Forse ho esagerato perché i pareri della critica non sono mai univoci e così netti, ma mi prendo la responsabilità e arrivo a definire Ingrid Bergman l’attrice straniera più significativa della sua generazione, quella che ha lasciato un’impronta indelebile, colei che nel cinema ha dato il meglio di sé in ruoli e generi assai vari e che non è stata una “diva”, ma una grande interprete. Sicuramente è stata favorita dalle scelte intelligenti che l’hanno resa protagonista di capolavori indimenticabili, ha saputo valutare le opportunità e le giuste collaborazioni, ha lavorato con i registi migliori e con colleghi che hanno valorizzato le sue doti, senza mai metterla in ombra. In più, e questo è un dono che le ha fornito madre natura, era bella, ma di una bellezza elegante, non appariscente, essendo alta, slanciata, bionda naturale in un’epoca di “maggiorate” dal trucco pesante, con il vitino di vespa e il seno prorompente. Pare ieri e invece se n’è andata da quaranta anni, nel giorno del suo compleanno, quando ancora avrebbe potuto essere attiva, recitare con la consueta finezza, regalarci qualche altra prova memorabile, come accadde con il suo ultimo imperdibile film: Sinfonia d’autunno (ma il titolo originale, più appropriato alla vicenda narrata e alla brevità della pellicola, era Sonata d’autunno).
Fu l’unica volta in cui i due Bergman si incontrarono: il regista Ingmar e la conterranea Ingrid; era il 1978 e per il cineasta sarebbe stato l’ultimo lavoro destinato alle sale. Per l’attrice un ruolo bellissimo: l’elegante pianista Charlotte, donna ambiziosa e di successo, che ritorna a casa a trovare la triste e dimessa figlia (Liv Ullmann); un vero duello fra due interpreti strepitose, una gara di bravura fra due personalità contrastanti, fra due età edue modi di intendere la vita, inconciliabili. Non per nulla entrambe ricevettero il David di Donatello, ma Ingrid ebbe anche tre importanti riconoscimenti dalla critica americana.
Il 29 agosto 1982 Bergman moriva a Londra, dopo aver lottato contro una malattia incurabile; aveva 67 anni, essendo nata a Stoccolma il 29 agosto 1915. Figlia unica, rimase presto orfana: di madre a soli due anni e di padre a dodici; alla morte della zia, visse con lo zio e, finiti gli studi superiori, entrò nella scuola d’arte drammatica presso il Teatro Reale della sua città, già convinta della futura carriera. Ma in breve dal palcoscenico passò al cinema: dopo piccoli ruoli, nel 1936 si fece notare nella parte della violinista Anita Hoffman di Intermezzo, una appassionata storia d’amore, e nel 1938 fu protagonista del drammatico Senza volto.
Quello stesso anno, a Berlino, grazie alla buona padronanza della lingua tedesca appresa in famiglia, interpretò Quattro ragazze coraggiose. Di lì a poco, per il remake di Intermezzo, fu chiamata a Hollywood dove si recò con il marito e la figlioletta Pia. Negli Usa rimase inizialmente un anno per valutare la situazione, nonostante le proposte allettanti che la volevano lanciare come la nuova Greta Garbo; rientrata in Europa per impegni del coniuge diventato neurochirurgo, decise di ritornare stabilmente in America anche a causa della guerra che ormai stava travolgendo il vecchio continente. Furono gli anni in cui fu protagonista di grandissimi successi, entrati nella storia del cinema, che le dettero fama internazionale e i massimi riconoscimenti, ma in cui riuscì purea dimostrare di essere una interprete accorta, di saper scegliere con oculatezza i ruoli, di non volersi piegare alle consuete imposizioni dello star-system, di affermare sé stessa badando più alla qualità, che ai compensi. Nel1941, girando Il dottor Jekyll e mister Hyde, con Spencer Tracy, mostrò la sua tenacia nel rifiutare la parte della brava ragazza, preferendo invece quella della giovane vittima del diabolico dottore.

Un vero colpo di fortuna e di genio fu quando accettò di partecipare a un film a basso costo: era il 1942 e Casablanca, a fianco di Humphrey Bogart, fu un successo planetario che non cessa di essere amato, a distanza di 80 anni! Vicenda appassionante di guerra, amore, coraggio, patriottismo, non manca nessun ingrediente per renderlo un cult, vincitore di tre Oscar, ritenuto fra i migliori film statunitensi di sempre; è anche passato alla storia per la canzone suonata al pianoforte (As time goesby) e la battuta «Play it once, Sam!», parafrasata da Woody Allen (Play it again, Sam!). Il celebre scrittore spagnolo Manuel Vilas ha affermato in un’intervista recente (L’Espresso, 24 luglio2022) di aver rivisto la pellicola, durante il lock-down, «5-6-10 volte» e di avervi trovato la risposta per reagire a «una tragedia collettiva, guerra, crisi economica, totalitarismi, pandemia: innamorarsi».

