Jeannette Villepreux Power, la “Dama degli Argonauti”

Esattamente 150 anni fa, il 25 gennaio 1871, a Juillac, un centro montano nel cuore della Francia, muore quasi nell’oblio Jeannette Villepreux Power, la naturalista che nel 1832 ha inventato in Sicilia il moderno acquario per le sue ricerche nel campo della biologia marina e che fu definita la “Dama degli Argonauti” per le sue scoperte relative all’Argonauta Argo.

Anne-Lan, Jeanne Villepreux Power à Messine

Secondo la tradizione («Il était un jour une bergère»), fino a 18 anni Jeannette Villepreux vive come una pastorella nelle campagne di Juillac, dove è nata il 25 settembre 1794. In ogni caso, nel 1812 è a Parigi dove lavora come ricamatrice in un atelier che realizza abiti per la casa reale ed è talmente brava che nel 1816 ricama il vestito per le nozze della principessa Maria Carolina di Borbone, nipote del re Ferdinando I delle Due Sicilie, con il duca di Berry, nipote del re di Francia Luigi XVIII. È in questo periodo che Jeannette conosce James Power, un mercante inglese residente a Messina, ed è per lui che nel 1818 lascia Parigi per andare a sposarsi e a vivere in Sicilia con lui per 25 anni.
Nella città dello Stretto Jeannette “scopre” per la prima volta il mare e questa scoperta segnerà una svolta nella sua vita. Da autodidatta, comincia a conoscere, osservare, studiare, catalogare le risorse nelle acque locali. Piuttosto che frequentare i salotti e le riunioni mondane della borghesia mercantile, Jeannette preferisce studiare le scienze naturali ed entrare in contatto con l’ambiente scientifico cittadino. Il lungo periodo trascorso a Messina può essere suddiviso in due fasi. La prima, all’incirca tra il 1818 e il 1832, è la fase della formazione, della preparazione teorica, dello studio e dei primi contatti con scienziati e studiosi. La seconda, tra il 1832 e il 1843, è quella delle osservazioni sistematiche, delle invenzioni, degli esperimenti e delle scoperte comunicate prima agli amici messinesi e all’Accademia Gioenia di Catania e poi anche alla comunità scientifica internazionale. Il suo “laboratorio a cielo aperto” è lo specchio d’acqua del porto di Messina che è «giornalmente valicato per la ricerca di organici marini» e che le offre «opportunità di mezzi che nessun altro sito potrebbe altrove presentare». È soprattutto l’Argonauta Argo, un mollusco cefalopode molto diffuso nello Stretto, ad attirare la sua attenzione. Sulla bella conchiglia di questo cefalopode, il Nautilus ribattezzato Argonauta Argo da Linneo, fin dai tempi di Aristotele si contrappongono due tesi: l’Argonauta Argo costruisce da solo la sua conchiglia oppure è un parassita che, come il Paguro Bernardo, si appropria della conchiglia di altri molluschi? Nell’Ottocento le due diverse correnti di pensiero fanno capo rispettivamente a Richard Owen, segretario della Zoological Society di Londra, e a Henri Ducrotay de Blainville, membro dell’Académie des sciences de l’Institut de France. Per risolvere il dilemma fino ad allora discusso solo in base a teorie e supposizioni e non attraverso esperimenti con supporto scientifico, Jeannette adotta un metodo nuovo fondato sull’osservazione diretta e, per poter osservare da vicino le varie fasi dell’evoluzione e della formazione della conchiglia dell’Argonauta Argo, inventa l’acquario che le consentirà di risolvere definitivamente l’antica questione.

«Ho fatto i miei esperimenti – ricorderà Jeannette nel 1860 – quando ho inventato l’acquario nel 1832. E, anche se studiavo gli animali marini nell’acqua di mare mantenuta al livello di calore che volevo e anche se davo il cibo adatto per ogni specie, queste esperienze non sono riuscite completamente; allora ho fatto ricorso al mare e ho inventato le gabbie. […]

La “cage à la Power” realizzata nel 1832

Queste gabbie furono denominate nel 1835, dall’Accademia Gioenia, gabiole alla Power, cages à la Power. In realtà, sono tre i tipi di acquari da lei ideati. Il primo, in vetro, è il prototipo del moderno acquario che, pieno di acqua di mare, le consente di tenere in vita, nutrire, osservare e studiare nella sua casa i piccoli molluschi necessari per i suoi esperimenti. Il secondo, in vetro ma protetto da una “gabbia” di legno, è immerso in parte in mare ed estratto per le sue osservazioni. Il terzo, che misura circa 1 metro per 2, è una gabbia di legno con 4 piccole ancore alla base che lo fissano nei bassi fondali marini e con un’apertura in alto che consente di osservare i molluschi all’interno.

Grazie agli acquari di sua invenzione e grazie all’osservazione diretta, Jeannette riesce a sciogliere l’enigma della conchiglia dell’Argonauta Argo, dimostrando per la prima volta al mondo con il suo innovativo metodo scientifico che è proprio il mollusco a “fabbricarsi” da solo la sua conchiglia e a ripararla se è spezzata, smentendo così la tesi del parassitismo. Nel 1836 i risultati delle sue ricerche sono pubblicati dall’Accademia Gioenia di Catania e sono poi inviati alla Zoological Society di Londra che nel 1839 la accoglierà come socia. È, in particolare, Richard Owen, segretario della Zoological Society, sovrintendente del British Museum e poi fondatore del Natural History Museum di Londra, a confermare la validità delle sue scoperte e delle sue invenzioni: oltre a definirla «pioniera» della biologia marina e «madre dell’acquariologia», Owen riconosce autorevolmente a Jeannette anche il primato dell’invenzione dell’acquario.

