Incontri e amicizie. Maria Albertina Loschi in Finlandia

Maria Albertina Loschi attraversa la Finlandia da sud a nord nell’estate del 1925, per tornarvi nel 1935 in occasione del centenario del Kalevala, il poema fondante della cultura finlandese. L’autrice sceglie di condurre chi legge attraverso la vita quotidiana del Paese nordico, visto con lo sguardo curioso di una comune viaggiatrice.
Durante il suo primo viaggio ha modo di osservare innanzitutto gli altri turisti: si mostra critica verso i Tedeschi che «naturalmente, riescono sempre a occupare i posti migliori, a vedere e sapere tutto, a procurarsi informazioni speciali…»; gli Inglesi invece sono appassionati pescatori – perfino le donne che, a Virtaniemi, stanno nei fiumi «con stivali e pantaloni […] e una comoda camicia sportiva»; ed ecco infine i Finlandesi che, da turisti in patria, confermano la loro natura silenziosa e discreta: «piacevoli compagni di viaggio, educati e cortesi – parlano quasi sempre a bassa voce, dignitosi e composti, con un nonsoché di austero».

Loschi è un’attenta osservatrice, perciò non si limita agli incontri casuali, ma offre una panoramica variegata dei nativi. Innanzitutto descrive chi lavora, dimostrando energia e vigore: osservati da lontano, quando sono impegnati nei campi, i Finlandesi sono dei «bei tipi […] alti, snelli, con un portamento austero»; al mercato invece emergono «fanciulle bionde, linde […] donnette del contado in cuffietta candida […] contadini fieri, abbronzati dal sole».
Un’attenzione speciale è rivolta a bambine e bambini, verso i quali si esprime con tenerezza in diverse occasioni: a Salmijärvi «bei bimbi nudi […] si lasciano cogliere dal nostro obiettivo», compreso «il più piccolo della brigata, un batuffolo che si regge appena sulle gambette grassocce».
Il suo interesse è però catturato soprattutto dalle donne, impegnate in qualsiasi situazione: «sulle impalcature lavorano […] tra vernici e calcina, tal quale come gli uomini»; «Scorgiamo qualche pescatore solitario – a volte è una pescatrice e non ci degna nemmeno di uno sguardo…»; «In molte stazioncine, […] l’impiegato al movimento o il sottocapo è una donna […] sovente carina, che sbriga con serietà e naturalezza le proprie mansioni. […] Anche l’agente del vagone-letto è sempre una donna».

Le donne a lavoro tra vernici e calcina

Infine, le cameriere poliglotte che si trovano negli hotel sono «sempre sorridenti e gentili, ma con un non so che di distinto e di fine, che crea intorno agli ospiti un’atmosfera accogliente, piacevole, diversa dal solito»: si tratta infatti di studenti e insegnanti, impegnate ad accogliere turiste e turisti e al tempo stesso perfezionare le lingue straniere.

Fra gli incontri casuali, Loschi riferisce una breve conversazione di argomento politico con il comandante del battello durante la navigazione verso Kuopio; entrambi concordano sulla necessità che l’Italia «impedisca l’assorbimento dell’Austria da parte della Germania», evento che effettivamente si verificherà nel 1938; si tratta però dell’unica allusione alla politica internazionale in tutto il libro.
Le frequentazioni sono favorite anche dalla nazionalità: essere italiane, per le viaggiatrici degli anni Venti, significa ricevere manifestazioni di stima ogniqualvolta si è riconosciute: infatti, all’estero l’avvento del regime fascista è percepito, almeno in un primo momento, come un elemento positivo, in grado di assicurare al Paese una rinascita economica e politica.
Così Loschi a Savonlinna viene fermata per strada da Greta Barrot Milk, nota cantante lirica locale che ha soggiornato in Italia, conosce l’italiano ed è piacevolmente stupita di udire questa lingua; «entusiasta dell’Italia di Mussolini, dove ha vissuto anche recentemente e dove sogna di tornare», la cantante invita il gruppo per un brindisi a casa sua, dimostrando l’espansiva ospitalità finlandese: «La famiglia è riunita in salotto. Sulla soglia, la mamma, che ha sangue italiano nelle vene, ci dà il benvenuto. […] Maljanne! Salute! E l’artista mi risponde brindando all’Italia e al Duce. Si ha un bell’essere… veterana del giornalismo, agguerrita alle impressioni più varie e più profonde, ma vi sono momenti in cui riesce assai difficile nascondere la propria emozione, inghiottire i lucciconi che inondano gli occhi. ‘Eläköön Suomi! Eläköön Italia!’ È l’ultimo saluto. La Patria canta nell’anima».
La giornalista esperta, la viaggiatrice consumata non si vergogna a mostrare i propri sentimenti e l’orgoglio al ricordo della patria lontana, amata e rispettata perfino qui, nell’estremo Nord.

