L’estate ha accantonato la preoccupazione per il Covid: non sappiamo se davvero è un capitolo chiuso ma dopo terribili anni non vogliamo pensarci più. L’informazione ci aiuta relegando in secondo piano veloci numeretti di vittime e per contro elencando con sollievo precauzioni che via via siamo tutti e tutte autorizzate ad accantonare. La vita riprende, non si può vivere in allarme per sempre.
Anche la guerra in Ucraina ha perduto priorità. Laggiù continuano a cadere le bombe ma sono finite le maratone televisive e gli speciali, tacciono esperti/e militari e specialisti/e di geopolitica. Lo spauracchio nucleare esiste ma non atterrisce come potrebbe e dovrebbe. Le angosce che introducono il nostro autunno sono già tante, forse è inutile e controproducente aggiungerne altre.
Delle dinamiche internazionali si parla soprattutto in funzione di una campagna elettorale che si presenta confusa e scomposta non solo perché imprevista e dunque improvvisata, ma perché su tutti incombe la spada di Damocle di una legge combinata male e interpretata peggio.
Non più pandemia, non più guerra, oggi aleggia un’altra parola maledetta: bollette. Lunari, spropositate, incredibili, insopportabili. Decuplicate per bilanci famigliari già esigui, arrivate a livelli tali da rovinare imprese grandi e piccole, capaci di incidere pesantemente sulla qualità della vita collettiva e sulla ripresa economica del Paese.
I giornali e le tv si riempiono di consigli sul risparmio energetico da attuare nelle case: fate docce più brevi, riducete i riscaldamenti, spegnete la luce, non lasciate gli apparecchi elettronici in stand by. Sui social impazza il dibattito surreale se la pasta possa diventare un piatto mangiabile anche a gas spento. Che massaie sprecone.
La politica annaspa e invoca in coro mamma Europa: il tetto, il tetto sui prezzi! Fissa parametri che saranno difficili da controllare, stanzia i pannicelli (caldi!) dei soliti bonus a pioggia che aumenteranno ancora il già enorme debito pubblico. Ridà slancio ai combustibili fossili (pazienza il riscaldamento globale), rispolvera il nucleare, cerca differenziazioni negli approvvigionamenti affidandosi a dittatori meno esposti di quello russo.
Davvero protagonisti/e siamo noi, tutto dipenderà da noi formichine, dalla nostra capacità di sacrificio?
Gli hedge funds delle società di gestione che spostano i miliardi della speculazione in seguito a ogni crisi e a ogni ricatto; i punti di scambio invisibili, irresponsabili di Amsterdam e di Londra che individuano di volta in volta, velocissimi, i loro bersagli – e oggi la vulnerabile Italia è il Paese più esposto; i futures, i derivati, le scommesse ribassiste, le vendite allo scoperto… quanti cittadini/e hanno idea di che cosa si tratti, di come e quanto pesino entità fantasma che mettono le mani nelle loro tasche?
Certo non ce l’hanno insegnato a scuola, ma per quale motivo i media così prodighi di parole e di immagini su tutto il repertorio possibile non hanno mai trovato il tempo di parlarne? Quale occasione migliore di questa?
Troppo per i nostri cervellini? Non è vero che ci sono cose così complesse che cittadini e cittadine “comuni” non possono comprendere. Semmai esistono persone che non sanno raccontarle in modo semplice e chiaro. O categorie che non hanno interesse a spiegarle.
Forse per introdurre parole difficili sarebbe necessario indugiare sul contesto, raccontare come mai il golem ipertrofico è scappato di mano a chi l’ha creato. Chi ci guadagna e chi ci perde.
Se il copione dei talk show anziché avvitarsi in sceneggiate ripetitive sulle battute dei vari leaderini o leaderine prevedesse un minimo di spiegazione dei modi in cui la finanza si è separata dall’economia reale e delle cause per cui i processi speculativi sono causa di instabilità, influiscono sulla vita delle persone e fanno da potente elemento di distorsione sulle decisioni delle istituzioni… forse non solo non ci ridurremmo a discutere su come cuocere gli spaghetti, ma il malcontento diffuso non si indirizzerebbe verso falsi obiettivi, il populismo non troverebbe sterminate praterie.
***
Articolo di Graziella Priulla

Già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.