Vittorio Gassman

«Attore, regista, poeta, sceneggiatore, ideatore di programmi» (Mariolina Cannuli in: Storie della TV. Vittorio Gassman, il mattatore).

Una figura complessa, un personaggio di cui resta difficile cogliere un punto fermo, un momento in cui si può dire: ecco, comincio a raccontarlo da qui. La scelta di scrivere su di lui credo non sia stata ben ponderata, forse dettata da una specie di comunanza toponomastica; l’ufficio dove lavoro si trova infatti sulla stessa piazza dove ha abitato per otto anni «alcolici» in una villa di cinque piani, mentre alla fine degli anni Novanta ho lavorato per qualche settimana in via Angelo Brunetti, e a volte condiviso con lui il bancone del vicino bar per un caffè. O forse dalla richiesta di una sigaretta avvenuta un giorno a quel bancone, una richiesta che mi fece immaginare il mondo di un Grande costretto a elemosinare sigarette da sconosciute e fumarle di nascosto. Invece, come da lui ammesso più volte, l’ennesimo tentativo di smettere di fumare, il fallimento di una promessa fatta alla nascita di Alessandro e ripetuta a quella di Jacopo.
«Lo spettacolo, e l’arte in genere, sono all’insegna della felicità. Che è la felicità del comunicare». Cercando documentazione su Vittorio Gassman, ho trovato molto materiale; negli anniversari che lo riguardano si torna a parlare soprattutto della sua vita privata, vita che ha scelto di mettere a nudo con una capacità insita nella generosità del suo carattere.
«Antipatico» per sua stessa ammissione, già dal primo impatto visivo: l’altezza fuori dalla norma, la postura eretta di chi è cresciuto praticando sport, il profilo tagliente, tutto contribuiva a mettere in soggezione chi gli si avvicinava. Forse è per questo che nei primi anni di lavoro utilizzava il suo corpo in modo eccessivo, esagerando nei duelli, rotolando, saltando, fino al rimprovero da parte di Silvio d’Amico sulla necessità di smetterla di fare il saltimbanco e tirare fuori le altre sue qualità.
Ma il grande lavoro di approfondimento e di studio che portò avanti per tutta la vita, coinvolse appieno anche il linguaggio del corpo, così come lo vediamo negli archivi tv (il torero ne Il Mattatore del 1959), nei filmati girati durante Gassman: sette giorni all’asta (1977, una maratona teatrale in cui l’attore restò per sette giorni in teatro a completa disposizione del pubblico), o nella postura di personaggi come “Peppe er pantera” (I soliti ignoti, 1958) e Giovanni Busacca (La grande guerra, 1959). Proprio con questi due personaggi arriva per Gassman il successo presso il grande pubblico: smessi i panni dell’antagonista bello e maledetto (Riso amaro del 1949, oltre ai personaggi dei film del periodo hollywoodiano) e indossati quelli del balbuziente Peppe o del disertore Busacca, il pubblico lascia da parte l’antipatia e lo accoglie, fino al grande successo di Brancaleone (L’armata Brancaleone, 1966).

L’immensa filmografia – sono arrivata a contare120 titoli – contiene molti lavori che Gassman ammette siano dovuti a necessità «alimentari»: non se ne vergogna, ma se possibile evita di nominarli e di alcuni si è anche dimenticato. La sua prima prova di regia cinematografica è del 1956 (Kean: genio e sregolatezza), la seconda arriva dopo oltre un decennio: una regia collettiva (L’alibi, 1969) con Adolfo Celi e Luciano Lucignani; dopo tre anni, nel 1972 lo ritroviamo a dirigere da solo sé stesso e Paolo Villaggio in Senza famiglia, nullatenenti cercano affetto. E dopo un altro decennio, l’ultima regia è insieme al figlio Alessandro: l’autobiografia Di padre in figlio (1982), a cui partecipano i vari elementi della famiglia e diversi amici, nei ruoli di se stessi. «… L’amicizia come sentimento, amicizia proprio nel senso di gusto del clan, della cospirazione collettiva… A scopi positivi di piacere… Pensavo alla comunità, ero un utopista alla Fourier…». Ma nonostante la grande produzione, il cinema non rappresenta la priorità di Gassman; al primo posto c’è il teatro, anche se non era quella la carriera a cui si era predisposto.

