Editoriale. Dobbiamo distruggere il silenzio

Carissime lettrici e carissimi lettori,

arriva il tempo dello stare a guardare, il momento partendo dal quale le promesse elettorali di chi vince e di chi perde devono essere realizzate. Giunge ora il tempo per capire. Per salvaguardare i diritti civili, per stare in guardia e fare attenzione a che non si perdano quelli già conquistati e vegliare sulla democrazia (dal greco antico: δῆμος, démos, popolo, e κράτος, krátos, potere) che etimologicamente significa governo del popolo: «un sistema in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo, generalmente identificato come l’insieme dei cittadini che ricorrono in generale a strumenti di consultazione popolare». Ma più specificamente è una «forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico» (Treccani).

Le elezioni durate un solo giorno sono passate e ci hanno fatto conoscere la volontà del popolo che ha votato e anche di quella sua parte enorme che si è astenuta (il 40%, un terzo degli e delle aventi diritto). «La distanza della gente comune dal mondo politico registra ormai un grado tanto consistente da superare ogni livello di guardia. Va da sé che senza un’adesione considerevole all’istituto del suffragio non vi può essere una partecipazione piena alla democrazia: questo, fatta qualche eccezione, anche i politici lo sanno» (Gli Stati Generali).

Intanto guardiamo anche il mondo. Le ragazze e i ragazzi iraniani non hanno paura. Continuano a morire, manifestando per le strade di Teheran e non solo, tagliandosi simbolicamente i capelli, bruciando gli hijab. Muoiono in tante e tanti, insieme a Mahsa Amini, che a soli 22 anni ha perso la sua giovane vita, il 16 settembre scorso, sotto i colpi immorali della polizia di Stato che non l’ha protetta (come dovrebbe essere in uno Stato libero), ma l’ha giudicata fino ad ucciderla.

Tredici giorni di proteste, che finalmente si sono allargate a tanti altri Paesi con manifestazioni sotto l’ambasciata dell’Iran (a Londra ci sono stati anche scontri con la polizia), con tanti arresti e tante uccisioni, almeno settanta secondo alcune fonti. Hadis Najafi, la ragazza con la coda di cavallo che ha fatto il giro dei social, giovanissima anche lei e anche lei uccisa, è diventata un simbolo di questo dissenso raccolto coraggiosamente anche dalla squadra di calcio nazionale iraniana i cui giocatori hanno cantato l’inno (prima del fischio di inizio dell’amichevole con il Senegal in Austria) indossando, in segno di lutto, un giubbotto nero.
I contatti del Paese con il mondo sono praticamente bloccati, isolando i giovani e le giovani della protesta. L’Iran ha iniziato a spegnere internet il 19 settembre, quando le proteste per la morte di Amini stavano crescendo a ritmo serrato. Da questa data diverse organizzazioni che si occupano di monitoraggio internet (tra cui Kentik, NetblocksCloudflare e l’Open observatory of network Interference) hanno documentato le interruzioni. Anche gli operatori di rete mobile, tra cui i maggiori fornitori del paese, (Irancell, Rightel, Mci) sono stati oggetto di continui blackout.
Diversi gestori di telefonia mobile hanno perso la connettività per periodi di circa dodici ore – scrivono alcuni giornali – Netblocks ha dichiarato di aver riscontrato una «strategia di blocchi in stile coprifuoco».
Felicia Anthonio, responsabile dell’impegno contro l’interruzione di internet della ong Access Now, riporta che i partner del gruppo hanno riferito che i messaggi di testo contenenti il nome di Amini sono stati bloccati: «Se si invia un messaggio che contiene il nome, non passa», dice Anthonio. La repressione contro Instagram e WhatsApp è iniziata invece il 21 settembre: «Se da un lato l’interruzione delle connessioni mobili è estremamente dannosa, dall’altro il blocco dell’accesso a WhatsApp e Instagram blocca alcuni dei pochi servizi di social media rimasti in Iran (Facebook, Twitter e YouTube sono vietati da anni nel paese).
Stando a quanto scrivono i media iraniani finanziati dallo Stato, non è chiaro quanto durerà il blocco che sarebbe stato imposto per motivi di sicurezza nazionale. Sembra che stiano prendendo di mira queste piattaforme, che rappresentano l’ancora di salvezza per le informazioni e le comunicazioni che mantengono vive le proteste  come sottolinea Mahsa Alimardani, accademica dell’Oxford Internet Institute e ricercatrice del gruppo per i diritti digitali Article 19, oltre che esperta delle tattiche di blocco e controllo su internet in Iran».

