Continuiamo a parlare di sport e body shaming, raccontando quanto la denigrazione per l’aspetto fisico sia ormai una costante nello sport, anche a livelli di eccellenza. Nella prima parte abbiamo trattato di come le atlete siano purtroppo esposte a tutte le età e a ogni livello a diversi tipi di discriminazione per il proprio corpo dovuto a delle condizioni spesso fisiologiche o a dei “difetti” fisici che, secondo una linea di pensiero abbastanza comune, sarebbero un impedimento o, addirittura, motivo di vergogna per chi pratica sport.
Tuttavia il corpo femminile è purtroppo soggetto a body shaming anche in altre occasioni, ma soprattutto anche quando si tratta di vere e proprie campionesse. Lo sport ad alti livelli, infatti, permette un aumento notevole della massa muscolare, e a seconda della disciplina la muscolatura risulta più o meno sviluppata in alcune parti del corpo. Ci sono quindi atlete ad esempio con gambe o braccia più sviluppate rispetto ai soliti “standard” femminili riconosciuti dalla società. Pertanto molte atlete vengono criticate e, addirittura, insultate nonostante i risultati sportivi, per non avere un fisico abbastanza “femminile”. Una forma di body shaming estremamente diffusa questa, ed è curioso notare come più uno sport sia concettualmente “maschile”, come il calcio, il lancio del peso o del martello, o la pallacanestro, più le sportive vengono accusate di non essere femminili. Si apre qui un confine sottile ma assolutamente percepibile tra body shaming e discriminazioni di genere.
Riporto a questo proposito il caso di Caster Semenya, la campionessa sudafricana di atletica leggera, che nel 2010 era stata obbligata dalla propria federazione a sottoporsi a un test per verificarne il sesso. Esemplificativo è anche il caso della martellista italiana Sara Fantini, bronzo europeo a Monaco, che racconta degli stereotipi di genere che ha dovuto combattere nel corso della sua vita “a causa” del suo fisico. In una recente intervista ha, infatti, dichiarato che il lancio del martello «richiede il superamento di certi vecchi tabù. Da ragazzina non volevo diventare troppo grossa, diversa dalle altre. Ci è voluto del tempo per comprendere che sarei rimasta la persona che sono. Ho abbattuto pensieri stereotipati, soprattutto miei. Le martelliste non sono taglia 40, come richiedono i canoni di bellezza della società. Per lanciare serve una buona dose di autostima». L’intervista a Sara Fantini prosegue e permette delle ulteriori considerazioni: «Gli uomini non mi hanno mai ostacolato. Coloro che mi hanno consigliato di cambiare strada erano donne. Così come la persona che disse: “Sara sarebbe anche una bella ragazza, se non fosse così grossa”. Io mi accetto come sono in una società non inclusiva, così ho scoperto la mia forza».

Dalle sue parole capiamo che nonostante i successi sportivi spesso le atlete devono combattere diverse battaglie e sfidare le proprie fragilità, fragilità che sono troppe volte legate all’aspetto fisico. La cosa interessante è che molte volte sono proprio le opinioni, che le stesse sportive hanno del loro corpo in rapporto al pensiero comune, a essere l’ostacolo maggiore e talvolta sono le stesse donne a esercitare bodyshaming e critiche alle atlete per la loro costituzione fisica. Le parole di Sara Fantini in un certo senso dimostrano come molte volte nel combattere gli stereotipi e le differenze di genere siano ancora una voltale stesse donne a porre delle resistenze.
Tornando al body shaming, sono moltissime le campionesse mondiali, olimpiche o europee che subiscono denigrazioni e discriminazioni per il loro aspetto fisico. E maggiore è la loro visibilità, per esempio sui social media, maggiore è l’esposizione alle critiche e agli insulti. E, paradossalmente, non si tratta solo di umiliare chi non ha un corpo “abbastanza femminile”, ma anche di aggredire verbalmente chi ha un corpo “troppo femminile”, che per questi motivi viene strumentalizzato ed esposto a ogni tipo di commento a sfondo sessuale. Si tratta del recente caso di cui è stata vittima la campionessa di nuoto sincronizzato italiano Linda Cerruti, vincitrice di ben otto medaglie negli ultimi campionati europei di nuoto ad agosto a Roma. Linda per festeggiare i suoi successi pubblica sul suo profilo Instagram una foto che la ritrae mentre esegue una spaccata a testa in giù in spiaggia con tutte le sue medaglie.

Tra le tante persone che si congratulano con lei nei commenti alla foto, si fanno notare purtroppo anche altrettante persone che ignorano le sue medaglie e che fanno battute a sfondo sessuale letteralmente vergognose. Linda si è detta «schifata» da quello che ha dovuto leggere e ha deciso di denunciare chi ha strumentalizzato e sessualizzato così brutalmente le sue vittorie e il suo corpo. Il caso di Linda Cerruti è recente ma non l’unico. Sono infatti centinaia le situazioni in cui i corpi femminili delle sportive vengono strumentalizzati e sessualizzati. Siamo pertanto di fronte a uno scenario inquietante: se una sportiva, una campionessa, o semplicemente una donna che pratica sport ha un corpo “troppo poco femminile”, o semplicemente ha dei “difetti” secondo i canoni del nostro tempo, allora viene denigrata e insultata, a prescindere dai risultati sportivi; se invece un’atleta possiede un corpo “troppo femminile” e si espone al pubblico rischia di cadere in offese a sfondo sessuale. In entrambi i casi i successi sportivi, che dovrebbero essere di primaria importanza quando si racconta o si conosce una sportiva, passano tristemente in secondo piano. Il body shaming, infatti, è solo un tassello di un puzzle ben più complesso che delinea una triste realtà dello sport femminile.
Si passa dal criticare il corpo delle atlete e si arriva, implicitamente, a far perdere di importanza a ogni successo sportivo. Il passo è breve: si passa da una semplice battuta per arrivare a forme di sessismo e maschilismo. Per questo motivo è importante combattere sempre e fin da subito il body shaming nello sport e sotto ogni aspetto: che si tratti di bambine o ragazze che iniziano a praticare sport, di appassionate amatoriali o di vere e proprie campionesse la discriminazione dell’aspetto fisico va sempre contrastata perché porta, inevitabilmente, a discriminazioni di genere, mentre l’obiettivo principale dello sport deve essere l’inclusione di persone senza differenze.
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Articolo di Marta Vischi

Laureata in Lettere e filologia italiana, super sportiva, amante degli animali e appassionata di arte rinascimentale. L’equitazione come stile di vita, amo passato, presente e futuro, e spesso mi trovo a spaziare tra un antico manoscritto, una novella di Boccaccio e una Instagram story!