Hildegard von Bingen, santa Ildegarda di Bingen, nacque nel 1098 a Bermersheim, nell’Assia-Renana, prima che i crociati occupassero Gerusalemme. Fu badessa benedettina, mistica e profetessa, ma anche cosmologa, guaritrice, linguista, naturalista, filosofa e probabilmente la prima musicista e compositrice nella storia cristiana.
La musica è il corpo e l’anima dell’essere umano, un’allegoria dinamica, scrive nel cuore del Medioevo l’ottantenne Ildegarda di Bingen, la quale racconta di comporre canzoni e melodie in onore di Dio e dei Santi senza aver ricevuto alcun insegnamento: «E dato che a volte, ascoltando una melodia, un essere umano spesso sospira, e geme, circondandosi della natura dell’armonia celeste, il profeta Davide, considerando sottilmente la profonda natura dello spirito, e sapendo che l’anima dell’uomo è sinfonica (Symphonialis), ci esorta nel suo salmo a proclamare il Signore sul liuto e a suonare per lui sulla cetra a dieci corde: egli desidera riferire il liuto, che suona più basso, al controllo del corpo; la cetra, che suona più alto, all’intenzione dello spirito; le dieci corde, al compimento della Legge» (Sabina Flanagan, Ildegarda di Bingen. Vita di una profetessa, Le Lettere, Firenze, 1991).

Ildegarda aveva appena scritto la Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti frutto e fonte della personale concezione filosofica della musica. La musica non è solo musica mundana, ma strumento, espressione e comprensione della storia (Adamo e Lucifero, i profeti dell’Antico Testamento, la Chiesa del Nuovo Testamento), un modus grazie al quale gli esseri umaani possono ancora incarnare la divina beltà sulla terra. L’anima è sinfonica, e ogni sinfonia di voci e strumenti sulla terra, che sia diretta verso il cielo, è un modo per reintegrarsi, per ridare nuovamente vita alla perduta condizione paradisiaca delle creature.
La Symphonia è materiale e immateriale perché le voci sono umane e gli strumenti costruiti e suonati da donne e uomini terrestri, non solo da angeli. La musica terrena viene dalla terra, tuttavia non è legata alla terra, per questo la/il musicista e chi ascolta la musica sopravviveranno.
Ildegarda intrattiene fitti rapporti epistolari con papi e re, dei quali assurge a consigliera spirituale; attende l’età adulta per intraprendere la scrittura di opere musicali, di trattati religiosi e filosofici, per dissertare di medicina e di botanica. È convinta della corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo; nei suoi scritti troviamo la Sapienza che crea il mondo pervadendolo, e la Caritas, che rivela come tutta la creazione sia teofania e assuma sembianze femminili, esprimendosi con il linguaggio del Cantico dei Cantici edichiarandosi «sposa e amante del Signore innamorata e raccolta nell’amplesso divino». Quella di Ildegarda è pertanto una mentalità fortemente simbolica, che riconduce ogni realtà a un significato recondito che va ben oltre il suo contenuto immediato: ogni cosa è figura di altro, dai numeri ai colori, dagli animali ai metalli.

All’età di 38 anni prende i voti nel Monastero benedettino, dove era stata portata fin da bambina. La sua istruzione era iniziata con la recita quotidiana del Salterio, ora impara a suonare l’omonimo strumento, ma apprende una conoscenza passiva della lingua, prettamente orale, insufficiente per scrivere di teologia, ambito che per una donna rappresentava di per sé un passo temerario.
Ildegarda aveva confidato le sue visioni alla badessa Jutta e in seguito a san Bernardo, con cui iniziò un fitto scambio epistolare e che si fece sicuramente promotore della veridicità di Ildegarda con il papa Eugenio III. Così diviene profetessa, acquista sicurezza, scelta da Federico Barbarossa come sua consigliera arriva ad ammonirlo per richiamarlo a una condotta principesca e, quando l’imperatore nominò per la seconda volta l’antipapa, Ildegarda gli inviò un feroce «velut parvalum et velut insane vivente».
Nella sua musica ricrea sulla terra l’armonia perduta e prefigura quella della fine dei tempi.

