Soltanto una vita

Un’esistenza raccontata come fosse il filo rosso che tiene uniti centinaia di scampoli di stoffa. Alla fine, da quegli innumerevoli frammenti colorati, vien fuori una coperta che senza quella fibra spessa e sanguigna non sarebbe stata la stessa. Uguale nelle dimensioni e nella macrosequenza dei motivi, ma sicuramente differente nella percezione che essa dà al cribro dei sensi di chi ascolta quella narrazione.
Questo è Soltanto una vita, libro cucito da Chiara Ingrao ma tenuto insieme dalla voce – filo di Laura Lombardo Radice, donna che ha attraversato personalmente, culturalmente e politicamente quasi tutto il Novecento. Un protagonismo attivo e defilato, che le ha permesso di lanciare uno sguardo non giudicante ma consapevole su eventi, uomini e donne.
Il testo è organizzato per capitoli, aperti, tutti, da un prologo di Ingrao nel quale sono spiegati il momento storico, i fatti e i contesti familiari. A seguire, pagine scritte da Laura Lombardo Radice: lettere personali, articoli di giornale, poesie, report, dossier. Ciò che ne esce è un vero e proprio libro di storia, filtrato dal prisma di rifrazione del vissuto personale, che non sempre riesce a fornire una lettura completamente condivisibile o, ovviamente, oggettiva, ma che, comunque, dà uno sguardo prezioso: perché il grande, visto dal piccolo, mostra involontariamente dei particolari che, in una visuale panoramica e ampia, possono sfuggire.
Laura Lombardo Radice, figlia della pedagogista Gemma Harasim e del filosofo Giuseppe Lombardo Radice, nasce in un ambiente vivace, fantasioso e multiculturale, che ben presto porta l’intera famiglia a fare scelte politiche abbastanza nette: «Eravamo molto permeati di un antifascismo istintivo per averlo respirato in famiglia. Non siamo mai stati iscritti al fascio: mai balilla, mai avanguardisti, mai piccole italiane».
Il destino lavorativo pare essere segnato: dopo gli studi e l’abilitazione, diventa insegnante di lettere a Chieti. Ed è lì, ad esempio, che apprende della morte di Gabriele D’annunzio. Una pagina curiosa e particolare, quella della morte del poeta, che mostra come sia interessante raccontare un evento storico da un punto di vista diverso: «Scrivo subito perché voglio darvi l’impressione viva e immediata di questa serata non facilmente dimenticabile. Un ballo di martedì grasso come tanti altri; forse un poco più fiacco; una cena abbastanza animata (ma taedium radium delle stesse facce e della stessa allegria obbligatoria); poi ripresa di danze, più mosse, vino aiutando. Verso mezzanotte la sala cambia aspetto: visi nuovi, eleganti toilettes da sera, truccature vistose: Pescara arrivata con le macchine. Un senso di ambigua e provvisoria animazione nel piccolo circolo; poi, la voce del Presidente (zio di Adriano) stentorea, all’orchestra: “Basta, basta” — e al pubblico: “È morto il comandante Gabriele D’Annunzio”. I pescaresi, che avevano visto chiudersi i saloni del Palace alla fulminea notizia, erano venuti su da noi con la speranza di ballare egualmente: e avevano raccontato la “novità”! Un mormorio di imprecazione di ballerini disturbati accolse — è storia — il luttuoso annunzio: “poteva aspettare altre due ore” e “i pescaresi potevano star zitti” furono l’elogio funebre dei concittadini e conterranei dell’Immaginifico. Così — colui che voleva esalare l’anima canora nel sacrifizio cruento — si è spento in una piatta notte di carnevale: sic transit… 1° marzo 1938: una data da ricordare».
Di questi ritratti così sgargianti, dalle pennellate così nette e pure profondamente letterarie, è pieno l’intero libro.
Ecco come Lombardo Radice racconta di Irma Bandiera, la giovane staffetta della settima G.A.P, tortura e uccisa a diciannove anni: «Mi hanno fatto vedere il vestito di Irma Bandiera, ragazza partigiana; quello di quando i tedeschi l’anno fucilata l’estate del ’44. Un abitino di cotonina rosso a pallini bianchi, abbottonato davanti, fino in fondo alla gonna. Fa pensare alle gite domenicali al mare, di giugno: ci si mette il costume sotto, si riempie in fretta una borsa: l’asciugamano, il pettine, lo specchio, uno sfilatino; e sin dal mattino, nel tram di città pieno zeppo, le dita corrono ansiose al primo bottone, già presentono l’ora che il vestitino resterà, come un sigillo di ceralacca scarlatta, sulla pagina distesa della spiaggia bianca di sole. Anche fa pensare alle scampagnate in bicicletta: la ragazza pedala svelta e i pallini bianchi le ballano e rimbalzano sulle spalle, come minuscole biglie sempre lì lì per ruzzolare via tutte e lasciar solo quello squillante colore d’estate. Ora, ci sono i grumi nerastri, striature di bruciato al petto, sui fianchi, perché Irma a vent’anni l’hanno ammazzata che portava quel vestitino rosso, il 13 agosto 1944.Atroce pensare a qualcuno, uomini, che abbia preso la mira, puntato, sparato addosso a quella vestaglietta da bambina. Pensate, la morte vestita di cotonina rossa, a pallini bianchi…Atroce, atroce. Questa parola mi martella il cervello. La più atroce delle tante immagini atroci, raccapriccianti, fotografie, documenti, racconti, di un’età atroce e incredibile che abbiamo pure vissuto.