Anche i rari incontri di Loschi con membri delle istituzioni avvengono in situazioni informali: durante il tragitto fluviale verso Kuopio è Ragnar Numelin, noto diplomatico e studioso, che le illustra la composizione geologica del territorio finlandese. A Sodänkylä il senatore, ex Ministro delle finanze e Presidente del Consiglio Kaarlo Castrén, ha portato «nientemeno che del moscato!» da offrire agli amici italiani prima di proseguire il viaggio con loro. A Virtaniemi si unisce al piccolo gruppo Ragnar Viljanen, direttore della Federazione delle Industrie Finlandesi, ed entrambi le spiegano le varie tecniche di pesca del salmone.

L’impressione complessiva che chi legge riceve è che si tratti di un popolo ben lontano da quella freddezza e insensibilità che gli vengono comunemente attribuite; inoltre, i Finlandesi mostrano di ammirare l’Italia e di saper ricambiare l’interesse di turiste e turisti italiani, che si avventurano così lontano dalla loro patria, accogliendoli amichevolmente.
Poiché si considera una femminista, Loschi mostra una particolare attenzione al ruolo della donna nella società, dedicando ampio spazio a sfatare quegli stereotipi riguardo alle abitanti del nord che erano diffusi in Italia dai suoi colleghi giornalisti: questi, infatti, tendevano a celebrare la bellezza fredda delle nordiche e la loro disponibilità sessuale.
Loschi procede invece in maniera diversa: non solo fa spesso riferimento alle lavoratrici in ogni campo, ma dedica loro un intero capitolo del libro, il penultimo, intitolato Femminilità. In primo luogo, basandosi sulla sua esperienza concreta, si affretta a smentire lo stereotipo delle donne nordiche in preda a un presunto «smarrimento spirituale e sentimentale». Ricorda quanto ha osservato durante il suo viaggio circa la loro costante presenza in tutte le professioni, il loro attivismo e la loro laboriosità, definendole «madri della nazione»: in questo ruolo «sono chiamate a collaborare all’opera civilizzatrice e patriottica e ad assumere la loro parte di civiche responsabilità».
Loschi si serve di fonti autorevoli e oggettive per sostenere le sue affermazioni di fronte al pubblico italiano: innanzitutto lo storico e poeta Zacharias Topelius, uno dei fautori della conservazione e della diffusione del patrimonio culturale finlandese, che dichiara l’apporto delle donne «indispensabile»; quindi Johan V. Snellman, filosofo e statista, uno dei primi patrioti, che proclama la necessità di libertà e cultura anche per le donne, «nell’interesse della famiglia e di tutta la comunità».

