Giovanissima, Miriam appartenente alla generazione Y o millennials, seguendo il gergo giornalistico attuale. Dopo il liceo e la laurea in Economia politica e Istituzioni internazionali all’Università degli studi di Pavia, ha deciso di avviarsi alla carriera amministrativa, che le ha lasciato, però, del tempo prezioso, sia materiale sia mentale, per desiderare di cimentarsi in qualcosa di più coinvolgente e impegnativo a livello emotivo e sociale: così è arrivata a scrivere il suo primo romanzo L’isola di Sara, punto di arrivo rispetto alla rielaborazione delle sue origini e delle sue esperienze più significative, punto di partenza di nuovi progetti, che l’attendono sul suo cammino.
Andiamo a conoscerla meglio, ponendole alcune domande che potrebbero essere di utile esempio per tante altre ragazze.
Hai sempre amato scrivere o ci sono state esperienze particolari che ti hanno condotto a esprimerti in questo modo?
L’amore per la scrittura e per i libri è nato con me. Se vado indietro con la memoria ricordo di aver imparato a leggere ancor prima di iniziare la scuola dell’obbligo.

Adoravo le lezioni d’Italiano e ho sempre affrontato i temi con molto piacere. Partecipavo a concorsi ed eventi di scrittura senza nessuna costrizione esterna e quando al liceo statale Maffeo Vegio venne introdotto il giornale d’istituto, L’Inpertinente, sono entrata nel gruppo delle giornaliste con enorme entusiasmo. Nel 2012 ho iniziato a collaborare con il mensile locale della mia città attuale, Lodivecchiomese. Oltre a una predisposizione naturale ho avuto l’enorme fortuna di incontrare nella mia vita di studente docenti capaci di incoraggiarmi, stimolarmi e aiutarmi a scoprire gli strumenti necessari per esprimere ciò che avevo dentro. Gran parte del mio gusto letterario si è affinato ai tempi del liceo grazie ai libri consigliati dalle insegnanti. Tutto questo bagaglio me lo sono portata dietro anche una volta terminati gli studi e lo reputo un tesoro inestimabile a cui spesso mi sono aggrappata per superare le grandi e piccole difficoltà della vita.
Per te la scrittura risulta un processo semplice e spontaneo oppure richiede un duro lavoro di affinamento e perfezionamento?
Entrambe le cose. Se penso al processo che ha preceduto la pubblicazione de L’isola di Sara vedo un alternarsi di creatività a tanto lungo lavoro di costruzione, correzione e miglioramento. Nella prima bozza del romanzo avevo utilizzato per lo più il passato prossimo, cosa che di per sé non costituisce un errore grammaticale, poi però mi sembrava appiattisse la storia e, illuminata dai consigli dello scrittore Hans Tuzzi, ho provato ad accompagnare i salti temporali del romanzo con l’utilizzo di altri tempi verbali come il passato remoto. Cercare di assecondare il ritmo della storia con le parole è stato un lavoro senza dubbio di affinamento. Le protagoniste, i personaggi secondari con le loro personalità e l’intreccio di vite sono venuti fuori quasi spontaneamente, poi però è seguito tutto un lavoro di mitigazione delle ingenuità dell’esordiente che sono inevitabili nel primo romanzo.
Da cosa è dipesa la tua scelta della facoltà universitaria e del tuo lavoro attuale? Rifaresti queste scelte?
Tutta colpa dell’amore! Lo stesso Dante concluse la sua Commedia con il famoso verso «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Scherzi a parte, durante l’ultimo anno di liceo stavo già con Alberto, il mio compagno. Lui avendo tre anni in più di me frequentava l’università e capitava molto spesso di aiutarlo a preparare gli esami. Il programma triennale di Scienze Sociali per la Cooperazione e lo Sviluppo Internazionale, che ha preceduto la specialistica in Economia Politica, era attuale, stimolante e mi sembrava la naturale prosecuzione delle esperienze che più avevo apprezzato al Liceo delle Scienze Sociali. Oltre ai normali Open Day organizzati dalle scuole, la vicinanza di Alberto mi ha dato l’opportunità di vedere molto da vicino che cosa sarei andata a studiare e ovviamente questo ha avuto un’enorme influenza nella scelta. A volte mi capita di mettere in dubbio le scelte compiute, soprattutto quando sento tutto il peso del lavoro d’ufficio che a tratti soffro, ma se mi guardo indietro non rimpiango nulla. L’Università degli studi di Pavia è stato un ambiente stimolante che mi ha fornito molte chiavi di lettura per analizzare il mondo e i fatti attuali, non sarei ciò che sono se avessi fatto altre scelte.
Illustraci le tematiche fondamentali del tuo romanzo: quanto c’è di autobiografico e quanto di rielaborazione della realtà attuale?
L’isola di Sara è prima di ogni cosa un inno all’amicizia e all’umanità. Ripercorre la vita travagliata di Sara e Samira, due donne diverse, divise da enormi distanze geografiche e culturali, fino al loro incontro. Attraverso questo intreccio ho potuto parlare di migrazione, lutto, sensi di colpa e violenza di genere. Si tratta di un’opera frutto di fantasia nella trama e nei personaggi, ma che prende spunto da fatti reali.

