C’era una volta una bambina molto precoce, sveglia e intelligente; era nata all’estremo nord della Spagna, in una famiglia di persone colte e appassionate di lettura. Il suo cammino fu indirizzato verso gli studi, in piena libertà; visti i suoi molteplici interessi, era facile prevedere per lei un futuro luminoso. Tanto luminoso da aver lasciato di sé una meravigliosa scia di conoscenze e di scoperte. Quella bambina ero io.

Ho sempre avuto chiaro un concetto che dovrebbe essere condiviso universalmente, a mio parere: la scienza è un’arte; come per l’artista sono indispensabili creatività e immaginazione, così lo sono per chi pratica la ricerca scientifica a qualsiasi livello, di qualunque genere. Credo senza falsa modestia di esserne la prova vivente. Sono nata a Serantes il 3 ottobre 1916. A tre anni sapevo leggere e studiavo il pianoforte, di lì a poco mi immergevo nei tanti libri della mamma pianista, Maria del Carmen, e del babbo Antonio, un medico appassionato di zoologia e storia naturale. A 15 anni ho concluso il liceo a Ferrol, in Galizia, e mi sono iscritta all’Università di Santiago di Compostela. Visto che già amavo ogni campo del sapere, frequentai due corsi contemporaneamente: quello di scienze e quello di letteratura, in barba a chi pensa che l’uno debba escludere l’altro. A me piacevano e sono piaciuti tutta la vita entrambi; le mie due tesi riguardarono, da una parte, gli insetti sociali, dall’altra le presenze femminili nel Don Chisciotte di Cervantes. Era il 1933. L’anno dopo entrai all’Università di Madrid perché volevo approfondire gli studi di scienze sociali, ma la Guerra civile che dilaniò il mio Paese interruppe tutto. Ritornai a casa e mi dedicai allo studio delle lingue, il francese e l’inglese in particolare. Nel 1940 la mia vita privata ebbe una svolta perché mi sposai con Eugenio Leira Manso, capitano della Marina Militare. Nel 1941 finalmente potei concludere il percorso intrapreso e laurearmi; l’anno seguente nacque mia figlia Maria, poi divenuta architetta e urbanista di successo. Per circa sette anni insegnai nelle scuole e in istituti universitari della mia regione d’origine, ma il 1948 portò grandi novità nel mio futuro di scienziata. Iniziai infatti a lavorare al Dipartimento di pesca marittima dell’Instituto Español de Oceanografia di Madrid, ma era come se non esistessi: c’ero ma non potevo avere alcun incarico ufficiale. Sembra incredibile, ma allora era sempre in vigore una legge che vietava alle donne di accedere all’Ieo, sia come studenti sia come docenti e ricercatrici, meno che mai come membri di spedizioni sul mare. Tuttavia mi fu “concesso”, visto che mi stimavano, di proseguire le ricerche e di seguire corsi per approfondire le conoscenze nel campo della oceanografia, che poi sarebbe diventato il mio. Tanto per non abbandonare i vari settori del sapere, frequentavo l’università in tre diversi ambiti: chimica analitica, ecologia delle piante, psicologia sperimentale. Nel 1951 raggiunsi i tre obiettivi, l’uno di seguito all’altro, con tre tesi e tre lauree. L’anno dopo qualcosa si mosse, la legge cambiò e finalmente fui ammessa in maniera ufficiale all’Ieo, ma nella sede di Vigo, nella mia terra; mi appassionai subito a una ricerca che in breve fu resa nota e pubblicata: le incrostazioni dei minuscoli organismi marini sugli scafi di barche e navi. Sempre nel 1952 un altro passo avanti e un altro tassello professionale: vinsi una borsa di studio del British Council che mi portò a Playmouth, in Gran Bretagna, a collaborare con la Marine Biological Association. Nel 1953 il mio record personale, quello che mi ha fatto entrare nella storia dei primati femminili: sono stata infatti la prima donna a imbarcarmi su una nave oceanografica, la “Sarsia”, per svolgere ricerche in mare aperto. Campi di azione furono essenzialmente il canale della Manica e il golfo di Biscaglia, dove mi concentrai su studi sperimentali, del tutto nuovi, sul plancton e su tre specie di organismi marini: i chetognati, i sifonofori e le meduse. Possono apparire animali meno affascinanti di altri, anche meno belli, se vogliamo, quasi invisibili gli uni, sgradevoli le altre, eppure aiutano a sapere tanto sulla condizione delle acque, sulle caratteristiche delle aree in cui vivono e si riproducono, sulla temperatura oceanica. Io devo essere loro molto grata perché mi hanno dato il massimo onore per una scienziata: un chetognato e una medusa che ho scoperto e studiato hanno infatti preso il mio nome! Si tratta dell’Aidanosagitta alvarinoae e della Lizzia alvarinoae.

