Nel discorso narrativo di Stefania Türr compaiono numerose figure, dalle compagne di viaggio a croceristi e croceriste, dal popolo Sami agli Scandinavi; sono presenze di diversa importanza attorno alla figura dell’autrice, costante protagonista che dispensa giudizi e opinioni su fatti e persone. Mentre le amiche con cui viaggia, Cornelia e la figlia di lei, Marzia, sono raramente nominate, una descrizione più accurata è riservata agli altri partecipanti alla crociera, di cui evidenzia caratteristiche comuni e alcuni aspetti peculiari. Türr sottolinea innanzitutto l’appartenenza a una classe benestante, che cerca l’avventura senza però rinunciare all’abituale comfort. Il gruppo più numeroso è quello degli Americani, seguito dagli Italiani: undici su un totale di sessantacinque passeggeri, sottolinea con orgoglio.

L’autrice non esita a ritrarli nelle sue fotografie, sempre elegantemente vestiti in giacca e cravatta; non manca di indicarne la professione o l’incarico pubblico, nonché attribuire loro dei nomignoli: i tre Milanesi sono «i Tre Moschettieri», mentre i tre Genovesi sono «i più intrepidi. Piova o no restano sempre in coperta, fanno fotografie a tutto andare, misurano la temperatura e stanno sempre insieme»; i Piemontesi «sono i più raccolti, intenti sol a guardare ciò che li circonda. […] Sembriamo l’Italia prima del ‘60, Genova per conto suo, idem Milano, idem Torino», conclude ironica.
Gli altri passeggeri vengono suddivisi per nazionalità e caratterizzati con criteri diversi: Türr è particolarmente benevola con gli Spagnoli, che condividono il suo orientamento politico, «entusiasti del nostro Presidente del Consiglio – Il Signor Mussolini ha salvato non soltanto l’Italia ma anche la Spagna e l’Europa tutta – dicono […] ha una mente vigorosa, che ha una rapida visione di tutto». Sono invece i Francesi, con il loro senso di superiorità, a rappresentare una nota stonata: «sono meno comunicativi e non trovano niente di straordinario in questo viaggio: per loro in Francia c’è molto di più e di meglio»; soprattutto, Türr non perdona loro l’opinione negativa sulle vicende italiane: «Vedo un giornale di Parigi e rimango disgustata per lo stile odioso che usa nominando l’Italia e i suoi avvenimenti. Un nemico mortale non potrebbe esprimersi con più acredine e con più sapiente malignità».
L’autrice è certa che quest’opinione derivi dalle chiacchiere infondate degli Italiani che vivono a Parigi, nei confronti dei quali si esprime duramente: li definisce «indegni d’essere nati sulla nostra terra benedetta», non più Italiani dunque, ma semplicemente «traditori». La descrizione degli altri croceristi è sommaria e stereotipata secondo i criteri del tempo, dagli Americani sempre allegri, che «non fanno discussioni politiche, mangiano, bevono, ridono, si divertono in coperta a giocare a ‘shuffle board’ anche se piove»; ai flemmatici Inglesi e Tedeschi, «più quieti»; fino al malinconico Egiziano, che «conosce benissimo l’Italia, parla tutte le lingue, ma non si entusiasma un gran ché al viaggio che fa».

Ad eccezione del personale di trasporti e alberghi, durante le escursioni a terra gli incontri con le popolazioni native non sono frequenti e la narratrice si limita a osservazioni generiche e stereotipate sugli Scandinavi.
I Sami sono invece descritti diffusamente quando, nei pressi di Tromsø, anche lei visita il «campo dei Lapponi», quasi una meta obbligata per chi raggiunge l’estremo nord del Continente: ne scrivono, tra gli altri, Léonie d’Aunet, Paolo Mantegazza, Giulia Kapp Salvini. Con l’abituale franchezza Türr esprime la sua delusione di fronte a una «’messa in scena’ per turisti ricchi che vogliono avere tutto a portata di mano, insofferenti del caldo, delle privazioni e delle zanzare che non si potrebbero evitare se si andasse a visitare i Lapponi in Lapponia».