Fu infatti sua madre a spingerlo a iscriversi alla Reale Accademia d’Arte Drammatica, mentre Vittorio si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza (ma del resto il ruolo dell’avvocato in aula non è così distante da quello dell’attore sul palcoscenico). Compagni di Accademia furono un gruppo di artisti la cui amicizia durò per tutta la vita: Luciano Salce, Luciano Lucignani, Adolfo Celi, Vittorio Caprioli, Mario Landi. L’amicizia con Luigi Squarzina, nata ancora prima sui banchi del ginnasio, si interruppe, invece, bruscamente in età adulta per quello che Gassman sentì come «un “crimine” che si svolgeva all’interno proprio del senso del patto di sangue» tra amici. Gli amici del gruppo lavorano insieme sia al cinema che al teatro, nelle compagnie che si formano e si sciolgono di stagione in stagione.

Tra il 1950 e il 1952 Gassman è capocomico e primo attore al “Teatro Nazionale”, dove esordisce nella regia teatrale con il Peer Gynt di Ibsen. Nel 1952 fonda e dirige con Squarzina il “Teatro d’Arte Italiano” attivo fino al 1955, con cui porterà in scena per la prima volta in Italia la versione integrale dell’Amleto e, nel 1955 Kean: genio e sregolatezza di Dumas-Sartre. «Lui ha un carattere così debordante che quel termine “mattatore”, che appartiene al gergo teatrale, gli si addice perfettamente. Il mattatore è quello che si prende la scena, esce dagli schemi. È quello che deborda. E chi più debordante di Vittorio Gassman?» (Aldo Grasso in Storie della tv – Vittorio Gassman, il mattatore).

Le prime apparizioni televisive di Gassman risalgono al 1955, quando la Rai trasmette il Kean e l’Amleto, i suoi due cavalli di battaglia teatrali. Questo accade perché il direttore dei programmi era Sergio Pugliese, grande amante del teatro, che condivideva con Gassman l’idea della televisione come strumento di diffusione del teatro. In più, Gassman riteneva che la funzione didattica andasse oltre: infatti, ne Il mattatore, inserisce testi letterari, teatrali e poetici, che trasmette utilizzando tutti gli strumenti messi a disposizione dalla sua capacità comunicativa. «Gassman ha cambiato pelle parecchie volte, gli piaceva cambiare ruoli, fare veramente l’attore come saltimbanco. Diceva: “Io sono un saltimbanco”. Il Mattatore, mi ricordo, è stato un programma rivoluzionario, lì c’era il primo Gassman che si “smontava” in tanti Gassman per dimostrare che poteva fare tante cose» (Pippo Baudo in Storie della tv – Vittorio Gassman, il mattatore). «La televisione al suo apparire si presentava come uno spauracchio, soprattutto per la gente di teatro. Si vedeva in lei una concorrente temibile, un nemico naturale del teatro. Bene, oggi a distanza di dieci anni possiamo dire che questa paura si è rivelata infondata, anzi la televisione è stata spesso una collaboratrice, una propagandatrice, un’amica del teatro, e particolarmente direi di un teatro inteso in un senso vastamente popolare. E si è rivelato un mezzo straordinario di diffusione nelle grandi masse, nelle province, presso tutti gli strati di pubblico, e particolarmente in quelli umili, popolari, dell’idea, del senso, e dell’importanza del teatro» (1964). È proprio mentre è alle prese con la scrittura e la realizzazione de Il mattatore, che l’dea di portare il teatro al popolo esce dalla televisione e si trasforma in qualcosa di diverso di cui discute con Salce per diversi mesi: un apparato mobile per trasportare il teatro nelle piazze italiane con prezzi popolari.

Nasce il Tpi, il “Teatro popolare italiano”, una struttura che si amplia man mano che viene progettata e costruita: tremila posti, un palcoscenico con boccascena di 30 metri e 20 di profondità, dove portare in scena la cavalleria dell’Adelchi, un’idea che deborda da quella originaria di un “carro di Tespi”. Dalle iniziali 48 ore programmate da contratto per montare la tenda, ai 40 giorni che ci vollero la prima volta al Parco dei Daini di Villa Borghese, ridotti a due settimane una volta presa confidenza con la struttura.

TPI: copertina della rivista: https://www.maremagnum.com/libri-antichi/tpi-teatro-popolare-italiano-diretto-da-vittorio-gassman/151981002; TPI: Villa Borghese – Tendone da circo del teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman. 15 febbraio 1950, Chicago Tribune, Archivio Roma Sparita https://www.romasparita.eu/foto-roma-sparita/127780/127780

La sera della prima, il 3 marzo 1960, la messa in scena dell’Adelchi ottenne un incasso di 5 milioni: un record di presenze che proseguirà in giro per l’Italia, in piazze che non avevano mai visto una rappresentazione teatrale, muovendosi con l’accompagnamento di boicottaggi, tentativi di incendio, attacchi dalla stampa di destra, finché la macchina teatrale che si muoveva in una colonna di 48 camion, si arenò a Milano con la rappresentazione di Un marziano a Roma di Flaiano. All’enorme successo di pubblico avuto fino a quel momento, non corrispose un successo finanziario: tutt’altro.