Quante ragazze ancora devono pagare l’oscurantismo di un maschilismo imperante, assolutamente ancora non risolto, e non solo in società lontane dalla nostra? Saman, la ragazzina di origine pakistana scomparsa da Novellara (Reggio Emilia) alla fine di aprile è ritornata nelle nostre cronache attraverso le parole di morte del padre, intercettato durante una telefonata. Un padre che dice di averla uccisa, di aver permesso, e di fatto ordinato, la sua morte perché ha sentito offesa (?) la sua dignità di uomo.
Le telecamere di osservazione inquadrano i due genitori che l’hanno messa al mondo andare insieme alla figlia come in una passeggiata serale in famiglia e invece stanno consegnandola alla morte, forse dimenticando come un giorno l’avevano portata alla vita. Con la stessa disinvoltura, con la stessa doverosa indifferenza?
Saman Abbas era scomparsa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio di un anno fa. Il 4 febbraio 2021 aveva inviato al fidanzato, che si era scelta, come una normale ragazza del XXI secolo, l’elenco dei nomi di chi le avrebbe fatto il peggiore dei mali. «Un atto di accusa, ora che è morta – è stato detto – che risuona in tutta la sua forza e disperazione».
Tra i citati dalla chat di questa giovanissima donna ci sono proprio i cinque rinviati a giudizio per l’omicidio: i genitori (latitanti e per i quali il Pakistan avrebbe promesso all’Italia l’estradizione), i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, già arrestati dopo la fuga all’estero.
Oltre a loro, Saman segnalava anche il fratello minore, un ragazzino di 17 anni, oggi lacerato dal rimorso di aver pubblicato su un social la foto della sorella mentre scambiava un bacio con il ragazzo scelto da lei per la sua vita. La triste lista di Saman si conclude con il nome di un altro cugino e uno zio. Tutti maschi!

Intanto qui in Italia, in un Paese appena uscito dalle elezioni, un ragazzo disabile cade giù da una finestra e da fine luglio è in coma. La sorella, che ha assistito alla scena ed è l’unica testimone, dice che il fratello è stato spinto da uomini in borghese che sarebbero venuti in casa per una perquisizione.
Ancora una persona debole, colpita senza legge: «Non mi stancherò mai di denunciare tutte le storie dove c’è una violazione dei diritti umani – ha dichiarato Ilaria Cucchi, candidata al Senato ed eletta a Firenze –. Su questo caso attendiamo risposte». 
La famiglia aspetta e chiede giustizia, questo prezioso termine derivante da quello latino: iustitia, formata da iustus, giusto, e che il vocabolario spiega come «Virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge», ma anche «in senso assoluto e più oggettivo, il riconoscimento e il rispetto dei diritti altrui, sia come consapevolezza sia come prassi dell’uomo singolo e delle istituzioni».
Il nome di Ilaria Cucchi, una donna coraggiosa che ha dedicato la vita per dare giustizia al fratello, ucciso anche lui di botte in carcere, ci riporta al ruolo delle donne in politica e nella società. Tante volte abbiamo letto che la società deve essere trasformata dalla forza del femminile. Ma le donne non hanno partecipato in pieno alle ultime elezioni. Sono state poco presenti nelle liste e hanno contribuito tantissimo a quel partito dell’astensionismo che è stato il vero protagonista con un risultato del 41%.
«Bisogna osservare a proposito del voto delle donne – scrive Maria Anna Fanelli, Consigliera Nazionale ANDE, Presidente Ande Potenza – che il 25 settembre 2022 le donne si sono astenute significativamente più degli uomini, come da nota informativa di SWG, che ha elaborato i dati rilevati tra il 23 e il 25, su un campione di 3.500 elettori residenti sul territorio italiano, aspetto questo da approfondire, di certo, per quanto riguarda la Basilicata e non solo.
Insomma tutto questo ci dice che sono necessari processi e percorsi di diritto alle pari opportunità, che rimangono un obiettivo complesso, particolarmente rilevante alla luce del dibattito politico-istituzionale più recente, considerando «la crescente importanza che l’eguaglianza in tutte le sue diverse sfaccettature presenta a livello regionale, nazionale, europeo e internazionale». (Maria Anna Fanelli, Promuovere le donne italiane e lucane nei luoghi della democrazia e della rappresentanza).