Le associazioni femminili a scopo filantropico si organizzano a partire dalla metà del XIX secolo, contemporaneamente allo sviluppo industriale che «costringe le donne a cercare lavoro nelle fabbriche», mentre anche «le giovinette di buona famiglia aspirano a ‘fare qualcosa’».
I risultati più concreti si hanno attraverso la costituzione di associazioni nazionali, quali la Suomen Naisyhdistys, orientata verso la partecipazione alla vita economica e alle riforme legislative; o l’Unione per il diritto della donna, concentrata sull’equiparazione dei diritti; l’associazione Martha invece si rivolge al miglioramento della vita familiare: l’istituzione del “giorno della massaia”, i consigli per l’arredamento della casa e la cura del giardino sono le sue iniziative principali.
Il movimento più importante, a parere dell’autrice, rimane comunque quello denominato Lotta Svärd, che durante la Grande Guerra ha organizzato i distaccamenti ausiliari femminili (composti da infermiere, cuoche e assistenti) e che, nel periodo in cui visita la Finlandia, sta proseguendo la sua attività a fianco della Guardia Civile, composta invece da soli elementi maschili.
Loschi non manca di ricordare tutte le personalità femminili che si sono avvicendate alla direzione di questi movimenti, tracciando, per quanto possibile, paragoni con le donne italiane che hanno rivestito cariche analoghe in patria. È evidente come intenda sottolineare che tutto l’universo femminile è subordinato e finalizzato al progresso della società, sostenendo le proprie affermazioni sia dal punto di vista teorico, riportando le opinioni di illustri personalità, sia nella realtà, attraverso la dettagliata descrizione delle associazioni.
L’autrice conclude mostrando come l’impegno femminile sia stato ricompensato, già nel 1907, dal riconoscimento dei diritti politici; ciò ha comportato, di conseguenza, l’attiva partecipazione delle donne al dibattito parlamentare. La sua posizione, tuttavia, riflette l’atteggiamento dell’epoca, favorevole alla presenza delle donne nella vita pubblica purché essa non interferisca con il loro ruolo tradizionale di madri e mogli.
Infatti rileva come, in Parlamento, esse si occupino soprattutto di non meglio specificati «campi che interessano direttamente la posizione della donna»; a sostegno delle sue affermazioni riporta l’opinione di una famosa giornalista e pioniera nell’istruzione in economia domestica, che era stata deputata sia nel governo del Granducato di Finlandia sia nel Parlamento della nuova nazione: Hedwig Gebhard, secondo la quale «è la Patria che esige il lavoro costruttivo di tutti, uomini e donne. Ed è giusto che noi facciamo l’elogio degli uomini, dei deputati, del loro atteggiamento verso le colleghe e della loro comprensione per le aspirazioni femminili».
Si conferma così la posizione subordinata delle «aspirazioni femminili», per le quali è richiesta la «comprensione» dei colleghi. Anche l’apprezzamento dell’ex Presidente della camera, Paavo Virkkunen, secondo il quale esistono «parecchie prove del fatto che le donne hanno compiuto il loro dovere così bene come gli uomini», ribadisce la loro dedizione e il loro impegno nella vita pubblica. Loschi conclude il capitolo richiamandosi ancora all’inadeguatezza dello stereotipo delle donne nordiche «deluse» o, si direbbe con un linguaggio più moderno, frustrate e depresse; afferma, invece, di aver potuto constatare come le qualità delle Finlandesi siano «circondate da considerazione e da rispetto […] ispirate dal bene supremo della Patria e dal desiderio vivissimo di progresso e di pace».

L’opinione di Loschi riguardo al popolo Sami, incontrato nell’estremo Nord, si discosta da quella di tutte le altre viaggiatrici italiane. Anche se la narrazione occupa solo poche pagine, l’autrice non sembra voler ad ogni costo stigmatizzare l’inferiorità di questa comunità.
Incontra un gruppo di sedentari a Vuotso, dove si riuniscono la domenica indossando i loro costumi tradizionali; qui sono già presenti i «segni» inequivocabili della modernità che avanza: «calze di seta artificiale, qualche treccia recisa»; contrariamente a quanto affermato dalle altre autrici si sta dunque verificando una lenta, ma inesorabile integrazione con gli altri popoli scandinavi.

Una famiglia Sami

Loschi è anche l’unica viaggiatrice a ricercare il dialogo: con l’aiuto degli amici finlandesi avvicina «una ricca famiglia lappone» con la quale scambia qualche parola: ne riceve un’impressione positiva di «fierezza». Tuttavia, pure lei, come altre, incontra un abile “commerciante”: a Pitkäjärvi «un Lappone poliglotta (io lo credo Lappone solo d’elezione…) vi venderà con garbo la solita serie di ricordi e regalucci: pantofole foderate di pelo, candelieri, borse, tagliacarte, segnalibri ecc. ecc. tutti oggetti ai quali ha generosamente contribuito la renna con ossa, corna, pelle, ecc.».
Loschi è l’unica poi ad approfondire la sua descrizione, evidenziando le differenze fra Sami nomadi e sedentari. I primi, afferma, sono «più ricchi e indiscutibilmente più robusti, più tenaci e più abili, mentre questi Lapponi sedentari – pur rimanendo fedeli al loro caratteristico costume, agli utensili primitivi, alle vecchie usanze e sovente alle antiche superstizioni, sono più miserabili e fisicamente meno resistenti».
Questi ultimi infatti vivono in maniera molto modesta, sostentandosi con «un po’ di pesca e di pastorizia, un po’ di agricoltura rudimentale – poche renne, qualche pecora, casupole di legno sostenute da quattro ceppi e sollevate da terra di parecchi centimetri – alle finestre, qualche piantina in una scatola di latta ed un fuocherello all’aperto per preparare l’immancabile caffè».

***

Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.

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