Una giovane reporter in viaggio. Ester Lombardo

Abbiamo già visto come le croceriste che si dirigono in Nord Europa si relazionino soprattutto con altri ed altre partecipanti al viaggio, mentre hanno scarsi rapporti con le persone native. Lo stesso accade a Ester Lombardo, che manifesta un atteggiamento alquanto critico verso tutto ciò che le è estraneo ed esprime giudizi diffidenti, se non apertamente negativi, verso chi incontra. Manifesta anche un maggiore interesse al dialogo con chi legge rispetto alle altre autrici, dimostrato dal «Chiarimento» con cui apre la narrazione: qui dichiara che la stampa del libro si era verificata in contemporanea con la tragica spedizione del dirigibile Italia, e lei stessa non aveva potuto impedire la pubblicazione negli stessi mesi di quell’avvenimento luttuoso.

Il rapporto fra viaggiatori e viaggiatrici a bordo occupa una posizione di rilievo: dovendo trascorrere molto tempo insieme e ingannare la monotonia della lunga traversata si stabilisce una certa cordialità e, gradualmente, le chiacchierate fra queste nuove conoscenze diventano più frequenti. Tuttavia, a differenza di Kapp Salvini, che aveva precisato subito il suo interesse per le persone sul piroscafo, e di Türr, che aveva riportato un elenco delle nazionalità rappresentate e della provenienza degli altri passeggeri italiani, Lombardo indica in maniera generica chi viaggia, limitandosi a segnalarne i nomi nelle didascalie delle fotografie.

L’incontro con Arturo Toscanini

Riporta invece per esteso il suo incontro con Arturo Toscanini, il famoso direttore d’orchestra: entrambi affascinati dalla luce del nord trascorrono le notti insieme e, durante le lunghe veglie, il musicista le confida i particolari della sua prima direzione d’orchestra a Buenos Aires, avvenuta quasi per caso.

Impegnato in una relazione con una ragazza del luogo, solo all’ultimo momento aveva ceduto al «senso del dovere» e si era recato a teatro, dove era atteso come violoncellista. Qui si era ritrovato in una situazione caotica: il direttore aveva dato forfait, il pubblico era in agitazione e stava minacciando di abbandonare i propri posti. «Il pubblico argentino di quarant’anni fa era ben violento» e Toscanini, indicato dai colleghi come possibile direttore, non aveva potuto rifiutare «per la paura che si chiudesse il teatro ed andassero all’aria le scritture». Grazie alla sua conduzione lo spettacolo aveva avuto un grande successo e lui stesso si era rapidamente affermato, iniziando una prestigiosa carriera. Con questa digressione l’autrice è consapevole di aver sconfinato oltre il tema del resoconto e sente il bisogno di giustificarsi: infatti le è parso necessario ravvivare la monotona narrazione della vita di bordo e per «spezzare l’uniformità di una prosa descrittiva di cose viste e prive di qualsiasi azione» ha ritenuto opportuno riportare l’avventura argentina del maestro Toscanini, un personaggio noto e amato dal grande pubblico, riferita dalla viva voce del protagonista.

Un altro incontro particolare cui Lombardo fa riferimento è il tradizionale arrivo di Nettuno, uno degli eventi organizzati a bordo al passaggio del Circolo Polare per il divertimento di chi viaggia; il fatto è «annunziato con due colpi di cannone. Sono le 13,55 del 28 luglio. L’orchestra suona, chissà perché, la marcia trionfale dell’Aida. Si brinda come per un giocondo avvenimento e si ride all’ingresso di Nettuno, re dei Mari, con una grande barba, in compagnia di un pinguino, d’un orso bianco e d’una sirena graziosa nell’aderente costumino da bagno». La prima italiana che aveva assistito all’evento, Giulia Kapp Salvini, lo aveva descritto con sorpresa, sebbene non ne avesse apprezzato le caratteristiche, definendolo una «mascherata», cui avrebbe preferito l’avvistamento di un iceberg; nel resoconto di Türr invece l’episodio era accennato con una certa sufficienza, in quanto l’unico aspetto significativo era stata la consegna del “permesso”, da parte della divinità, a varcare la soglia del suo territorio, oltre il Circolo Polare; nella narrazione di Lombardo, Nettuno è accompagnato da un sottofondo musicale solenne, tipicamente italiano, ma i personaggi che compongono la sfilata sono male assortiti e l’insieme risulta nel complesso quasi comico.