Se chiudo gli occhi vedo, da un immenso esercito di morti grigi, colore di terra, venire verso di me la ragazza sconosciuta, col suo vestitino rosso a pallini bianchi».
Laura Lombardo Radice prende parte attivamente alla resistenza romana, non come gappista o staffetta, ma come coordinatrice dei gruppi di donne, così come il partito comunista le ha richiesto, perché, come dice lei stessa: «Il PCI impegna tutte le sue forze per raggiungere l’unione del popolo italiano nella lotta per la pace immediata, per la liberazione dal giogo hitleriano fascista, per la riconquista della libertà. Questa è, in poche parole, la politica del Fronte Nazionale d’Azione che vuol dire: mobilitazione di tutte le forze sane dell’antifascismo. Ci pare utile qualche chiarimento ai compagni. È bene ricordare ancora una volta che è veramente un buon compagno chi non solo lavora per il Partito, ma chi capisce perché lavora in quel modo e non in un altro: chi non solo crede nella giustezza delle direttive del Partito, ma capisce perché sono giuste ed è in grado di arrivare da solo, anche se imperfettamente, a quelle conclusioni a cui è arrivato il Partito».
Il Pci è dunque la casa politica di Laura Lombardo Radice, il luogo ideale dove conosce anche l’amore grande della sua vita, Pietro Ingrao. E anche qui, il personale filtra l’universale, con le lettere d’amore che lei gli scrive e che raccontano gli orrori e le paure che la guerra si trascina dietro, viste da una ragazza e un ragazzo giovani, obbligati alla separazione.
Nel partito, le sue azioni e i suoi operati riguardano, sempre e comunque, i rapporti con la base, con la gente. Una cosa, questa, forse naturale se si pensa al suo lavoro, quello di insegnante, che non abbandonerà mai e che andrà a svolgere persino nelle carceri, dove gli insegnamenti che impartisce ai detenuti si confondono con tutto ciò che i carcerati le mostrano e insegnano: «[il volontario] con loro avrà un rapporto di assoluta sincerità e parità, o non ne avrà nessuno. Non dovrà mai leggere attraverso la storia di Cesarino, di Manfredo, di Martino, una storia esemplare, da manuale di psicologia. Perché Martino, Enzo, Sergio non sono un campionario, sono amici con le loro storie grosse, ma anche con le loro affettività, la loro dignità di uomini troppo spesso dimenticata e umiliata. Non hanno nemmeno bisogno della nostra benevolenza da fate benefiche: noi all’esterno veniamo a capire, a discutere, a dare una mano».
E capire, discutere e dare una mano è proprio ciò che Laura Lombardo Radice fa per tutta la sua vita. Con la Resistenza, con le donne, con la politica e il partito, con il movimento del Sessantotto e le sue manifestazioni — respirate attraverso le figlie — con le lotte femminili per l’autodeterminazione.
Una donna, dunque, dallo sguardo basso e ampio, nel senso più grande che possiamo dare a questi termini. Basso, perché si è sempre mossa in mezzo alla gente, e con essa ha fatto, lottato e costruito. Ampio, perché in ogni circostanza è stata capace di anticipare e andare oltre, percependo ciò che la Storia stava provando a mostrare.
Questa vita, dunque, che Chiara Ingrao fa precedere nel titolo dall’avverbio limitativo, è un meraviglioso racconto comune che ha, proprio nei confini della singola personale esistenza, la bellezza assoluta della condivisione.

In copertina: Laura Lombardo Radice.

Laura Lombardo Radice, Chiara Ingrao
Soltanto una vita
Baldini&Castoldi, Milano, 2013
pp. 408

***

Articolo di Sara Balzerano

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Laureata in Scienze Umanistiche e laureata in Filologia Moderna, ha collaborato con articoli, racconti e recensioni a diverse pagine web. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è quello di continuare a chiedere Shomèr ma mi llailah (“sentinella, quanto [resta] della notte”)? Perché domandare e avere dubbi significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice.

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