Gassman sperava che il governo avrebbe sostenuto il Tpi come già accadeva in Francia al Tpn di Jean Vilar. «La verità è che, nel 1960, la semplice denominazione di Teatro popolare destava sospetti e animosità politiche, a cui si aggiungeva la scoperta ostilità delle istituzioni teatrali». Il Tpi era un progetto complesso non solo dal punto di vista tecnico: al teatro viaggiante si affiancavano un teatro-studio diretto dallo stesso Gassman insieme a Lucignani, e la rivista TPI – Teatro Popolare Italiano – nata nel 1959, attraverso cui diffondere la conoscenza del lavoro preparatorio e di studio. «Che cos’è un teatro popolare se non un teatro che (…) soprattutto si proponga uno stile chiaro e intelligibile, spettacoli che possono arrivare a qualsiasi categoria di spettatori con il fascino di un grande testo, sì, ma anche con una più immediata e diretta violenza di emozioni?».

Riunione della Compagnia del Teatro Popolare Italiano Vittorio Gassman, Valentina Fortunato, Olga Villi ed altri attori della compagnia leggono un copione seduti ad un tavolo, Archivio luce, Fondo DIAL

Il fallimento del Tpi non è, per Gassman, una sconfitta personale, ma quella di un sistema che teme il rinnovamento. «Mi interessa di più una linea sperimentale perché credo che in Italia la carta dell’Accademia sia stata troppo frequentemente battuta e con scarsi risultati». Troverà quindi altre modalità come, ad esempio, in Sette giorni all’asta e, soprattutto, trasporterà la metodologia applicata dal teatro-studio nella Bottega teatrale di Firenze, una scuola che, nel suo nome, esprime l’idea del lavoro artigianale che l’attore deve svolgere su se stesso per essere in grado di portare allo spettatore l’«immediata e diretta violenza di emozioni».
Un sogno che Gassman non riuscirà a realizzare è quello di una scuola a Roma, in un cortile di via Angelo Brunetti, dove si affacciano le finestre della casa che ospitò Leopardi.

È arrivato il momento di chiudere questo mio ricordo di Vittorio Gassman. Non ho parlato della sua famiglia, della produzione di scrittore e di adattatore di testi teatrali, della maggior parte dei suoi lavori in teatro e nel cinema, delle donne della sua vita, delle case in cui ha vissuto, dei premi ricevuti, della sua carriera sportiva. Come per l’apertura, è difficile anche trovare un punto di conclusione, quindi lascio la chiusura nella risposta che lui stesso dà alla domanda: Che cos’è l’attore? «È una via di mezzo tra un sacerdote e una prostituta, ed è una sensazione molto piacevole di cui ringrazio Iddio».

Per saperne di più:
Giacomo Gambetti: Vittorio Gassman, Gremese 1999
Vittorio Gassman: Un grande avvenire dietro le spalle. Vita, amori e miracoli di un mattatore narrati da lui stesso, Milano, 1981
Gassman racconta Gassman, 1967
Maurizio Porro: Vittorio Gassman. Ritratto d’attore, documentario
Storie della tv. Vittorio Gassman, il mattatore, documentario RAI
Italo Moscati: Vittorio Gassman, uomo e mattatore Archivio Multimediale degli Attori Italiani, Firenze University Press, 2012.
http://memoria-attori.amati.unifi.it/S300?idspettacolo=90456
“Storie”: Gianni Minà intervista Vittorio Gassman
Vittorio Gassman: Nasce il teatro popolare italiano, Sipario n. 166 febbraio1960.

***

Articolo di Rosalba Mengoni

Rosalba Mengoni 400x400

Laureata in scienze storiche, si è occupata della diffusione della conoscenza del patrimonio culturale del territorio di Fiumicino, soprattutto nelle scuole e della sua accessibilità alle persone disabili. Collaboratrice tecnica all’ISEM – Istituto di storia dell’Europa Mediterranea del CNR, è nel comitato di redazione di RiME – Rivista Mediterranea, gestisce Isemblog e cura il periodico Bibliografia Mediterranea sullo stesso blog.

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