Itinerario nell’Oristanese, fra nobili, sante, madonne e popolane

Spesso accade, quando si viaggia guardandosi intorno con curiosità e una precisa motivazione, di imbattersi nel ricordo di innumerevoli figure femminili, o almeno in toponimi, edifici, chiese, antichi monumenti che rimandano a donne realmente vissute oppure a sante e madonne venerate localmente. Percorrendo gran parte della provincia di Oristano, in Sardegna, si incontrano esempi significativi che è bello condividere, specie con chi volesse visitare questa area dell’isola, senza limitarsi alle lunghe spiagge della penisola del Sinis, alla suggestiva area archeologica di Tharros e al Museo di Cabras che accoglie i celebri Giganti di Mont’e Prama (vedi Vv n. 126). Qui più che altrove non si può prescindere dalla presenza continua della giudicessa Eleonora d’Arborea (1340 circa-1402/4): ovunque è ricordata da vie e piazze, perfino da un monumento (vera rarità), cominciando dall’elegante “salotto” cittadino di Oristano, per arrivare alla vicina località a cui è legata indissolubilmente.

Nel capoluogo tuttavia troviamo altri richiami femminili, come l’imponente cattedrale dedicata a S. Maria Assunta (rimaneggiata nel XVIII sec.), la chiesa più grande della Sardegna, che custodisce una bella statua lignea della Vergine. Un’altra chiesa in città, con annesso monastero, intitolata a Santa Chiara, si è ben mantenuta nelle sue linee gotiche; all’interno presenta originali mensole in legno, raffiguranti telamoni e animali, oltre a ospitare la tomba della moglie di un Giudice e un affresco in cui Mariano IV invoca sul figlio Ugone III la protezione della santa.

Antiquarium, statuine di sofferenti da Neapolis.
Foto di Laura Candiani

Visitando l’interessante Antiquarium Arborense, ricco di reperti di epoche varie, ci si trova di fronte a delle sorprese; al momento (agosto 2022) sono visibili ben tre mostre temporanee: una consistente in decine di falsi bronzetti nuragici che furono in passato spacciati per autentici e commercializzati in maniera truffaldina, una seconda con 10 manichini abbigliati secondo la perfetta ricostruzione di abiti e accessori femminili e maschili basati su bronzetti autentici, la terza è veramente qualcosa di unico. Si tratta dei cosiddetti “devoti sofferenti di Neapolis”, ovvero di 532 modellini in miniatura, di terracotta, di donne e uomini (IV-III sec. a.C.) che indicano con la mano la parte del corpo ammalata: un occhio, l’orecchio, il fianco, la spalla, la testa…, evidentemente con lo scopo di chiedere la guarigione alla divinità. Una scoperta eccezionale, frutto del caso, come succede quasi sempre, avvenuta nel 1973 nella attuale località di Nabui, presso Gùspini, dove sorgeva un santuario punico.

Anche in questo bel museo, come a Pèrfugas (vedi Vv n.179) abbiamo ammirato ben due raffigurazioni della Dea madre: una più grande e grezza, l’altra piccola, ma lavorata con cura, trovata fra le mani del defunto in posizione semi-fetale, come un amuleto o un viatico per l’aldilà.

Antiquarium, statuette della Dea madre. Foto di Laura Candiani

Intere vetrine sono allestite con deliziosi gioielli in oro, bottoni ornamentali, spilloni, minuscoli astucci e raffinati recipienti in vetro sottilissimo per la cura del corpo femminile, ritrovati in siti della zona.

Antiquarium, oggetti in vetro per la bellezza femminile. Foto di Laura Candiani

A circa 3 km. dalla città sorge uno dei migliori esempi di stile romanico-pisano: la chiesa di Santa Giusta, costruita fra 1135 e 1145 in posizione elevata, di fronte all’omonimo stagno, il terzo per estensione dell’isola, risorsa ambientale ed economica di grande pregio.