Il campo le sembra dunque una ricostruzione artificiale, dove le abitazioni appaiono «una cattiva imitazione di quelle autentiche, i Lapponi che ci vengono incontro quasi festosi sono assai socievoli e ci offrono corne di renna, pellicce, coltelli e taglia carte in osso. […] I bimbi ci guardano attoniti, i cani non abbaiano, sono ammaestrati anche quelli». Tutti, dagli adulti, fiduciosi nelle possibili vendite dei loro manufatti, a bimbi e cani, sembrano addestrati a catturare l’attenzione dei turisti e delle rare turiste. Anche se ammira alcuni particolari (l’intenso turchino dei costumi, le scarpe robuste, gli immancabili coltelli), Türr conclude riportando gli stereotipi del tempo sui Sami: «il Lappone non conosce né la biancheria né le calze, non ha mai portato camicia […]. Non mangiano pane, ignorano qualsiasi scienza o arte, ed è una gran cosa se qualcuno conosce l’alfabeto. Il Lappone non canta, non ha una musica sua. Il linguaggio divino che parla a tutti i cuori non l’interessa perché non lo conosce e non lo capisce. Vivendo ai margini di due civilizzazioni (la norvegese, la svedese, non conto la russa) non ha assimilato niente. È inerte, senza bisogni, senza gioie, senza aspirazioni. Si suol dire che la sua bontà sia mollezza, la sua astinenza freddezza, la sua probità indifferenza»; tuttavia, pur rassegnati alla propria inferiorità, «fanno i loro affari, offrono con buona maniera la loro mercanzia». Quanto al fisico «una cosa è evidente: non sono belli; […] inferiori per statura all’altezza media degli altri popoli europei, sono brutti e sgraziati. Di capello nero, viso quadro, zigomi sporgenti, naso piatto quasi camuso, occhi piccoli senza ciglia, sono troppo diversi, come tipo, da tutti i popoli nordici. Si sa che i lapponi sono di origine asiatica, derivano dai mongoli; la loro stessa lingua li fa un popolo a parte. Il loro idioma è incomprensibile non soltanto per noi ma anche per i norvegesi, svedesi e russi, con i quali hanno continuamente rapporti: somiglia al tartaro». In tanto squallore, l’unica nota positiva è data da una culla: Türr riporta fedelmente la descrizione di Léonie D’Aunet e asserisce che solo l’affetto per i nuovi nati riscatta questo popolo, altrimenti incivile: «Se i lapponi hanno tante cure per i figli da saper creare una culla che sembra un poema, non possono essere così aridi come taluni asseriscono».
Non si può quindi che provare per loro un senso di paternalistica superiorità: «povera gente, chi saprà mai cosa passa per la loro anima primitiva! […] lunghi inverni rinchiusi nelle loro capanne dove l’aria è irrespirabile, l’oscurità quasi completa! Come volete che cantino?». Il tono compassionevole è comunque presto abbandonato, per tornare a descrivere la dura quotidianità della pastorizia: la renna «ha più importanza del cammello per gli arabi, perché è la sua [del Lappone] vacca, il suo montone; fa da cavallo, lo nutre della sua carne e col suo latte, che è molto bianco, grassissimo, zuccherato e leggermente profumato […] lo veste con la sua pelle e col suo pelo. Si lascia attaccare rapidamente alle slitte. I suoi nervi servono per cucire e sono come il più solido dei fili. Con le sue corna si fa un’infinità di utensili».
Come i Sami si trovano a un livello basso nella linea dell’evoluzione umana, anche la renna occupa un posto inferiore nella categoria animale; infatti, «paragonare la renna al cervo è come paragonare il campagnuolo al signore»: il confine estremo del mondo è dunque abitato da esseri umani e animali primordiali.
Tra i rari incontri individuali descritti dall’autrice, il primo avviene a Green Harbour, sulle isole Svalbard, dove la accoglie un personaggio singolare: «Un cacciatore calzato di bellissimi stivali… bianchi, attira l’attenzione […] ci offre delle cartoline fatte da lui, e ci racconta che è di Honoloulou nelle isole Hawai, vorrebbe tornare a casa ma non ha i mezzi e così si aiuta come può. – Vendendo cartoline allo Spitzberg ci restereste per l’eternità – gli faccio osservare io. – Oh, no! Oramai sono quasi due anni che mi trovo in questo arcipelago. Ho cacciato con discreto successo. Ho venduto foche e volpi; ancora uno sforzo poi potrò rimpatriare. – Chissà quale avventura lo avrà relegato così lontano dall’umano consorzio!», conclude Türr, divertita da questo Nordico-Hawaiano.

