La metà dell’arte. Bo Bardi e Lin

La mostra permanente La metà dell’arte, al palazzo della Procura della Repubblica di Tivoli, curata da Toponomastica femminile, contempla, tra le sedici artiste scelte per rappresentare il contributo femminile all’arte del Novecento, anche la presenza di un’architetta e di una scultrice. A testimonianza che le donne hanno sperimentato, oltre alla pittura, anche l’architettura e la scultura, nonostante le tante difficoltà che queste due pratiche artistiche hanno aggiunto alle solite che le artiste hanno dovuto affrontare per lavorare e farsi conoscere.

Lina Bo Bardi (Roma, 1914 – San Paolo del Brasile, 1992)
Quella di Lina Bo Bardi è stata un’architettura dell’impegno civile, contro ogni moda fine a sé stessa, rispettosa delle tradizioni ma anche innovativa.
Nata come Achillina Bo, si laureò giovanissima, nel 1939, alla facoltà di Architettura dell’università La Sapienza di Roma, per poi trasferirsi a Milano nel 1940, dove s’inserì rapidamente nell’ambiente culturale locale. Per un breve periodo fu co-direttrice della rivista Domus, collaborò con Stile, lavorò anche per L’Illustrazione Italiana e per molte altre riviste, e nel 1943 fondò A-Attualità, Architettura, Abitazione, Arte, con Carlo Pagani e il supporto di Bruno Zevi.
I bombardamenti a tappeto del capoluogo lombardo distrussero anche il suo studio; l’infausto evento la convinse ad avvicinarsi al Partito Comunista Italiano e alla Resistenza. Nel dopoguerra documentò la distruzione che aveva colpito l’Italia attraverso un reportage per il quotidiano Milano Sera, e partecipò al Congresso nazionale per la Ricostruzione. Nel 1946 tornò a Roma e sposò il critico d’arte e giornalista Pietro Maria Bardi. Nello stesso anno, insieme al marito, invitato a dirigere il Museo d’Arte di San Paolo, si trasferì in Brasile, che diventerà la sua seconda patria. Qui trovò quella libertà espressiva che non era riuscita a ottenere in una patria devastata dal secondo conflitto mondiale. Nel 1951 ottenne la cittadinanza brasiliana. Nello stesso anno costruì a San Paolo la sua prima opera, la Casa de Vidro, sua residenza e ora sede della fondazione a lei dedicata, dove, in forte anticipo sui tempi, indagò il rapporto tra natura e architettura.
La zona–giorno della casa poggia su colonne pilotis, che permettono al paesaggio di scorrere sotto l’edificio. Grandi pannelli di vetro, rendono la maggior parte della casa quasi completamente aperta sulla natura.

Casa de Vidro, esterno, 1951 – Lina Bo Bardi
Casa de Vidro, interno, 1951 Lina Bo Bardi

Tra il 1955 e il 1957 fu chiamata a insegnare Teoria dell’architettura presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università di San Paolo, e dal 1958 a Salvador da Bahia, antica capitale afro del Brasile, tenne corsi sulla Teoria e Filosofia dell’Architettura.
Il governatore di Bahia le affidò il compito di restaurare l’antico zuccherificio Solar du Unhão, per adibirlo a sede del nuovo Mamb, Museo di Arte Moderna di Bahia. Con l’intento di valorizzare la cultura brasiliana e le sue radici, Lina conservò l’esterno coloniale del ‘600, ma al tempo stesso lo aggiornò con un design moderno. Voleva farne un luogo di formazione, un luogo attivo di conoscenza, non un mausoleo del passato.

MAMB, Museo di Arte Moderna di Bahia, 1959 – Lina Bo Bardi

Dopo cinque anni, la dittatura, che nel frattempo aveva preso il potere, la destituì dalla direzione del Mamb, e Lina, nel 1963, tornò a San Paolo, dove si impegnò nel suo progetto museale più importante, il Masp, Museo d’Arte di San Paolo, di cui il marito fu il curatore per quarantacinque anni.
Il museo non è concepito soltanto come contenitore di opere d’arte, ma è improntato anche a uno spiccato carattere divulgativo e didattico. Quattro colonne di cemento, collegate da due travi che corrono per tutta la lunghezza dell’edificio, reggono e sollevano da terra il corpo dell’edificio, un grosso parallelepipedo chiuso da grandi vetrate. L’interno ospita il museo vero e proprio. Un’altra parte del museo è sotterranea: in essa trovano posto una grande sala, due auditori e i servizi. Tra i due corpi del museo si trova un grande spiazzo coperto, l’Esplanada che porta il nome della progettista. Nel 1990 i pilastri sono stati pitturati di rosso, una soluzione non prevista nel progetto originario. Il Masp è un’icona della così detta architettura brasiliana paulista, considerato un capolavoro brutalista.