Ritratto di un pescatore islandese

I rari incontri con le popolazioni native si risolvono in giudizi contrastanti; già all’attracco in Islanda Lombardo afferma: «per quanto desiderosi di diventar meta turistica, questi paesi non conoscono l’arte di accattivarsi il forestiere», poiché la polizia marittima difende con estrema severità le zone di pesca, comminando multe salate ai trasgressori stranieri.

Tuttavia, i residenti hanno una sconfinata ammirazione per l’Europa, verso la quale sembrano soffrire di un sentimento di inferiorità, come testimoniano i due islandesi che salgono a bordo a Torshavn, «fanatici della nostra visita e più ancora di poterci dire della loro vita, dei loro progressi, della loro origine più che millenaria». Mentre non sembrano suscitare alcun interesse nelle persone sul piroscafo, la giovane giornalista Lombardo li intervista e viene così a sapere che tutto il Paese ha in grande considerazione la cultura: «non esiste un analfabeta» e, nonostante la vita «pesante e dura», «pure i marinai islandesi sanno leggere e scrivere». Infatti le lunghe giornate invernali stimolano a istruirsi e «invitano a spaziare con la fantasia» in un mondo dove, altrimenti, le tenebre «guastano il sistema nervoso». L’acculturazione generale, perciò, è una reazione positiva al clima infelice e alla natura ostile; un’attitudine opposta, prosegue, a quella «divina pigrizia di lasciarsi vivere» che contraddistingue invece i popoli mediterranei (tra i quali gli italiani), affascinati dalla natura delle «regioni più belle del mondo».

L’autrice mantiene il suo atteggiamento di bonaria superiorità verso i nativi durante la breve permanenza nella capitale islandese, dove è accompagnata da un non meglio identificato «biondo interlocutore, che, intelligente e ricco, viveva a Reykjavik contentandosi di alcuni viaggi all’anno, perché gli Islandesi non devono abbandonare la loro isola, ma profondere in essa le proprie ricchezze e le proprie attività»; Lombardo lo ascolta «sorridendo» condiscendente quando questi le narra la «storiella dell’islandese scopritore dell’America e di Cristoforo Colombo visitatore dell’Islanda dove apprese la grande notizia». Con studiata benevolenza concede al suo anonimo accompagnatore questa improbabile narrazione: le sembra infatti comprensibile che il «piccolo popolo in lotta sempre con gli elementi» si appropri di qualsiasi merito, dimostrando amor di patria, anche se, conclude lapidariamente, «della patria degli altri a noi non importa nulla». Anche a Stoccolma l’autrice non stringe amicizie con le persone del luogo ma si avvale di un accompagnatore motorizzato: sottolinea che «una guida intelligente e colta è infinitamente utile in un paese sconosciuto, non soltanto perché vi fa vedere le cose più rimarchevoli, ma perché vi dà la sensazione dell’orientamento spirituale, culturale, estetico di un popolo. E le corse in automobile, di sua proprietà compresa nella tariffa […] sono state piacevoli». È infatti proprio con la sua guida che frequenta i caffè del centro storico e visita il Municipio, la Stadshuset, «l’edificio più grandioso di Stoccolma […] pel quale lo svedese è pieno d’orgoglio» e che però non suscita la sua ammirazione.

Lombardo dedica al popolo Lappone un intero capitolo. Giunta anche lei nell’estremo nord della penisola scandinava, incontra gli abitanti che «vivono quasi allo stato primitivo» e, pur senza affermarlo apertamente, lascia intendere che questo stile di vita sia, più che una scelta, addirittura una colpa. Vivendo al confine di due civiltà, quella norvegese e quella svedese, non hanno saputo integrarsi, preferendo piuttosto rimanere isolati. A differenza di quanto sostenuto da diversi viaggiatori e viaggiatrici precedenti, che avevano attribuito al clima l’arretratezza dei Sami, secondo l’autrice il freddo non può essere considerato un’attenuante, in quanto «l’Islanda, ben più infelice per il clima, dà […] un esempio forse unico di civiltà moderna coscientemente e rigorosamente sorvegliata ed aggiornata dalla volontà dei suoi stessi abitanti». Per lei «i Lapponi vogliono essere selvaggi» e ostentano, nell’ordinato mondo dei popoli scandinavi, «la libertà di essere sporchi a proprio piacere e di vivere allo stato di natura».