Nel 1943 Bergman ebbe la sua prima nomination all’Oscar grazie al bel ruolo della partigiana Maria nel film in tecnicolor Per chi suona la campana, ambientato durante la Guerra civile spagnola, tratto dal romanzo di Hemingway, con un partner di spicco come Gary Cooper, al culmine del suo fascino, uno dei pochi colleghi che non dovevano ricorrere a trucchi per sembrare più alti di lei. L’anno seguente arrivarono il Golden Globe e l’Oscar con Angoscia, diretto da George Cukor, un thriller in cui è intrappolata in un piano diabolico. Poi fu la volta di Saratoga e di Le campane di Santa Maria per cui di nuovo fu candidata all’Oscar e ricevette il Golden Globe. Nel 1945iniziò la collaborazione con Alfred Hitchcock, grazie a Io ti salverò, in cui è una dottoressa che riesce a curare le turbe di un uomo (Gregory Peck)oppresso da amnesie e incubi.

L’anno successivo fu di nuovo fortemente voluta dal regista e incontrò il suo compagno di lavoro preferito, Cary Grant, che considerò sempre un caro amico; il film realizzato fa parte della storia del cinema e non si può non apprezzare ancora oggi incondizionatamente: Notorious.
Spionaggio, suspense, amore, inganni, complotti mentre la piccola chiave della cantina adibita a loschi traffici passa di mano e diventa a sua volta un elemento centrale della vicenda.
Un ruolo ha anche il contrasto fra luce e ombra, abilmente sfruttato in una serie di intriganti primi piani, dei volti e dei singoli oggetti, opera di Ted Tetzlaff.
A questi successi seguirono però alcune delusioni come Arco di trionfo e Giovanna d’Arco, prodotto da lei stessa e molto costoso, che le fruttò una nuova nomination per la splendida, sofferta interpretazione. Anche Il peccato di Lady Considine, pur diretto da Hitchcock, non ebbe grandi incassi e l’attrice cominciava a convincersi che le produzioni hollywoodiane non le fossero del tutto congeniali, legate come erano al successo commerciale; anche il rapporto con il marito si stava deteriorando per la lontananza, visto che esercitava la sua professione sulla costa opposta degli Usa. A questo punto avvenne ciò che è risaputo: sulla spinta dell’amico Robert Capa, il celebre fotografo, si avvicinò al cinema europeo e la visione di Roma città aperta e di Paisà le aprì un mondo tutto da scoprire.
Prese carta e penna e scrisse a Roberto Rossellini la famosa offerta di collaborazione. Stava per iniziare una nuova fase della sua carriera e per dare una svolta alla sua esistenza di donna. Il regista italiano la incontrò a Parigi e ne fece subito la protagonista del suo nuovo drammatico film, Stromboli (1950), per cui Ingrid ebbe il Nastro d’argento; tuttavia la pellicola non riscosse, specie negli Usa, un grande consenso anche a causa della relazione fra i due che il moralismo puritano non accettava. Mentre il marito dell’attrice otteneva l’affidamento di Pia, nasceva Robertino; nel 1952 nacquero le gemelle Isotta e Isabella, dopo che la coppia si era potuta unire in matrimonio in Messico. I film girati in Italia non furono tutti dei capolavori, nonostante le innegabili doti di Rossellini, abituato a un modo di dirigere estemporaneo che la moglie non condivideva molto, e le importanti tematiche sociali affrontate, in quel difficile dopoguerra. Così, dopo Europa ’51(altro Nastro d’argento), in cui è Irene, una donna dedita al prossimo come una novella san Francesco, divisa fra santità e follia, ebbe un ruolo assai moderno e originale in Viaggio in Italia (1954), che piacque parecchio alla critica francese.
Fu anche la spiritosa interprete di sé stessa in un episodio di Siamo donne, mentre in La paura, tratto da una novella di Zweig, è una dirigente d’azienda implicata in una complessa vicenda di ricatti e inganni. Sarà l’ultima opera del marito a cui parteciperà. Ingrid decise infatti di ritornare al teatro con l’oratorio Giovanna d’Arco al rogo, su testo di Paul Claudel e musiche di Arthur Honegger, che portò in una lunga trionfale tournée e di cui lo stesso Rossellini realizzò una preziosa versione filmica. Nel 1956 ci fu una nuova svolta: a Parigi girò un film brioso, quasi burlesco: Eliana e gli uomini di Jean Renoir, una sorta di parodia del mito della bella Elena, non del tutto compreso dalla critica e dal pubblico; intanto Hollywood fece pace e le offrì un ruolo che non poteva rifiutare, e infatti le fruttò il secondo Oscar.
Stiamo parlando di Anastasia, diretto da Anatole Litvak, biografia romanzata dell’ipotetica sopravvissuta alla strage dei Romanov durante la Rivoluzione russa. Bergman ebbe anche il David di Donatello, il Golden Globe e il premio della critica di New York; lei, come sempre, fu assai brava e convincente, ma di lì a poco dette il meglio di sé in pellicole più interessanti e di maggiore spessore, come Indiscreto (1958) e La locanda della sesta felicità.