MASP,  Museo d’Arte di San Paolo, 1963 – Lina Bo Bardi

D’altra parte, difficilmente un unico stile, un’unica scuola o una singola professione possono bastare per descrivere la carriera di Lina Bo Bardi.
Sempre a San Paolo nel 1967 ebbe l’incarico di ricostruire il Teatro Oficina, un edificio degli anni ’20 parzialmente distrutto da un incendio nel 1966. Il suo progetto sovverte le gerarchie spaziali del teatro borghese: non esistono più confini tra gli attori, che si muovono in una sorta di lungo corridoio centrale, e il pubblico a cui è destinata una struttura di ponteggio che lo sovrasta.

Teatro Oficina, San Paolo, 1967 – Lina Bo Bardi

Il più impegnativo dei progetti per edifici pubblici è il recupero della fabbrica Pompéia, vecchia industria di bidoni di ferro a ovest di San Paolo, che fu trasformata in una piccola cittadella del tempo libero, completata in più fasi tra il 1977 e il 1986. Sesc-Pompéia è un gigantesco centro sociale, ricreativo, culturale e sportivo.

Sesc-Pompéia, San Paolo, 1977/1986 Lina Bo Bardi

Alla fine della dittatura del governo militare, nel 1985, Lina tornò a lavorare a Salvador da Bahia, dove collaborò alla realizzazione della Casa do Benin, un centro culturale sulle radici africane del Brasile, che nel nome ricorda la Repubblica del Benin, da dove proveniva la maggior parte degli schiavi arrivati a Bahia. Il centro ospita gallerie, laboratori didattici, un ristorante e appartamenti.

Casa do Benin, Salvador da Bahia, 1987 – Lina Bo Bardi

Durante i suoi ultimi anni Lina a San Paolo lavorò alla nuova sede del Municipio, alla Stazione di polizia e al Centro culturale Vera Cruz, una riconversione dei padiglioni dismessi di ex studi cinematografici.

Durante la sua vita ha prodotto più di seimila disegni, la maggior parte dei quali sono conservati negli archivi della Casa de Vidro. Sono disegni di mobili e gioielli, mobili economici in legno pressato o plastica, sedie con struttura in metallo con sedili e schienali imbottiti. Tra i suoi oggetti più noti si annovera la Bowl Chair, progettata nel 1951, una sedia a scodella imbottita su una struttura in metallo.

Sedia Bowl chair, 1951– Lina Bo Bardi

Disegni successivi, come la sua Cadeira Beira de Estrada (Roadside Chair) del 1967, in legno e corda, si basano su modelli antichi e materiali locali.

Cadeira Beira de Estrada, 1967– Lina Bo Bardi

Maya Lin (Athens, Ohio, 1959)
Maya Lin, designer, scultrice e ambientalista americana, è figlia di immigrati cinesi, che si stabilirono nell’Ohio nel 1948, prima della sua nascita. Proviene da una famiglia colta e artistica: suo padre era preside di Belle Arti all’Università dell’Ohio e sua madre è poeta ed ex-docente di letteratura nella stessa università; la nonna pare addirittura sia stata la prima architetta in Cina. Secondo quanto lei stessa ha dichiarato, non si rendeva nemmeno conto di essere etnicamente cinese fino a tarda età, quando ha acquisito interesse per il suo background culturale. Si è diplomata nel 1977 presso la Athens High School di The Plains, Ohio, poi ha conseguito un Bachelor of Arts nel 1981 e un Master of Architecture nel 1986 alla Yale University.