La popolazione Sami

Nei pressi di Tromsø, con una breve deviazione il gruppo dei croceristi decide di «fare una capatina» al campo Sami, quasi si trattasse di una visita obbligata ma non particolarmente interessante. Si tratta probabilmente del luogo che già altre viaggiatrici e viaggiatori hanno visitato (da Léonie d’Aunet a Paolo Mantegazza, a Giulia Kapp Salvini), quasi una tappa d’obbligo per il turismo scandinavo. Lombardo descrive rapidamente l’habitat di questa specie inferiore di umanità: misere capanne accanto al recinto delle renne, unica loro risorsa sia per il cibo che per il vestiario che per l’arredamento: «Ne abbiamo trovati un centinaio, uomini, donne e bambini seduti per terra, in abito da festa per l’occasione quasi puliti, con intorno la loro mercanzia […] più o meno autentici […] opportunamente avvertiti, indossavano il costume e andavano al campo abbandonato a sciorinare al turista in cerca di sensazioni un po’ di colore locale». Nemmeno il loro costume desta troppo interesse: berretto rosso bordato di pelo di renna; pelle di renna per scarpe e stivali; culla, ninnoli, pianelle vengono elencati sommariamente come «aggeggi» vari. Perfino le renne, nel recinto vicino «piccolo, sporchissimo», sono «spelacchiate e brutte».

La descrizione fisica della “razza” Sami è altrettanto impietosa: «i tratti somatici, gli occhi quasi obliqui, il viso giallo-verdognolo, il naso camuso» confermano che si tratta di un popolo «indubbiamente selvaggio». Inoltre, osservandoli attentamente, questi Lapponi appaiono «di sangue misto», poiché Lombardo dà per scontato che «il Lappone, come il mongolo, al quale rassomiglia, ha delle caratteristiche non dubbie nelle linee somatiche. Il naso camuso, ad esempio. Quando il naso tende all’aquilino, dite pure che il povero Lappone non è un puro sangue. Allora è meno selvaggio di quanto supponiamo o forse lo è meno in alcuni luoghi, specie sui fiordi, dove la pesca e il transito, per quanto parco, lo mettono al contatto col mondo». Anche se è certa di trovarsi di fronte a una razza inferiore, nel campo avviene un incontro particolare: «Un bel Lappone dal naso dubbio mi offerse, per otto corone […] una pupazzetta di pelo di renna brutta e sporca certo più di lui. – Otto korone? Sei pazzo? – io feci parlando a me stessa – cinquantasei lire questa roba? Ma non ti do nemmeno una korona, anche perché mi riempirebbe di pulci la cabina. – Signurì, facite cumme vulite – mi rispose il Lappone sottovoce con occhi furbi, pentito subito dello scatto improvviso». Di fronte al suo stupore e alla sua domanda diretta l’uomo risponde sinceramente: «Faccio u Lappone» e narra la sua triste storia di isolamento e povertà, nel tentativo di racimolare con ogni mezzo, anche fingendosi Lappone per i turisti, un piccolo gruzzolo per poter tornare a casa. È proprio il Lappone-partenopeo a fornire qualche ulteriore dettaglio sul popolo dell’estremo nord: «Di Lapponi autentici ce ne sono pochi e non vivono in questo campo disabitato, ma vengono da più lontano. È una razza che si perde, signurì, ma pei forestieri bisogna mantenerla cumme a Napule s’abballa ancora a tarantella n’anza ai furastiere». Il Napoletano continua le sue confidenze, esprimendo nostalgia per la sua città, la speranza di tornarvi presto e, forse, incontrarvi nuovamente l’autrice; in un impeto di fiducia le rivela il suo nome, pregandola di non comunicarlo ai locali, perché «chiste animale sungo silvagge e me darriano guai, io me ne voglio turnà o paese mio», confermando definitivamente i pregiudizi negativi sul popolo Sami.

In copertina: il gruppo dei croceristi delle isole Svalbard.

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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.

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