Nel 1954, conclusa la parentesi inglese, ritornai a Vigo dove riuscii a coinvolgere la comunità locale e i pescatori per portare avanti le attività di campionamento delle specie marine. Dopo due anni la Commissione Fulbright mi inviò con una borsa di studio a Cape Cod, nel Massachusetts, presso la Woods Hole Oceanographic Institution. Lì feci un incontro importante: conobbi una eccellente ricercatrice, Mary Sears, che mi mise in contatto con l’oceanografo Roger Revelle, direttore della Scripps Institution of Oceanography di La Jolla, in California. Fra noi ci fu subito una grande sintonia, tanto che vi rimasi a lavorare fino al 1969, indagando sugli oceani Atlantico e Pacifico, ma anche su quello Indiano e sulle acque lungo le coste americane. Studiando i microrganismi e il plancton, sono arrivata a scoprire la medusa Lizzia, nove specie di sifonofori e dodici specie di chetognati, fra cui l’Aidanosagitta. Ventidue in totale, e non è poco.

Nel frattempo ho conseguito il dottorato in biologia, all’Università di Madrid, mentre tenevo corsi di biologia marina e oceanografia in varie sedi e in varie parti del mondo. Dal 1970, sempre negli Usa, sono entrata nel Southwest Fisheries Science Center che si occupa, per conto del Governo, di ricerche sugli oceani e l’atmosfera. Ho insegnato per alcuni periodi in università americane: dal Messico al Brasile, ma non ho mai abbandonato le indagini sul campo, partecipando fra l’altro a spedizioni lungo le coste dell’America Meridionale, fino all’Antartide, finanziate da Fao e Unesco, e ho proseguito anche dopo il pensionamento, avvenuto nel 1987.
Nel 1993 i sovrani spagnoli mi hanno insignito della Medaglia d’argento della Galizia come riconoscimento alla mia lunga e brillante carriera. Quando ho dovuto diradare un certo tipo di avventure per il passare degli anni, una nuova passione mi ha conquistato: la storia delle esplorazioni scientifiche, un campo affascinante su cui c’è molto ancora da lavorare e indagare. Mi sono occupata fra gli altri di un navigatore italiano, poco noto nel suo Paese, Alessandro Malaspina, che fu al servizio del re di Spagna a fine Settecento e svolse ricerche significative nel Pacifico e nell’Atlantico; il risultato dei miei studi è stato pubblicato nel 2002 nel libro España y la primera expedición científica oceánica, 1789-1794: Malaspina y Bustamante con las corbetas Descubierta y Atrevida che si è aggiunto ai tanti articoli e volumi già editi.
Nello stesso anno della mia morte, avvenuta a San Diego il 29 maggio 2005, l’Università di La Coruña mi ha dedicato la Settimana della scienza e una stele in pietra, mentre a Ferrol è stata apposta una targa in mio ricordo nel Campus di Esteiro. Nel 2015 la Reale Accademia delle scienze gallega per la prima volta ha dedicato il Giorno della scienza in Galizia, celebrato il 1° giugno, a una donna, ovvero a me; dal 2018 sono stata inserita nella Tavola periodica delle scienziate e compaio nel Women Tech World. Lascio per ultimo l’onore più grande, che però fa onore a tutte le donne: una nave oceanografica spagnola, varata ufficialmente da mia figlia Maria nel 2012, ha preso il mio nome, così in qualche modo continuo a viaggiare per mare grazie alla “Ángeles Alvariño”.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.