Le donne invece devono essere presenti in politica per difendere i passi fatti fino ad ora. Prima fra tutte la legge 194: «La gamma delle motivazioni che spingono una donna a rinunciare momentaneamente, o definitivamente, alla possibilità di avere un figlio, possono essere di varia natura e nessuna può essere ricondotta ad interesse superiore a quello a realizzare la piena libertà delle cittadine. Ridurre questi motivi alla sfera economica, insieme alla sottostima della posizione umana e sociale delle donne, è tipico di una ideologia che mette in relazione la maternità con un unico dato riferito alle risorse materiali per il procacciamento dei beni materiali. Così come ci si riferisce, come a un vulnus, alla dimensione di single delle donne come a una minorità bisognevole di supporto maschile». (Noi donne)

Ancora una volta vogliamo qui, all’inizio della nostra rivista, fare un omaggio alle donne iraniane che donano, con il loro esempio e con la loro vita, una lezione di coraggio a tutte le sorelle e i fratelli del mondo perché l’umanità rimanga libera. Lo facciamo con le parole delle loro poesie. Oggi mi è venuta incontro per voi la parola poetica di Simin Behbahani (1927-2014), una grande poeta iraniana che è voluta rimanere per tutta la vita nel suo Paese e che amava dire: «Per sopravvivere dobbiamo distruggere il silenzio», messaggio più che mai oggi significativo e tristemente attuale.
Simin Behbahani è stata una poeta che ha sempre lottato per il riconoscimento delle voci femminili all’interno del proprio paese, sfidando censura e regime. Interessante notare che, nella sua formazione, importantissima fu, non solo la presenza del padre, poeta e scrittore, Abbas Khalili, ma anche la presenza della madre, Azamā Arghun, donna coltissima «in un’epoca in cui, per le donne, studiare era quasi considerato un peccato», fondatrice, insieme ad altre intellettuali iraniane, dell’Associazione delle donne patriottiche. Ecco i versi che ho scelto, pieni di malinconia.

Il Setār rotto
O tu sua ombra! cosa chiedi a me?
Lasciami in pace nel mio dolore!
Lasciami nella mia anima stanca
lasciami, lasciami a me stessa.

O voi nuvole che nell’estremità di questo cielo azzurro
a volte dalla luce della luna, a volte dai raggi del sole,
come mercurio, e come i tulipani apparite,
come se non sapeste il colore della malinconia e del dolore.

Il linguaggio dei pensieri

Avete messo la maschera sul viso, ma io vi conosco.
Avete nascosto il viso, ma io riconosco la voce.
Avete sacrificato la vergogna davanti al mausoleo del cibo,
conosco i miseri mendicanti senza pudore.
Come i lupi siete posseduti dall’ossessione per la preda.
Sì! Conosco il senso di questa risata con i denti che spuntano.
Il mio credo non ha cognizione di quello che dicono le labbra. Io conosco

Il muto linguaggio dei pensieri.
Dietro questo muro colorato, c’è la prigione tenebrosa.
Oltre il colore della compassione, conosco l’ipocrisia.