Oltre alle opere di carattere mistico, molto apprezzate da san Bernardo, che la definì «la diletta figlia in Cristo», scrisse numerose prediche che, spesso, evento raro di quei tempi per una donna, teneva non in chiesa ma davanti al popolo. Osservatrice della natura, scienziata e medica, coltivava erbe medicinali nell’orto del monastero, raccoglieva nei boschi le erbe più rare, osservava i decorsi delle malattie delle sorelle, visitava e curava le persone inferme e le partorienti nelle terre di Bingen. Nel 1169 pare che sia stata protagonista di un esorcismo su una nobildonna, Sigewize, ricoverata nel suo convento dopo che altri monaci non erano approdati a nulla: nel rito da lei personalmente condotto – cosa del tutto inusuale per una donna – volle tuttavia la presenza di sette sacerdoti.
Ildegarda aveva appena finito di scrivere, dopo dieci anni di lavoro, la sua prima opera: Scivias (Scito vias Domini, Conosci le vie del Signore), in cui descrisse le visioni dell’infanzia e quelle seguenti, terminando la terza parte con un finale musicato: Ordo Virtutum (Il dramma delle Virtù).
Nonostante il tempo e la fatica impiegata nell’amministrazione del Monastero, Ildegarda continua a comporre musica e scrive altri due libri medico-scientifici, meno impegnativi del primo, Physica e Causae et curae, dedicandosi anche alla creazione di un alfabeto alternativo: Lingua ignota, e ad una delle sue ultime più importanti opere sull’esperienza della natura umana, Liber vitae meritorum, scritto nel 1163.
Mentre era impegnata nella storia naturale e nella medicina compose settanta canti che, insieme al suo dramma musicato, Ordo Virtutum, formarono la Symphonia (interdetta, forse per la forma dialogica), definita dai posteri come la prima morality play tramandataci. Ildegarda sviluppò dunque idee avanzate sulla musica, proponendo la musica strumentale come parte integrante del canto umano che per gli antichi padri era l’unica musica legittima.

Il manoscritto più antico risale al periodo 1170-1180 e probabilmente contiene canti composti durante l’intera sua produzione musicale; sono antifone, responsori, sequenze, inni, che venivano usati nella recita dell’Opus Dei o nella celebrazione della messa. I canti sono disposti in base ai loro soggetti in ordine gerarchico, con Dio alla sommità, e ruotano tutti intorno al mistero dell’Incarnazione del Figlio. La linea melodica è unica, tipica del Canto Gregoriano, ma l’originalità è caratterizzata dal ritmo irregolare, con un’enfasi non convenzionale, combinando testo e musica con risultati di grande effetto.
La sua teologia è ricca di simboli femminili, Maria ed Eva fondano la salvezza umana, Amore è anima mundi e terza persona della Trinità, mentre la Sapienza è la veste della creazione, incarna il mistero divino, ed entrambe sono immaginate come donne.
Il Monastero femminile fondato da Ildegarda, pur se relativamente autonomo, fu uno spazio straordinario che le permise di far cultura.

Quando ormai era ritenuta un’autorità all’interno della Chiesa, papa Eugenio III, nel 1147, lesse alcuni dei suoi scritti durante il sinodo di Treviri. La non convenzionalità e l’eccezionalità di questa badessa si scoprono nella pratica di vita: rischiando la scomunica per aver seppellito nel territorio monastico un uomo scomunicato, Ildegarda non demorde, il defunto sembra infatti appartenere a una casata che devolve denaro al suo Monastero. Nella nostra epoca in cui ogni attività (economica e culturale) ha segretarie, una badessa che viveva nel pieno Medioevo aveva tre segretari con i quali stabilì rapporti di profonda amicizia e rispetto.
Ildegarda settantacinquenne visita un grande numero di monasteri in Svezia. Ella vedeva, scrive lo storico Peter Dronke, le risposte a problemi, ciò implicava che non dovesse omaggiare alcuna delle soluzioni canoniche. La studiosa Sabina Flanagan riferisce che fece di necessità virtù, rifiutando ciò che sapeva di non poter ottenere; percepire la propria conoscenza primariamente come una serie di visioni rese questa interpretazione della sua fonte più inconfutabile.
Papa Giovanni Paolo II in una lettera per l’ottocentesimo anniversario della sua morte, salutò in Ildegarda la «profetessa della Germania», la donna «che non esitò a uscire dal convento per incontrare, intrepida interlocutrice, vescovi, autorità civili e lo stesso imperatore, Federico Barbarossa». E al genio di Ildegarda farà ancora cenno nell’enciclica sulla dignità femminile Mulieris Dignitatem.
Nel 2012 papa Bendetto XVI proclama santa Ildegarda di Bingen Dottora della Chiesa. Il processo di canonizzazione fu avviato dapapa Gregorio IX una cinquantina di anni dopo la sua morte. È considerata la protettrice degli esperantisti. La sua memoria liturgica cade il 17 settembre, anniversario della morte (dies natalis). Tale giorno, secondo la tradizione, sarebbe stato “predetto” dalla santa a seguito di una delle sue ultime visioni.

Il significato del suo nome, protettrice delle battaglie, fece della sua religiosità un’arma per una battaglia da condurre per tutta la vita: scuotere gli animi e le coscienze del proprio tempo.
***
Articolo di Milena Gammaitoni

Professoressa associata di Sociologia Generale presso l’Università di Roma Tre, Dipartimento di Scienze della Formazione e dal 2009 visiting professor in università francesi e polacche. Si occupa di questioni relative all’identità, storia e condizione sociale di artiste e artisti, la metodologia della ricerca. Cura e pubblica saggi in libri collettanei, riviste scientifiche e culturali ed è autrice di tre volumi monografici. Sito web: www.milenagammaitoni.it