Nel raccontare il periodo di vita all’estero di Sara ho preso spunto dalle vicende dei miei nonni materni che per lunghi anni hanno lavorato in fabbrica nella città tedesca di Wuppertal. Per descrivere in maniera credibile il viaggio disperato verso l’Europa in cerca di un futuro migliore di Samira ho attinto dai ricordi di un’esperienza di stage fatta al liceo. Grazie all’associazione Lodi per Mostar, che a quei tempi si occupava di aiutare le e i richiedenti asilo, ho avuto modo di ascoltare storie di grande dolore, ma anche di immensa speranza che in parte ho voluto riportare, rielaborandole, nel mio romanzo. Per quanto riguarda la parte autobiografica, potrei rispondere prendendo in prestito la celebre frase di Gustave Flaubert: «Madame Bovary c’est moi!». Sara, Samira, Anna, Teresa, Dario, Mayer e Marina, ma persino i personaggi che certo non rimangono impressi per buone qualità, sono tutti quanti me. Ho scavato nei miei ricordi e sono andata in fondo ai miei sentimenti, tentando di delineare la psicologia di ognuno di loro. E ovviamente, anche se non lo dico mai esplicitamente nel libro, l’isola è la Sicilia, terra che mi ha dato i natali e in cui ho trascorso un’infanzia meravigliosa.
Ripensando alla tua esperienza in ambito editoriale, hai visto o vissuto differenze fra l’essere donna o uomo, rispetto a quanto la società attuale esige dall’una o dall’altro?
Se facciamo un discorso generico, l’editoria è un mondo che conta una presenza femminile rilevante. Ci sono scrittrici, traduttrici, editor, illustratrici e libraie. Inoltre, le statistiche evidenziano un numero maggiore di lettrici rispetto ai lettori. Tuttavia, come purtroppo accade in tutti gli ambiti lavorativi, anche in editoria a ricoprire i ruoli di vertice sono per lo più gli uomini. Ho letto un articolo molto interessante sul divario tra autori e autrici nella storia dei più prestigiosi premi letterari (Strega, Campiello e Bancarella): ovviamente a vincere nella maggioranza delle edizioni sono stati gli uomini. Detto questo, nella mia piccola e personale esperienza nel mondo editoriale non mi sento di dire che essere donna mi abbia penalizzato in qualche modo. Le difficoltà e le frustrazioni affrontate sono le stesse che incontrano i colleghi scrittori esordienti.

Guardandoti alle spalle, che consigli daresti a una ragazza o ragazzo giovanissimo, ancora liceale, che avesse la tua stessa ambizione verso la scrittura?
Direi loro di non farsi ingannare dal mito dell’ispirazione e del sacro fuoco che guida la mano verso la stesura di grandi opere di successo. La scrittura, ma anche ogni altro obiettivo della vita, sono il più delle volte il frutto di costanza e duro lavoro. Se sentite il bisogno di esprimervi scrivendo fatelo ogni giorno. Anche quando non ci si sente ispirate/i, scrivete poche righe, poche parole, poi le sistemerete, ma scrivete. Inoltre, leggete tanto, studiate e cercate di imparare dai classici, dalla narrativa contemporanea, dal fantasy e persino dal fumetto. Siate curiose/i verso tutte le forme di scrittura. La scrittura è prima di tutto una forma espressiva, una forma d’arte. Non illudetevi di ricavarne un compenso economico adeguato alla fatica spesa perché, metterei la mano sul fuoco, ne rimarreste deluse e delusi. Cercate di godere di questo vostro dono ed esercitatelo nella forma che più vi appaga, cercando di trovare la dimensione che più vi rende felici.
Ci vuoi parlare dei tuoi progetti futuri? Ho sempre timore di cadere in una sorta di “annuncismo” anticipando ciò a cui ancora sto lavorando, ma non credo di dire una menzogna rivelando che dopo L’isola di Sara ho continuato a scrivere e che desidero proseguire nel mio percorso di autrice. Nel cassetto ho un giallo ambientato in una zona di confine tra Francia e Spagna, con protagonista un investigatore dal passato nella Resistenza che mi piacerebbe portare alla luce da qui ai prossimi anni.

Miriam ha presentato il suo romanzo a Lodi Vecchio il 10 giugno scorso, in una serata all’aperto, affollatissima di pubblico, attento e partecipe. Non posso non dire, alla fine, con una punta di orgoglio, che Miriam è stata una mia studente liceale: le auguro una vita intensa, ricca di belle attività e soddisfazioni sia nella sfera privata sia nell’impegno sociale e culturale.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.