L’Argonaute, 1839
 

Nel mondo scientifico all’epoca quasi esclusivamente maschile, Jeannette conquista così il suo posto come donna di scienza (nel 1842 è socia di oltre 15 accademie scientifiche di tutta Europa). Nei 25 anni di residenza in Sicilia la giovane ricamatrice arrivata come una “Cenerentola” si è trasformata nella “Dama degli Argonauti”, cioè in una scienziata apprezzata a livello internazionale.

Come scrive nel 1836 ai soci dell’Accademia Gioenia (al 99% uomini), il suo percorso non è stato semplice: «Ho dedicato da molti anni in qua alle scienze naturali le poche ore che avanzano alle mie domestiche cure (che pochi sono in effetti gl’istanti di cui giovarsi possono negli studi le persone della mia condizione e del mio sesso)». Jeannette sembra esprimere sia il rammarico per il poco tempo che può riservare alle sue ricerche sia il timore di essere considerata una donna “fuori dai canoni” che antepone lo studio alle «domestiche cure» riservate esclusivamente alle donne: se nella Sicilia dell’Ottocento non è facile essere una donna straniera, è sicuramente ancora più difficile essere una donna straniera e per di più scienziata proprio per il rischio di apparire eccentrica rispetto al contesto sociale nel quale tende a integrarsi.

Jeannette Villepreux Power a Parigi nel 1861 (Foto di Andre A. E. Disderi. Musée d’Orsay, Paris)
 

In un contesto che esclude o emargina le donne dalle attività scientifiche, Jeannette ha il pieno sostegno del marito James Power, che Alessio Scigliani nel 1837 definisce uomo di «dolcissimo carattere» e di «maniere amabilissime» che ha «il gran merito di aver secondato il genio della moglie per le scienze naturali». Nella sua eccentricità la naturalista è indicata come modello per le giovani siciliane dallo stesso Scigliani: «L’esempio della Power che, malgrado tante occupazioni scientifiche, non trascura gli affari domestici, anzi v’intende moltissimo, e che può servir alle madri di famiglia, m’incoraggia a proporlo, onde troncare le scuse che a siffatto annunzio dalla massima parte delle nostre donne si producono per velare la naturale loro indolenza, i difetti d’una educazione ricevuta, o che non si hanno saputo dare da loro stesse; che il genio per lo più da sé i mezzi crea».
Alla Sicilia Jeannette dedicherà due guide uniche nel loro genere perché arricchite dalle sue ricerche su flora, fauna e risorse naturali dell’isola. L’Itinerario della Sicilia, riguardante tutt’i rami di storia naturale e parecchi di antichità ch’essa contiene (1839) è una guida utile per i «naturalisti forestieri» e anche «utilissima se verrà a far parte dell’educazione della gioventù», mentre la Guida per la Sicilia (1842), oltre alla storia, ai monumenti, ecc. di «tutti i paesi ragguardevoli per antica origine» e alle notizie utili per i viaggiatori stranieri (mezzi di trasporto, ecc.), offre anche «la rubrica della Storia Naturale» e «alcuni cataloghi appartenenti alla Conchiologia, alla Tetologia, all’Ornitologia, alla Botanica, ecc.». Queste due guide possono essere considerate il suo dono d’addio all’isola nella quale ha vissuto un quarto di secolo.

Nel 1843, infatti, i Power da Messina si trasferiscono prima a Londra e poco dopo a Parigi, ma lontana dal mare Jeannette non potrà più continuare le sue ricerche di biologia marina e ben presto il suo nome, le sue invenzioni e le sue scoperte cadranno nell’oblio. Solo oltre cento anni dopo la sua morte “tornerà alla luce” grazie a uno studioso di Juillac, Claude Arnal (1930-2020), che l’ha riscoperta e fatta conoscere a tante/i studiose/i di vari Paesi e che nel 1997 ha anche ottenuto che le venisse intitolato un sito sul pianeta Venere dalla International Astronomical Union. A lei da allora sono stati dedicati libri e convegni e in Francia un’associazione fondata dalla pittrice Anne-Lan ne porta il nome. Dal 2009, inoltre, la Comunità Europea ha inserito Jeannette tra le 40 heroins of science che, come Ipazia, Ada Lovelace o Marie Curie, hanno segnato il progresso della scienza e della conoscenza.

Qui le traduzioni in inglese, francese e spagnolo.

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Articolo di Michela D’Angelo

Ha insegnato Storia moderna, Metodologia della ricerca storica e Storia del Mediterraneo all’Università di Messina. È presidente dell’Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini. Ha svolto ricerche sulla storia di Messina in età moderna e contemporanea, in particolare sulle comunità straniere e sul Cimitero degli Inglesi di Messina, oltre che sulla storia delle donne e sulla naturalista francese Jeannette Villepreux Power.

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