Nata prematuramente il 23 giugno 1940 a Clarksville (Tennessee), Wilma Rudolph dimostra da subito una forte determinazione che la porta a superare varie difficoltà. Emerge, infatti, da un contesto negativo, fatto di lotte contro povertà e razzismo. Ventesima di ventidue figli, Wilma proviene da una famiglia nera di origini umili: il padre si arrangia come facchino e la madre come domestica. Nei primi anni di vita soffre di diverse malattie: a colpirla sono la polmonite, la pertosse, il morbillo, la scarlattina e infine la paralisi infantile causata dal poliovirus, che le fa perdere l’uso della gamba sinistra alla tenera età di cinque anni.
Wilma soffre anche per la mancanza di cure mediche disponibili per i residenti afro-americani della sua città natale. Dopo aver portato il tutore alla gamba per sette anni, riceve cure mediche adeguate a Nashville, a circa 80 km da Clarksville. Le cure, l’aiuto della famiglia e la grande forza di volontà personale, le permettono di riacquisire l’uso della gamba, tanto da iniziare a giocare a basket a scuola. Qui è notata da Ed Temple, allenatore della disciplina di velocità della Tennessee State University e figura che si rivelerà fondamentale per il suo futuro. Convince, infatti, Wilma a lasciare la pallacanestro (nonostante la media di 32 punti a partita) per l’atletica leggera. Continua, però, per lei un periodo fatto di compromessi: negli anni Cinquanta, le ragazze che praticano sport non beneficiano di borse di studio, ma soltanto di lavori part-time ricavati qua e là. In qualità di ragazza nera, poi, supera ben altri ostacoli, come i cartelli “Whites only”, i pochi motel disposti a ospitarla nei viaggi per le competizioni e l’angoscia di comportarsi sempre bene. Nel 1956 Wilma debutta come velocista appena sedicenne alle Olimpiadi di Melbourne, conquistando il bronzo nella staffetta 4x100m. Tornata a casa, iniziala preparazione per le Olimpiadi di Roma del 1960, preparazione accantonata per un anno a causa della sua prima gravidanza. Supera così la credenza che fare sport renda le donne simili agli uomini e impedisca loro di avere figli. Wilma riprende la preparazione atletica dopo poco tempo. Il giorno prima di correre i 100m a Roma, rischia di saltare le gare per una distorsione alla caviglia, ma tutto va per il meglio. Vince la staffetta da 100m in 11 secondi (eguagliando il record mondiale), da 200m in 23,2 secondi e la 4×100m, conclusa col nuovo record mondiale di 44,5 secondi. Si qualifica come la prima donna americana a vincere tre medaglie d’oro in una sola edizione delle Olimpiadi.

Le Olimpiadi di Roma, le prime trasmesse in televisione, amplificano a livello globale l’entusiasmo per la sua vittoria. Riceve vari appellativi: da “Gazzella nera” secondo gli italiani a “Perla Nera” per i francesi. Al suo ritorno a casa, acconsente ai festeggiamenti in suo onore, ma chiede che non sia un evento segregato e la sua richiesta è ascoltata.
Un anno dopo il suo ritorno negli Stati Uniti, viene invitata alla Casa Bianca dall’allora presidente John Fitzgerald Kennedy, che le confessa di essere stato colpito dalla sua performance.

Nel1962 decide di ritirarsi dall’attività agonistica a soli ventidue anni. Nel1963 si laurea in Scienze dell’educazione e inizia a lavorare come insegnante di educazione fisica, allenatrice di atletica, commentatrice sportiva e assistente alla regia. Dopo un tour di un mese in Africa, partecipa nella sua città natale a una protesta di più giorni in un ristorante che nega il servizio agli afroamericani, ricevendo intimidazioni, aggressioni verbali e fisiche dai bianchi locali. Nonostante ciò, il sit-in porta alla desegregazione dei ristoranti di Clarksville.
Dopo due matrimoni e quattro figli, Wilma affronta il tumore al cervello. Muore a soli 54 anni il 12 novembre 1994 a Brentwood, un sobborgo di Nashville. Nella sua breve vita, Wilma Rudolph dà un contributo essenziale all’abbattimento delle barriere di genere in eventi di atletica leggera dedicati esclusivamente agli uomini, come i Millrose Games. Insieme ad altri atleti, tra cui il tennista Billie Jean King, sostiene la parità di genere nello sport e discute sul divario retributivo nell’atletica e altrove. Diviene un modello per le generazioni successive di atlete afroamericane e uno dei simboli più rilevanti della lotta per i diritti civili, per i diritti delle donne e per la causa afro-americana. Dà vita anche alla Wilma Rudolph Foundation per incentivare la possibilità per bambini e bambine di fare sport. Vari sono i riconoscimenti ricevuti a livello internazionale. Tra questi da ricordare è il James Edward Sullivan Award, il più alto riconoscimento per un atleta dilettante negli USA. È introdotta nella National Black Sports and Entertainment Hall of Fame e anche nella National Track and Field Hall of Fame. La Tennessee State University le dedica un dormitorio di sei piani, intitolandolo Wilma G. Rudolph Residence Center.
Le sono state dedicate, infine, targhe stradali, come a Fidenza (Pr).

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Articolo di Delia Zampetti

Dopo la maturità classica, si appassiona al mondo della comunicazione. Oggi è laureata in Scienze della Comunicazione e si sta specializzando presso la Sapienza. Tra un libro e l’altro collabora con Toponomastica femminile.