Vietnam Veterans Memorial, Washington, 1982– Maya Lin
Vietnam Veterans Memorial, Washington, 1982 – Maya Lin

Ha esordito giovanissima, ad appena ventun’anni, quando, ancora studentessa alla Yale University, vinse un concorso per la realizzazione di un Vietnam Veterans Memorial (Memoriale dei veterani del Vietnam), che fu realizzato nel 1982 a Washington. Su un muro, che a forma di V si incastra nel terreno, come una ferita, in granito nero lucido, sono scritti i nomi di circa 58.000 persone, uomini e donne, uccise o disperse durante la guerra nel Vietnam. La sua intenzione era quella di creare un’apertura o una ferita nella terra per simboleggiare il dolore causato dalla guerra. «Ho immaginato di prendere un coltello e di tagliare la terra, di aprirla». Il progetto suscitò molte polemiche, perché era in netto contrasto con il formato tradizionale di un memoriale, che di solito consisteva in una scultura figurativa ed eroica. Alla fine, fu comunque collocata all’ingresso del memoriale una statua raffigurante tre militari con una bandiera. Il monumento è diventato uno degli emblemi della capitale, tanto che nel 2007 è stato giudicato il decimo monumento statunitense più bello dall’American Institute of Architects.

Civil Rights Memorial, Montgomery, Alabama, 1989 – Maya Lin

Altri suoi lavori importanti sono il Civil Rights Memorial, del 1989, a Montgomery, in Alabama: sulla tavola circolare di granito nero l’acqua emerge dal centro e scorre uniformemente lungo una linea temporale che registra date e nomi di quarantuno persone uccise il 1955 e il 1968 nel movimento per i diritti civili. Dietro il tavolo, un sottile specchio d’acqua scorre lungo un muro ricurvo, ancora di granito nero, su cui sono incise le parole di una citazione di Martin Luther King, «until justice rolls down like waters and righteousness like a mighty stream (finché la giustizia non rotola giù come acqua e la rettitudine come un potente ruscello)».

Civil Rights Memorial, Montgomery, Alabama, 1989 – Maya Lin

La Women’s Table, del 1993, è un cilindro di granito verde che racconta il numero di donne iscritte allo Yale College dal 1701 al 1993, quando la scultura fu completata. Gli zeri segnano i primi 172 anni della storia di Yale, fino al 1873, il primo anno, si pensava, in cui le donne si registravano come studenti. Lin ha inciso i numeri su un percorso a spirale verso l’esterno dal centro di un’ellisse che rappresenta la parte superiore del tavolo.

Langston Hughes Library, esterno, Clinton, Tennessee, 1999 Maya Lin
Langston Hughes Library, interno, Clinton, Tennessee, 1999 Maya Lin

Tra i suoi successi architettonici, la Langston Hughes Library, del 1999, a Clinton, Tennessee, è stata ricavata da un vecchio fienile del 1860, che Lin ha lasciato intatto all’esterno, ricavando all’interno una struttura interna moderna: contiene una raccolta di 5.000 volumi incentrata su opere di autori e illustratori afroamericani e sull’esperienza dei neri.

Museum of Chinese, New York City, 2009 – Maya Lin

Il Museum of Chinese a New York City, del 2009, vicino alla Chinatown, ha un significato personale, essendo un progetto legato alla Cina, la cui eredità Lin vuole che le sue due figlie conoscano.
Lin è anche nota per le opere a tema ambientale, come nei suoi lavori di sterro, dove si è concentrata sul rapporto che le persone hanno con il loro ambiente, richiamando l’attenzione su questioni come il riscaldamento globale, l’estinzione/messa in pericolo di animali.

Wave Field, Ann Arbor, Michigan, 1995 – Maya Lin

Il Wave Field è il primo campo d’onda creato da Maya Lin nel 1995 presso l’Università del Michigan ad Ann Arbor: è una scultura di pura terra che occupa uno spazio quadrato e rappresenta un motivo a onde naturali, come quelle dell’oceano, che con le mutevoli ombre del sole, si trasforma completamente durante il giorno.

Confluence Project, 2005/2016 Maya Lin

Il Confluence Project (realizzato dal 2005 al 2016) consiste in varie installazioni artistiche lungo il fiume Columbia, che si ispirano alla storia della regione, e a quella delle popolazioni indigene, con riferimenti ai diari di Lewis e Clark: è un tuffo nel passato di più di due secoli e un invito a immaginare un futuro migliore per il sistema del fiume Columbia. “Confluenza” è il potere che ha l’arte di connettere chi la vive alla storia, alla cultura. Lin ha dichiarato: «Sono molto attratta dal paesaggio e il mio lavoro consiste nel trovare un equilibrio nel paesaggio, nel rispetto della natura senza cercare di dominarla».

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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