L’incontro più importante di Türr è però quello con Liisi Karttunen, la studiosa finlandese ben nota in Italia per il suo studio della storia del cattolicesimo e per la sua posizione presso la rappresentanza della sua nazione a Roma: nella capitale, infatti, si dedica alla diffusione della cultura finlandese. L’intervista è introdotta in maniera molto formale, indicando i titoli di studio e di ricerca di Karttunen, la sua partecipazione a convegni e congressi, il suo impegno culturale in Italia e la sua attività di vaticanista. Al tempo la studiosa è stata nominata segretaria della Legazione Finlandese a Roma e ha già svolto mansioni così significative che, afferma Türr, «certamente in futuro ne faranno un ministro».
Durante l’intervista, che avviene in italiano ed è ricca di informazioni sulla Finlandia, il tono formale diventa una conversazione amichevole: Karttunen «è simpaticissima. Adora l’Italia, soprattutto Roma […] parla con vivacità quasi latina»; oltre alla sua attività culturale e al suo amore per la penisola, viene messo in evidenza anche il suo attivismo in situazioni belliche: «La guerra la sorprese sotto il nostro bel cielo […] fu instancabile per attività, prodigandosi specialmente come addetta alla Croce Rossa Americana».
La conversazione si concentra sulla posizione della donna nella società finlandese: Karttunen spiega che «non c’è distinzione fra donna e uomo. Ognuno lavora, produce, dirige per il bene comune e per la gloria della Nazione. Ci sono donne che dirigono fabbriche con centinaia e centinaia di operai»; quindi enumera le personalità femminili presenti nelle diverse professioni e in politica; non manca di sottolineare la partecipazione delle donne alla guerra d’indipendenza, con la costituzione del corpo delle Lotta Svärd; infine menziona le organizzazioni femminili presenti sul territorio, quali la Konkordia e la Martha, che svolgono funzioni educative e assistenziali: «da noi le donne non perdono tempo; tutte lavorano, a qualunque classe sociale appartengano».
La posizione della donna è paritaria non solo nel mondo del lavoro, ma anche per quanto concerne i diritti: se il voto era già stato concesso alle cittadine del Granducato di Finlandia nel 1906, nel 1917, con la costituzione di una repubblica finlandese indipendente, è stata raggiunta la completa parità: «Ormai abbiamo gli stessi diritti dei nostri compagni uomini: abbiamo il voto, il divorzio, la libertà professionale, l’emancipazione della donna maritata, il riconoscimento dei diritti della madre sui figli. Attualmente è sul tappeto la questione della definitiva sistemazione della situazione giuridica dei figli naturali e la riforma della legislazione matrimoniale, conforme a quanto è stato già deciso dalla Svezia, dalla Norvegia e dalla Danimarca».
Infine, anche la quotidianità di queste donne emancipate è ricca di soddisfazioni: lo stile di vita ben organizzato permette loro di usufruire di tempo libero, durante il quale si dedicano con passione alla lettura, alle arti e allo sport: «La ginnastica è in gran voga […]. Del resto tutti gli sport sono praticati con entusiasmo tanto da noi donne come dagli uomini». Per quanto riguarda le arti, Karttunen fa riferimento alla tradizione, in particolare ai «cantori della Finlandia, gente del popolo che canta le canzoni nazionali, gli avvenimenti storici del paese», ma sottolinea anche: «Tutti adoriamo la musica – vecchi e giovani, appena il lavoro lo consente, suonano qualunque strumento pur di poterne far sgorgare note infinitamente nostalgiche»; una passione, dunque, che suscita un forte coinvolgimento emotivo. La studiosa finlandese dedica l’ultima parte dell’intervista alla pittura e non si limita a menzionare Akseli Gallén-Kallela, che ha reso immortali alcuni episodi del Kalevala, ma illustra l’opera di alcune pittrici «di fama», come Maria Wük, Elin Danielson Gambogi ed Elena Schjerfbeck. Türr termina affermando con soddisfazione che «la Dottoressa ci vuol far capire […] che il suo paese, fin dai tempi più remoti, non ha avuto che una aspirazione: emanciparsi, elevarsi». Si conclude così l’incontro fra due donne libere e indipendenti, che condividono non solo opinioni, ma anche atteggiamenti spontanei ed entusiasti e si pongono ad esempio delle loro contemporanee.
In copertina: città di Voss, in Norvegia.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.