel corso degli anni Ottanta l’artista produsse i Lenzuoli, tele grezze di grandi dimensioni su cui i segni di svariate forme sono declinati in diversi abbinamenti di colore. Negli anni Novanta tornò alla tela “classica”.

Grande capriccio viola, 1988 – Carla Accardi; Vortice del vento verde, 1998 – Carla Accardi

Turcato definì la sua opera «capace di sradicare l’idea che una pittrice donna debba essere delicata sempre e comunque, ma che anzi possa benissimo esprimere un pensiero con forza». E Carla voleva annullare l’associazione tra la delicatezza e il femminile nell’arte. Tapié definì la sua arte “Art Autre”,volendo sottolineare la sua rottura col passato e la sua ispirazione a una realtà diversa da quella esistente. Carla Accardi è stata anche un’importante esponente del femminismo italiano e vedeva l’arte come uno strumento fortemente politicizzato. Costituì nel 1970il gruppo Rivolta femminile insieme a Carla Lonzi ed Elvira Banotti. Un forte legame la unì a Carla Lonzi, storica dell’arte e militante femminista. Con le altre artiste di Rivolta Femminile fondò la Cooperativa Beato Angelico, spazio d’arte romano al femminile. Fece parte dell’Accademia di Brera nel 1996 ed entrò nella Commissione della Biennale di Venezia nel 1997.

Verena Loewensberg (Zurigo, 1912-1986)

Verena Loewensberg, pittrice e grafica, ha fatto parte del movimento Arte Concreta, che si sviluppò nella seconda metà del‘900a Zurigo, associato alla corrente dell’astrazione geometrica. L’estetica dell’arte concreta, con la sua espressione sobria, pulita e razionale, la qualità e la precisione nell’esecuzione, rappresenta perfettamente il carattere svizzero. Gli artisti e artiste di questa corrente furono spesso attive anche nel campo del design e delle arti applicate. Verena era la figlia maggiore di una famiglia di medici. Iniziò i suoi studi presso la Gewerbeschule di Basilea (Scuola di arti e mestieri), dove fu introdotta al design e alla teoria del colore, poi, dopo due anni alla Kunstgewerbeschule (ora Schule für Gestaltung) di Basilea (1927-1929),divenne una tessitrice tessile. A Zurigo frequentò anche un corso di danza e coreografia; gli echi di tutte queste discipline apprese si trovano nel suo lavoro di artista. All’inizio i suoi disegni erano sia figurativi che astratti. Nel 1934 iniziò una lunga amicizia con Max Bill e sua moglie, la fotografa Binia. L’anno successivo, grazie a Bill, entrò in contatto a Parigi con artisti del gruppo Abstraction-Création, e conobbe Georges Vantongerloo, incontro che si rivelò decisivo per la sua carriera. Nel 1936 dipinse i primi quadri concreti e contribuì nel 1937 alla fondazione di un’associazione di artisti a Zurigo, entrando di diritto nell’avanguardia svizzera; nel dopoguerra fu l’unica artista della ristretta cerchia dell’Arte Concreta di Zurigo, insieme a Max Bill, Richard Paul Lohse e Camille Graeser, rivelandosi una delle principali rappresentanti dei concretisti zurighesi la cui arte, secondo Bill, era «l’espressione pura della misura e della legge armonica». Partecipò alle loro mostre collettive con successo. Ha lavorato, inoltre, come grafica e designer di tessuti, dedicandosi anche all’insegnamento.

Composizione, 1965 – Verena Loewensberg; Composizione, 1970/73 Verena Loewensberg

Sebbene il suo lavoro sia fondamentalmente geometrico, è anche intriso di grande libertà, poesia e musicalità: forme circolari, pentagoni irregolari, angoli acuti e ottusi, oltre a colori che i severi costruttivisti, che lavoravano solo con colori primari, avrebbero ritenuto inaccettabili. In Senza titolo, del 1974, una striscia orizzontale piegata a zigzag, composta da segmenti di colore arcobaleno, divide lo spazio pittorico.

Senza titolo, 1974 – Verena Loewensberg; Senza titolo, 1975 – Verena Loewensberg

Dagli anni Sessanta in poi, è di un’indipendenza e di un’autonomia che sfugge a ogni classificazione, e può essere definita in un certo senso l’anima poetica dell’arte concreta zurighese: strisce orizzontali o piegate a zigzag, composte da segmenti di colore arcobaleno, piccoli quadrati colorati in disposizioni alternate che si raccolgono attorno a un quadrato più grande, cunei di colore disposti a spirale, tonalità graduate di blu, giallo, rosa e rosso, in una varietà di composizioni che possono essere infinite.

Senza titolo, 1980 – Verena Loewensberg; Senza titolo, 1983 – Verena Loewensberg

In un’intervista rilasciata nel 1977, nel suo appartamento zurighese elegante e minimalista, disse: «Non ho una teoria, dipendo dalle cose che mi vengono in mente». Questa citazione trasmette un’affermazione insolitamente personale, e incredibilmente eloquente, sulla sua indipendenza artistica. Anche le sue opere, rigorosamente Senza titolo, riportano solo l’anno di creazione.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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