Chiesa di Santa Giusta

L’edificio spicca per le dimensioni e il colore chiaro dell’arenaria, per la scalinata che lo precede, per il timpano tripartito e per la delicata trifora sulla facciata; ma è bellissimo anche ai fianchi e nell’abside finemente decorata. Nell’interno di notevole fascino si ammirano colonne e capitelli provenienti da Tharros e dall’antica Othoca, e si trova la cripta con le reliquie della santa che dà il nome alla località e viene festeggiata a maggio. Fra leggenda e storia la sua breve vita: nata da famiglia nobile, orfana di padre, visse fra 117 e 138 d.C.; per la sua fede tenace, fu tenuta prigioniera dalla madre stessa, ma in soccorso le arrivavano gli angeli, mentre operava miracoli e si spargeva la sua fama. Riuscì a farsi battezzare e rifiutò le nozze con un pretendente violento, ma dopo le vendette dell’uomo e gli interventi del demonio contro di lei, tutta l’area fu sommersa dalle acque della laguna. Così gran parte della popolazione morì, insieme alla giovane coraggiosa, che salvò l’anima invocando il nome del Salvatore.

Lasciando la fascia costiera e addentrandosi lungo la direttrice della SS 131 Carlo Felice, si raggiunge Paulilàtino; nel centro, all’interno del signorile Palazzo Atzori, si visita il museo etnografico che ospita la fedele ricostruzione delle stanze di una abitazione tradizionale e una ampia sezione dedicata alle occupazioni femminili; ecco quindi la cucina, una culla, un telaio, tessuti, ricami, coperte e corredi realizzati da abili mani di donna, che un tempo sapevano pure modellare il formaggio in forme insolite di uccellini o scarpette. Bellissimi i pani lavorati come vere opere d’arte, destinati ancora oggi alle grandi occasioni: nascite e matrimoni, soprattutto; una vera rarità è una sella alla amazzone, in una terra dove il rapporto con le cavalcature era ed è assai stretto anche per le ragazze.

A breve distanza dal paese si trova la celebre area archeologica di Santa Cristina dove si può ammirare il pozzo sacro (XI-IX sec. a.C.) più grande, suggestivo e meglio conservato dell’isola, inserito in un contesto ricco di testimonianze di varie epoche, che vanno dal nuraghe con annesso villaggio fino al “novenario”, un gruppo di abitazioni rurali risalenti al 1200 e sede tuttora di celebrazioni e feste liturgiche nella chiesetta centrale.

Paulilatino, pozzo sacro Santa Cristina. Foto di Laura Candiani

Ma cosa c’entra la santa con tutto questo? Nella mitologia popolare si racconta che la giovane cristiana abbia subito il martirio e affrontato la morte dentro un pozzo costruito dal padre e che vi sia stata introdotta a testa in giù, per le scale, proprio come nel pozzo sacro che ha 25 gradini. Un altro mito assai poetico afferma che la martire sfiorò le pareti interne con il suo manto e così le modellò, come invece fecero esperti scalpellini nel basalto.

Casa-museo di Antonio Gramsci

Trovandosi in questa zona, non può mancare una sosta a Ghilarza per visitare la casa-museo di Antonio Gramsci (1891-1937), dove visse dai sette ai venti anni, che presenta fra l’altro la completa ricostruzione della cameretta allestita con amore dalla madre in occasione della sua ultima visita, nel 1926. Qui vediamo le sue pantofole, i suoi occhiali, un piccolo carro di legno costruito dalle sue mani in Russia; in alcune teche sono in mostra la cartella in pelle in cui riponeva i quotidiani, e poi lettere, scritti, libri, foto, utensili della vita carceraria, l’immagine sul letto di morte, il calco della mano e del volto, deformato dalla malattia. Commovente trovare la foto un po’ stropicciata della mamma Giuseppina da cui non si separava mai e i pesi che usava da ragazzino per fare ginnastica, sperando di rafforzare le sue deboli ossa. A proposito di figure femminili, si sa quanto preziosa fu per lui la costante presenza della cognata Tatiana nei suoi pellegrinaggi fra carceri, ospedali, confino, e quale aiuto morale fu il pensiero della moglie Giulia e dei due figli lontani, a cui indirizzava lettere bellissime; a Ghilarza un ruolo importante nella conservazione di materiali originali lo hanno avuto la sorella Teresina e, in seguito, la nipote Mimma che si è attivata per la realizzazione del museo, oggi monumento nazionale. Non va dimenticato che l’allestimento e il progetto espositivo negli anni Settanta furono curati da due donne: la designer Cini Boeri (1924-2020) e la studiosa Elsa Fubini (1909-2003), sostanzialmente mantenuti durante la recente riqualificazione.

