Se uscivano di casa, dovevano essere accompagnate (dalla madre, dal padre, da un fratello, da una persona adulta). Vietato parlare, e tanto meno ballare, con gli uomini. E anche gesticolare, ridere a bocca aperta, discorrere ad alta voce, cantare a squarciagola, vestire in modo provocante, stare alla finestra, andare al cinema. I matrimoni venivano combinati dalle famiglie e le ragazze dovevano arrivarci “illibate”. Studiare con la prospettiva di un lavoro, neanche a parlarne. Kabul sotto i talebani? No, la Sicilia degli anni‘60. La legge nazionale d’altra parte rispecchiava un costume ancora rigoglioso in tutto il Sud: c’era il delitto d’onore, il matrimonio riparatore, l’infanticidio per motivi d’onore, leggi che vennero abrogate nel 1981, solo quarant’anni fa. Ben quindici anni dopo il gesto di Franca Viola, la ragazza siciliana che rifiutò di sposare il suo rapitore e lo portò in tribunale, determinando una svolta nella coscienza del Paese e segnando una tappa fondamentale sulla via dell’emancipazione femminile e della parità dei sessi.
Ed è alla storia di Franca Viola che si ispira liberamente l’ultimo lavoro di Viola Ardone, Oliva Denaro, un intenso romanzo di formazione ambientato nella provincia siciliana degli anni ’60. È un mondo ancora fermo a tradizioni ancestrali, in cui il controllo sociale è ferreo e il valore di una donna dipende dalla sua verginità, irrinunciabile moneta di scambio, e dall’uomo che la sceglie. Perché «la femmina è una brocca, e chi la rompe se la piglia». Fuori dal matrimonio non c’è nessuna prospettiva per una donna, che «senza marito è come metà forbice: non serve a niente». E «il matrimonio lo sai cosa è? – spiega a Oliva il maresciallo Vitale– È un contratto, una società di interessi. Lui ti mantiene e tu gli rimani fedele e gli fai da guida, a lui e ai figli. Dopo i confetti ciascuno fa la vita sua. È tanto se vi vedete a pranzo e a cena». Le canzonette del tempo, quelle con amore che faceva rima con cuore (nel romanzo se ne ricordano alcune, cantate da interpreti famosi) però dipingevano una realtà diversa, e le ragazze ci cascavano, salvo poi scoprire la verità quando era troppo tardi. E poi, soprattutto, non avevano scelta.
All’inizio della storia – e l’incipit ti acchiappa immediatamente – la protagonista Oliva è ancora una ragazzetta sempre spettinata con le ginocchia sbucciate; le piace conoscere le parole nuove, disegnare i volti delle “divinità” del cinema e nasconderli in un suo posto segreto, andare per rane e babbaluci con suo padre, correre a scattafiato con i suoi zoccoletti per le vie del paese e tirare sassi con la fionda. Sa che queste cose fra poco non le potrà più fare perché anche a lei arriverà il marchese come è successo alle sue amiche, e «le regole del marchese sono: cammina a occhi bassi, riga dritto e statti a casa». Una voce incantevole, questa della protagonista bambina, così vera nella semplicità e nella sicurezza con cui enuncia le regole del suo mondo: del matrimonio («Le regole del matrimonio sono: metti il vestito bianco, percorri la navata fino al prete e dici sì»), del fratello («controlla tua sorella, falle portare rispetto, minaccia chi non lo fa»), del ballo, della tavola… Ce ne sono tante, di regole. Chi le detta in famiglia è Amalia, la madre, una donna ruvida e diretta, senza peli sulla lingua, che a volte è capace tuttavia di aprirsi a una disposizione affettuosa e partecipe verso la figlia. Salvo, il padre, è un personaggio atipico in quel contesto, mentre Amalia vi si inserisce pienamente: lei impreca urlando in calabrese, il suo dialetto d’origine, lui «fa il silenzio» e al massimo sussurra, parlando soprattutto con le sue azioni, sempre divergenti e inaspettate. E spesso «parla per indovinelli», uscendosene con battute pervase da un’ironia fine, che in famiglia non apprezzano e forse non colgono del tutto. Ed è lui in fondo, mite e sottotono, a indirizzare la figlia più di quanto non sembri.
Sono personaggi sfaccettati, a tutto tondo, come si dice. Riuscitissimi. E indimenticabili. L’arco temporale della vicenda copre un ventennio, quello degli anni ’60 e ’70,e non è un caso che il romanzo si chiuda nel 1981,con la protagonista che, conquistato dolorosamente il proprio equilibrio dopo l’esperienza devastante che ha segnato la sua adolescenza, legge sul giornale la notizia dell’abrogazione degli articoli 544 e 587 del Codice penale. Tra chi ha presentato in Parlamento la legge ci sono persone che Oliva Denaro ha conosciuto, e loro hanno conosciuto la sua storia. Il tema di fondo del romanzo è quello della fatica che deve fare una giovane donna a liberarsi dai lacci del pregiudizio e dei rigidi ruoli di genere, che d’altronde non penalizzano solo le donne, ma anche gli uomini. Per esempio Don Vito, che deve per forza fare le sceneggiate insieme al gruppetto di maschi che commentano i vestiti delle donne davanti al bar della piazza «per non dare soddisfazione alle male forbici che lo chiamano “mezzo uomo”. Anche loro» pensa Oliva bambina «soffrono come noi». E molto tempo dopo capirà che anche il suo persecutore è stato in fondo una vittima «dell’ignoranza, di una mentalità antiquata, di una mascolinità da dimostrare a tutti e a ogni costo, di leggi superate dal tempo e dalla storia, eppure ancora in vigore, almeno fino a ieri». Quando subisce la violenza Oliva ha solo sedici anni e sta affrontando il periodo più difficile dell’adolescenza: dissolte le luminose sicurezze dell’infanzia, come tutte le sue coetanee lei non sa ancora nulla di sé e del mondo, non sa chi è né cosa vuole. Si troverà di fronte a scelte difficili e dovrà crescere in fretta, avrà aiuti inaspettati e riuscirà a prendere la decisione giusta, ma non potrà dire di aver ottenuto davvero giustizia e ci vorrà molto tempo per riacquistare la serenità perduta. Una storia importante, che è un pezzo della carta di identità del nostro Paese, una storia che doveva essere raccontata da una narratrice di razza. Una lettura avvincente per chi per ragioni anagrafiche ha conosciuto il contesto sociale in cui fatti come quello narrato hanno potuto verificarsi, ma anche e forse soprattutto per le giovani generazioni che per loro fortuna si trovano a vivere in un mondo dove le regole sono cambiate. È giusto che sappiano come questo è avvenuto e da dove viene (e di che lacrime grondi e di che sangue) l’instabile libertà di cui oggi godono.

Viola Ardone
Oliva Denaro
Einaudi, Torino, 2021
pp. 298
***
Articolo di Loretta Junck

Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile, curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).
Ho finalmente letto questo libro…è meraviglioso, mi sono commossa nel profondo! Grazie per la recensione 🙂
"Mi piace""Mi piace"