Simin Behbahāni (in persiano سیمین بهبهانی‎), Traduzione di Zeinab Heidary-Firooz in Un’antologia della poesia di Simin Behbahāni

Buona lettura a tutte e a tutti

Presentiamo gli articoli della nostra prima settimana successiva alle elezioni politiche. Un gesto di cittadinanza attiva alle elezioni ci racconta di come la legge che disciplina le votazioni possa essere usata per protestare civilmente contro il Rosatellum, una pessima legge elettorale. Allargando lo sguardo al mondo, Le catene del Brasile. La salvezza nelle mani delle donne è l’interessante approfondimento della situazione politica brasiliana che la nostra direttora responsabile ci offre l’opportunità di conoscere con la recensione del libro di Claudiléia Lemes Dias Le catene del Brasile. Un paese ostaggio delle religioni. Lasciandoci alle spalle le elezioni, andiamo a conoscere le due donne, che oggi definiremmo STEM, ricordate da Calendaria 2022: Edith Farkas, pioniera della meteorologia, scienziata ungherese pluripremiata e tra le poche donne ad occuparsi dell’ozono, trasferitasi nel Paese che per primo ha dato il diritto di voto alle donne, la Nuova Zelanda, ed Elizaveta Karamihailova, prima fisica nucleare bulgara, una delle pioniere della radioecologia. Continuiamo ad approfondire la conoscenza di quanto hanno fatto le donne con il Report di Agosto – Settembre di Toponomastica femminile e l’articolo I successi delle Azzurre nel mese di Settembre.

Toponomastica femminile semina per le strade di Cambiano, in cui l’autrice dell’articolo ricorda che «ancora una volta Toponomastica femminile scuote le coscienze e promuove una cultura urbana inclusiva, diffondendo l’idea che ciascuna/o di noi possa partecipare al disegno della città del futuro». La ricetta della settimana è Cappon magro, «un piatto della tradizione ligure, insieme semplicissimo e ricercato, un po’ laborioso da preparare, ma che alla fine regala una vera gioia per il palato, e una sontuosità nella presentazione difficile da trovare in altre ricette».

Le nostre serie continuano: Madama Margarita: un anniversario da celebrare degnamente. Parte seconda ci accompagnerà nell’avvincente storia di una delle più importanti Dame del Rinascimento; per Viaggiatrici del Grande Nord continuiamo a seguire On the road: Maria Albertina Loschi in Finlandia, in cui la protagonista di questo itinerario racconta che «aperta da poco al turismo e tuttora poco nota, la Lapponia conserva un fascino singolare – fascino tessuto di silenzio e solitudine – ed esercita un’attrazione quasi direi misteriosa». Chiarina Rosatelli Chiti, insegnante italiana è una nuova puntata che approfondisce la vita e le opere delle vie intitolate alle donne, a Prato. Con La metà dell’arte. Neel e Houghton si conclude l’accurata e bellissima rassegna delle opere delle artiste ospitate alla Mostra Permanente presso la Procura di Tivoli, realizzata per Toponomastica femminile, nell’ambito di un progetto finalizzato alla sensibilizzazione sul tema del contrasto alla violenza. «La violenza sulle donne si combatte anche così, rendendo giustizia all’operato delle donne», ci rammenta la curatrice della Mostra e non possiamo che essere d’accordo con lei. La cura in modalità palliativa è l’intervista di questo numero, che affronta un tema di cui nella nostra società, colpevolmente, non si vuole parlare: il fine vita.

Chiudiamo Con le donne dell’Iran, riprendendo un tema affrontato nel nostro editoriale, un intenso documento della Società Italiana delle Storiche. Esprimiamo la nostra solidarietà alle donne dell’Iran, augurando loro tutta la forza necessaria a combattere la misoginia della loro società.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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