Chiesa di San Pietro in Zuri. Foto di Laura Candiani

Spingendosi verso il lago Omodeo, bacino artificiale che per molto tempo è stato il più vasto d’Europa, si incontra la chiesa di San Pietro in Zuri, che nel 1923 venne demolita dalla posizione originaria e ricostruita più in alto, per preservarla. Si tratta di un bell’edificio in stile romanico in pietra lavica di colore rossiccio al cui interno abbiamo trovato una curiosa statua di Maria bambina sdraiata, da portare in processione, vestita con l’abito tradizionale delle giovani sarde. La grande chiesa forse nacque come cappella di un convento benedettino femminile, ma poi fu ristrutturata e ampliata come testimonia, sulla facciata, una pietra scolpita che ricorda l’anno della consacrazione (1291) e il nome della badessa committente: Sardigna di Lacon, ancora una volta una donna intraprendente nel lontano Medioevo.

San Pietro in Zuri, targa con nome della committente Sardigna di Lacon. Foto di Laura Candiani

Nelle vicinanze, presso Sèdilo, è d’obbligo almeno uno sguardo al santuario in stile gotico-catalano dedicato a San Costantino imperatore, in Sardegna venerato come Santu Antine, che sorge in posizione panoramica e ogni anno, fra il tramonto del 6 e l’alba del 7 luglio, è il teatro di una gara equestre spericolata, S’Ardia, che rievoca la celebre battaglia di Ponte Milvio contro l’usurpatore Massenzio (ricordate la frase, storicamente inattendibile, In hoc signo vinces?). Affacciate nei pressi del lago due chiesette campestri intitolate alle sante Barbara e Greca. Scendendo verso il capoluogo, all’altezza di Abbasanta, dove il nuraghe Losa(uno dei circa 7000 censiti) si impone in tutta la sua maestosità, si può fare una deviazione e raggiungere prima San Leonardo de Siete Fuentes, una amena località nel verde di fitti boschi, e poi Santu Lussurgiu.

Santu Lussurgiu, casa di donna Caterina.
Foto di Laura Candiani

Qui, in mancanza di presenze femminili significative, abbiamo comunque individuato un elegante palazzo signorile, un tempo appartenente alla famiglia Porcù, chiamato “casa di Donna Caterina”, di recente diventato sede della fondazione Hymnos, che si occupa di ricerche etnomusicali. Guarda caso sorge su via Bonaria che, come si sa, è la protettrice della Sardegna a cui è dedicata la cattedrale di Cagliari, uno degli edifici mariani più importanti dell’isola. Si ricorderà fra l’altro che papa Francesco vi fece il primo viaggio pastorale, il 22 settembre 2013, per confermare lo stretto legame con la sua Argentina: secondo una diffusa leggenda Buenos Aires ha questo nome proprio per celebrare la Vergine venerata a Cagliari, già protettrice dei naviganti, secondo la volontà dei marinai sardi a seguito della spedizione spagnola del 1536.

Bonarcado, basilica di Santa Maria.
Foto di Laura Candiani

A breve distanza, a Bonàrcado, si rimane stupite di fronte alla mole e alla magnificenza della basilica di Santa Maria in pietra lavica scura, consacrata nel 1146/7, che fa parte della Rete del Romanico in Corsica, Sardegna e Toscana. Papa Benedetto XVI le ha assegnato la dignità di “basilica minore” il 19 giugno 2011. Nella medesima piazza si trova anche il piccolo santuario dedicato alla Madonna di Bonacattu (VII-VIII sec.), sorto su un edificio termale romano, che ha subito vari rimaneggiamenti e restauri. Se a questo punto il mare diventa una attrattiva impellente e un tuffo appare un miraggio, ci attende la spiaggetta di Santa Caterina di Pittinuri, nei pressi dell’omonima chiesa, con la vicina scogliera S’Archittu scavata dagli elementi atmosferici nel calcare. Il cerchio si conclude: dallo splendido mare della penisola del Sinis abbiamo iniziato il percorso, a quel mare siamo di ritorno.

In copertina: Piazza Eleonora d’Arborea, Oristano. Foto di Laura Candiani.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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