La prima è un gioiellino, una commedia rosa a fianco di Cary Grant in un ruolo perfetto di scapolo impenitente, bello e raffinato, deciso a non legarsi, mentre lei, Anna, è una attrice di successo sempre delusa in amore.
Di tutt’altro genere, a dimostrazione della versatilità di Bergman, l’altro film, del medesimo anno, in cui interpreta un personaggio realmente esistente: Gladys Aylward, una missionaria laica in Cina, che si adoperò per la salvezza di numerosi bambini e bambine durante l’invasione giapponese. Proprio in questo periodo, mentre la carriera era ripresa in grande stile, la vita coniugale subiva una crisi profondissima: Roberto Rossellini era andato per lavoro in India e, al ritorno, portò con se una nuova compagna, mentre Ingrid incontrò un impresario teatrale svedese che divenne presto il terzo marito. A questo punto l’attrice decise di vivere sempre più a lungo in Europa, dividendosi fra la Svezia e Parigi, e poi Londra, per stare vicina al figlio e alle figlie, specie in alcuni momenti difficili come la convalescenza di Isabella, reduce da un intervento; accettò qualche ruolo per la televisione e comparve sporadicamente sui palcoscenici riscuotendo grandi successi.
Nel 1961 ritornò al cinema con Le piace Brahms?, tratto dal romanzo di Françoise Sagan, in cui si fece notare la bella interpretazione di Anthony Perkins. Nel 1964 girò un episodio di Una Rolls-Royce gialla e, in Italia, La vendetta della signora, tratto dalla amarissima opera teatrale di Dürrenmatt, in cui una donna ricca e raffinata ritorna nel paese di origine per mettere in atto una crudele vendetta collettiva contro chi la fece allontanare, quando era ancora giovane e povera.

Nel 1969 decise di partecipare a una deliziosa commedia con Walter Matthau, Fiore di cactus, negli studi hollywoodiani, nel ruolo di una gelida matura infermiera, pungente come un cactus, ma in grado di fiorire mostrando a sorpresa il suo vero carattere. Fu poi la volta di un film svedese non memorabile, Stimulantia, in cui tuttavia il suo episodio fu di gran lunga il più convincente.
Nel 1974 fu chiamata per un piccolo ruolo in un film dal cast prestigioso e affollato: Assassinio sull’Orient-Express, per la regia di Sidney Lumet. Le arrivò il terzo Oscar, questa volta come non protagonista; fece notizia il fatto che, al momento della premiazione, segnalasse la bravura della collega italiana Valentina Cortese, che lo avrebbe meritato più di lei. Nella pellicola, tratta dal romanzo di Agatha Christie, più volte portato sugli schermi, interpretava Greta, una gentile signora dedita alla raccolta di fondi per le missioni, che viene sottoposta a un lungo interrogatorio da parte di Poirot, una scena di ben cinque minuti senza alcuno stacco sul suo viso che avrebbe messo a dura prova chiunque, ma non lei, evidentemente.
Nel 1976 la cinematografia francese la volle omaggiare con il Premio César onorario; nello stesso anno accettò la parte della contessa Sanziani interpretata magistralmente in Nina, l’ultimo lavoro di Vincente Minnelli, girato a Romacon sua figlia Liza, malinconica riflessione sulla brevità della fama. Gli anni successivi non furono facili perché dovette sottoporsi a un intervento chirurgico e a una lunga terapia; dopo la brillante prova di Sinfonia d’autunno, che fu l’addio al cinema e le fruttò la settima nomination, scrisse una autobiografia, My Story, in collaborazione con Alan Burgess, pubblicata nel 1980.
Poco prima della morte interpretò l’ultimo importante ruolo in una serie televisiva, che le portò un Emmy Award postumo; aveva vestito per l’occasione i panni di Golda Meir, una donna dal forte peso politico a livello internazionale, certo ben diversa da lei fisicamente, infatti era dovuta ricorrere a un pesante trucco per rendere al meglio il personaggio, cancellando la sua bellezza ancora luminosa. Su Hollywood Boulevard una stella la ricorda fra le tante celebrità che hanno dato lustro alla cinematografia americana, mentre, soprattutto in occasione del centenario della nascita, si sono susseguite retrospettive ed eventi, le è stato dedicato un documentario (Io sono Ingrid) e il suo enorme archivio personale, insieme ai primi film recuperati e restaurati, è stato donato alla Wesleyan University, a Middletown, nel Connecticut.
Nel 1984 una coppia di coltivatori danesi ha creato in suo onore una nuova specie di rosa, dal colore rosso scuro, assai grande, con petali doppi, vellutati e un delicato profumo; la pianta è robusta e resistente, la fioritura dura a lungo, fino alla stagione invernale. Bellissima e raffinata, proprio come Ingrid.
***
Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.